Quarantatré anni di puro terrore in compagnia del Re
Nel 1974, la Doubleday acquistò per soli 2500 dollari il primo romanzo di Stephen King, dal titolo laconico di Carrie. Sappiamo benissimo come è andata a finire: dopo le tredicimila copie vendute in hardcover, la storia della ragazza con poteri telecinetici ha raggiunto le quattrocentomila con l’edizione economica, un successo suffragato da una ottima trasposizione cinematografica ad opera di Brian de Palma, con una meravigliosa Sissy Spacek nei panni della ragazza.
La dedica di Carrie racchiude tutto l’amore di King per la moglie ma allo stesso modo nasconde un’enorme bugia: ‘A Tabby, che mi ha fatto entrare in quest’incubo, e poi me ne ha fatto uscire.’ L’incubo invece non sarebbe finito e anzi sarebbe durato per altri 43 anni, per quel che mi è dato di sapere e narrare, e da quel primo piccolo mostro che era Carrie, ne sarebbero succeduti altri, ognuno unico e inimitabile, alcuni addirittura ricorrenti.
Ma chi sono i veri mostri di King? Da dove vengono e cosa vogliono dirci?
Sono domande a cui è estremamente difficile dare risposte, ma ci proveremo lo stesso. Seguiteci.
Freak of Nature
Carrie è il primo “mostro” creato dalla mente di Stephen King, anche se la parola Mostro è forse fuorviante, anzi diciamolo apertamente, non rende giustizia al personaggio tormentato e sofferente della giovane ragazza vessata dai compagni di classe e torturata dalla madre.
Da quel momento in poi, il Maestro ha sguazzato nella mostruosità, sondandola in ogni direzione, affondando nell’incubo per il gusto di trascinarci dentro con tutte le scarpe.
Negli oltre quaranta anni di carriera e nelle migliaia e migliaia di pagine scritte, King ha rivisitato mostri classici, come ha fatto con Dracula nel suo secondo romanzo Salem’s Lot, riuscendo a modernizzarli trapiantandoli in una cornice attuale o quanto meno da ventesimo secolo.
Se proprio dovessimo parlare dei mostri più interessanti creati dalla penna dello scrittore del Maine, avremmo solo l’imbarazzo della scelta e ci basterebbe pescare alla cieca per farne una lista appetibile.
Per esempio abbiamo una nutrita schiera di Freak of Nature, persone con alterazioni della loro normale umanità che sono viste come disabili pericolosi e che cercano di nascondersi o di nascondere il loro potere, per paura delle conseguenze e delle reazioni delle persone che le circondano.
Abbiamo già citato Carrie, con cui tutto è iniziato. Ma andando oltre, emerge Charlie, la protagonista de L’Incendiaria, con la sua pirocinesi. Insieme a Charlie c’è suo padre, con il potere di condizionare il comportamento e le scelte altrui, e insieme formano una coppia di reietti che agognano solo una vita normale.
L’apoteosi secondo me di questo tipo di personaggio è il protagonista incredibile de La Zona Morta, l’anonimo Johnny Smith e la sua terribile maledizione di poter vedere il futuro. Tormentato, isolato, sbeffeggiato da un destino avverso, sarà l’unico a combattere per salvare il mondo. E il suo sacrificio, visto quel che è diventato il pianeta in cui viviamo, forse è stato anche un po’ vano.
Su questa classe di mostri partoriti dalla mente di King mi è sempre venuta in mente una considerazione un po’ fuori dai canoni. Paradossalmente, questi eroi delle storie che si snodano intorno a loro sono molto vicini ai Supereroi Marvel come li concepiva il buon vecchio Stan Lee: sono supereroi con superpoteri e con tanto di superproblemi. Certo, si potrebbe invocare il background culturale dello stesso King che è infarcito di cultura pop e in particolar modo di vecchi fumetti, quindi questa sorta di inception filosofica è quasi inevitabile. Il risultato però è assolutamente personale e unico: se da una parte i vari Spiderman e Co., nonostante i superproblemi, riescono a vestire i loro panni di supereroi e cercano a tutti i costi di essere quanto più possibile eroici, nella mitologia di King, i protagonisti sono schivi, cercano esattamente il contrario, vogliono disperatamente essere umani, stare tranquilli, senza che la loro natura di freak continui a bussare alla porta pretendendo di ricevere la giusta dose di attenzione.
In poche parole, il succo del discorso è che non si può scappare da se stessi, al massimo si può rimanere e combattere, sperando di essere gli ultimi a cadere.
Ma non è tutto rose e fiori l’universo e il pantheon mostruoso di King. Il celebre autore ha dato vita a mostri veri e propri, di quelli che arrivano di notte pronti a scarnificarti e festeggiare con le tue interiora, mentre sei ancora vivo, magari.
