Nella rubrica Stay Trash questo mese parliamo di un cult della commedia nostrana, Fratelli d’Italia di Neri Parenti, simbolo di una nazione e di una comicità che non c’è più
uante volte avete sentito pronunciare la frase “queste cose, un tempo, si potevano dire”?
Di moltissimi esempi che potrei fare e non farò per non alzare un polverone, evitando di entrare nel tanto chiacchierato tema cancel culture e parlare di cose che non mi competono, vorrei concentrarmi esplicitamente sulle commedie italiane.
Ebbene, se la nostra nazione è cresciuta, persino migliorata quando si parla di tolleranza e inclusione (termine talmente abusato che inizio a detestarlo, ma rende l’idea) dobbiamo esserne contenti, tuttavia questo non vuol dire assolutamente che si debba rivedere la comicità di un tempo, quella che ha fatto ridere e ha intrattenuto generazioni e le cui espressioni cult fanno ancora oggi parte del nostro lessico.
Riguardare oggi, ad esempio, un film come Fratelli d’Italia di Neri Parenti è un’esperienza incredibile per quanto sembri così distante da noi. È vero che parliamo di una pellicola datata 1989, quindi di 33 anni fa, ma non è mica passato un secolo. Come è possibile quindi tutto ciò? Come abbiamo permesso che giuste politiche di modernizzazione, inclusione (rieccola) e democratizzazione abbiano compromesso una parte così radicata della nostra comicità cinematografica?
Non è un caso infatti se oggi le commedie italiane contemporanee siano tutte – o quasi – orrende. Al 90% inguardabili.
Certo, anche molte di quelle degli anni ’90 erano piuttosto brutte, ma molte altre erano indubbiamente divertenti, decisamente più di quelle attuali, e di certo non possiamo dire che fosse merito della trama – che è la stessa da 40 anni – e neanche tanto per merito degli attori. Senza dubbio il Christian De Sica o lo Jerry Calà di quei tempi erano in gran forma e davano il meglio, ma non stiamo parlando di Alberto Sordi o Vittorio Gassman, e nemmeno di Gigi Proietti, che a certi film ha iniziato a prender parte ogni tanto soltanto alla fine della sua carriera (alzando infatti il livello anche di pellicole al limite della decenza come Un’estate al mare).
Il film in tre episodi Fratelli d’Italia rappresenta una nazione che ora guardiamo un po’ nostalgicamente, con una FIAT Tipo a noleggio a fare da fil rouge, passando di mano in mano. Le mani sono quelle dei tre protagonisti, i due citati poc’anzi, ovvero De Sica e Calà, e poi Massimo Boldi. Ad essi chiaramente sono associati co-protagonisti d’eccezione, in gran voga in quegli anni, cioè Sabrina Salerno, una giovane Nathalie Caldonazzo, Fabrizio Bracconieri, Maurizio Mattioli, i compianti Gian Fabio Bosco e Angelo Bernabucci.
Il confronto tra ricchezza e povertà; la bella segreteria che sposa il ricco capo ma si concede la scappatella col giovane dipendente; gag ed equivoci a tema calcistico: tre grandi classici delle commedie italiane di quel periodo, riproposti qui nei tre episodi di Fratelli d’Italia, in modalità routinarie ma divertenti, che hanno fatto scuola. Il trio Boldi-Mattioli-Bernabucci in particolare, vista la perfetta riuscita, è stato anche riproposto 10 anni dopo nel film Tifosi, sempre di Neri Parenti.
Nell’episodio con Christian De Sica, l’attore veste i panni di Cesare, un commesso che si finge Cristiano Gardini, figlio di un noto imprenditore, pur di salire su uno yatch in compagnia di ricconi in direzione Costa Smeralda. Gli strumenti di maggiore ilarità consistono proprio nel modo in cui l’attore cerca di mascherare le sue umili origini e la sua cadenza dialettale, fingendo una ridicola “r” moscia, ma quando “scivola sul burino” è fantastico e questi momenti sono quelli iconici della sua comicità, il suo tratto distintivo, quello che l’ha reso celebre. E se questo episodio ci regala anche diverse battute destinate a diventare cult, come ad esempio “Ah bambolì, ma vattappija…”, gli altri due non sono da meno. Come non ricordare infatti la leggendaria espressione “Il signor Sauli non vi lascia mai soli”?
I film a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, come Fratelli d’Italia, sono la perfetta fotografia di un periodo fiorente, della stabilità economica, dell’ottimismo, degli eccessi, della voglia di divertirsi e di spendere senza freni. Una nazione che, al netto di una estrema superficialità in cui il maschio italiano pensa soltanto a donne, calcio e motori – perfettamente rappresentati nel film -, era lo specchio di una allegria e una spensieratezza sconosciuta alle nuove generazioni, e che ci manca moltissimo.
L’Italia dove si poteva dire e fare tutto. Probabilmente sbagliando, ma eravamo felici così.