Che siano soprannaturali, animali impazziti, morti viventi, i mostri di King spesso hanno un’anima, una sorta di terza dimensione che gli permette di andare oltre la pagina scritta per saltare fuori dal libro e sedersi accanto al lettore per fargli un po’ di macabra compagnia, magari quando ha ampiamente chiuso il testo e si è appena messo a letto.
Alcuni sono di una semplicità disarmante: pensate a Cujo, concettualmente è solo un cane, un enorme San Bernardo, docile e servizievole, che si lascia cavalcare dalla sua giovane padroncina. Basta un morso di pipistrello e un po’ di rabbia per trasformarlo in un mastino dell’inferno che tiene intrappolate due persone in una vecchia Pinto in panne.
Un’altra capacità esemplare di King è quella di reinventare alcuni miti classici, cercando di stravolgere l’immaginario collettivo, aggiungendo un pizzico di kinghità, per raggiungere un risultato inaspettato.
Prendiamo gli zombie: ne sappiamo a bizzeffe e ne abbiamo visto di tutti i colori, e lo stesso King ne ha scritto diverse volte, più o meno apertamente. La prima opera che mi viene in mente è Pet Sematary, che mette in scena un dramma famigliare con il piccolo Gage che tiene in scacco la sua intera famiglia, mostruoso bambino trasfigurato dal potere maledetto del cimitero indiano. Accanto ci metterei senza pensarci due volte la Metà Oscura, perché è una storia di zombie, solo che non lo è apertamente. Il buon George Stark è uno pseudonimo e il suo proprietario Thad Beaumont l’ha ucciso e sepolto (anche se solo per fare scena). E Stark torna dal mondo dei morti per vendicarsi. È uno zombie, e lo dimostra anche la sua preoccupazione nel finale, quando urla “Sto perdendo Coesione”, mentre in pratica sta marcendo e perdendo i pezzi come i più canonici non morti.
I terribili Quattro
Se poi dovessi decidere, con una pistola puntata alla testa, quali sono i mostri che più mi hanno inquietato e terrorizzato nella mia esperienza di lettore, beh, allora sarei costretto a rivelare il mio poker d’assi del terrore kinghiano.
Inizierei da Pennywise, sia la versione che ho immaginato io mentre leggevo il libro, sia l’interpretazione del buon vecchio Curry della miniserie. Il clown folle e omicida è solo la facciata di questo mostro che prende una figura normale e conosciuta per trasfigurarla in un presagio di morte. Pennywise, Bob Gray, It, o come volete chiamarlo è solo una porta, una porta che conduce a un terrore primordiale affondato nei più oscuri meandri dell’animo umano, quelle fogne emotive così ben allegorizzate dalla discesa dei perdenti nelle viscere di Derry. It rappresenta l’orrore in quanto tale, è la personificazione del concetto della paura, la sua concretizzazione in un atomo di puro terrore.
Dopo It, ci catapultiamo in un contesto più umano, dove la follia è di casa, padrona di casa, e veste i panni di una ex infermiera di nome Annie Wilkes. Si tratta dell’antagonista di quel piccolo scrigno di torture e abusi che è Misery. Annie Wilkes e il suo comportamento disturbato e disturbante sono un vero e proprio inno alla pazzia, alla violenza e alla prevaricazione. Annie è profondamente malata, ma la sua malattia che affonda le radici nel passato tormentato dell’infermiera, si alimenta del mondo circostante e rappresenta l’evoluzione spontanea di Jack Torrance plagiato dall’Overlook Hotel. È terrificante perché non ha via di scampo, perché dentro il corpo di Annie Wilkes non c’è più un essere umano, completamente consumato e cannibalizzato dalla parte sbagliata della mente umana.
Ora facciamo una bella gita a Castle Rock e ci fermiamo in un negozio che ha aperto da poco. Non è il negozio di roba usata del vecchio Pop Merril, no, è proprio un esercizio nuovo: si chiama Cose Preziose, e il suo proprietario, Leland Gaunt è tra i mostri più assurdi e allucinanti a cui King abbia mai dato vita. L’ho sempre associato alla canzone dei Metallica Master of Puppet, perché così si muove e si comporta nell’economia del tessuto sociale di Castle Rock. Intesse una serie pericolosa di relazioni trasversali di causa e effetto incrociati che esuleranno nella completa distruzione della cittadina. Ignare persone verranno manipolate in una trama intrecciata e sordida, concatenando azioni apparentemente innocue che faranno emergere tutte le faide in un vero e proprio bagno di sangue.
Da Castle Rock, il passo successivo è il mondo, anzi i mondi, gli infiniti che King ha creato e che sono stati tutti toccati in un modo o nell’altro dal più grande dei cattivi dell’uomo di Bangor: Randall Flagg. Quest’uomo, se di uomo si può parlare, è nato nelle pagine de L’Ombra dello Scorpione, dove ha mosso i primi passi con i suoi stivali scalcagnati, raccattando i suoi seguaci tra la feccia e i delinquenti di un’America ridotta ai minimi termini. E da lì è comparso e ricomparso in tanti altri romanzi, magari fugacemente, magari citato apertamente, portando il male dentro e lasciandolo fuori come un gas nervino. Se Pennywise è la concretizzazione del concetto di Terrore, Flagg va oltre, è il male oltre il male, l’apoteosi di tutta la cattiveria e le mostruosità perpetrate nel mondo dalla sua creazione ad oggi. Lui è la Causa, l’unico vero motivo a cui attribuire la lenta discesa negli Inferi che rappresenta l’intera vicenda umana. Non c’è niente dopo di lui e non c’è niente dentro di lui.
E con ciò abbiamo finito questa veloce raccolta mostruosa, sintetica e fugace sui mostri di king, ma in realtà il discorso non è affatto concluso. Abbiamo ancora un paio di concetti di sviscerare, e voi già ve ne siete accorti, non aspettate altro, perché non si può parlare dei mostri di King senza parlare del contesto in cui questi mostri vengono calati, vero discriminante della narrativa del Maestro.
L’Orrore dietro l’Angolo
Sarebbe incompleto cercare di parlare dei mostri di King, del suo modo di generare terrore, tralasciando il vero protagonista occulto delle sue storie: come un tappeto sonoro che riempie il sottofondo di una bella canzone, rendendo i solisti ancora più brillanti, anche Stephen King si serve di uno sfondo che colora ancora meglio il terrore generato dai suoi mostri.
È la città, intesa come concetto di luogo americano, che veicola il vero messaggio di orrore. Se ci pensate, è facile “voltare le spalle” a Pennywise e lasciarlo andare via, chiudere gli occhi di fronte a Randall Flagg o lasciare che Annie Wilkes muoia vicino al suo fienile, sono paure che riusciamo a placare, semplicemente non pensandoci.
Ma c’è altro nei romanzi di Stephen King, un serpeggiante senso di dramma che si dipana tra le pagine, ed è rappresentato dalla realtà (quella vera, non soprannaturale) descritta che funge da scheletro alla storia inventata.
Ritornando a Carrie, da cui tutto è iniziato, non ci sarebbe nessuna storia senza il terribile comportamento della madre, invasata religiosa, e non ci sarebbe stato nessun eccidio senza il bullismo delle sue “amiche” convinte di poterla fare franca solo perché ricche e popolari.
È questo il vero fulcro della scrittura del terrore: non sono i mostri con cui già Lovecraft ci aveva abituato, non sono le creature venute dal profondo, che rappresentano solo il veicolo e il catalizzatore della paure, ma sono gli esseri umani con cui queste creature interagiscono ad alimentare il terrore.
Stephen King si muove in un universo provinciale, edulcorato, fatto di vialetti e prati perfettamente tagliati, dove vivono persone per bene, apparentemente normali, che svolgono i propri lavori e tornano a casa la sera a baciare mogli, mariti e figli prima di bere una birra e andare a letto. È tutta questa routine ad essere solo una facciata, perché poi, nelle storie di King emergono le aberrazioni della società e la sua capacità a distruggere gli individui che non riescono a difendersi dalla follia sotterranea.
In It, Pennywise rappresenta il mostro, ma Henry Bowers è il vero cattivo, creato da una congiuntura di cattiva educazione, frustrazione e violenza da parte del padre. Diventerà anche vittima di It, ma il terreno è pronto e fertile affinché la presa del mostro su di lui sia salda e immediata.
Allo stesso modo in Cose Preziose, Leland Gaunt non fa altro che alimentare tutte le piccole incomprensioni, i litigi apparentemente innocui, le invidie e il rancore, fin al punto di rottura, ma il materiale per creare quella piccola bomba atomica che è l’intero racconto c’è già tutto, solo che è silente, contenuto sotto i livelli di guardia. La costruzione ad incastro della vicenda di Cose Preziose, simile a quella delle commedie degli equivoci è un esempio lampante di come ogni piccola cittadina non sia altro che una polveriera di malvagità pronta a esplodere. Il messaggio nichilista e disperato alla base di questo divertente e affossante romanzo lascia quasi interdetti e senza parole.
In quest’ottica, la middle class americana con le sue ossessioni e le sue paure rappresenta un elemento portante dell’intera narrativa di King, vero combustibile del terrore che poi si condensa in mostri e mostruosità. L’Ombra dello Scorpione poi ne è un esempio meraviglioso e sconfinato, che ha dell’assurdo: dopo l‘epidemia, i Buoni seguaci di Mother Abigail e i Cattivi che stanno con Randall Flagg sono divisi dalle Montagne Rocciose. Le differenze sono abissali: i buoni sono incasinatissimi e non riescono neanche a mettere insieme un sistema di governo e delle squadre di lavoro per riuscire far funzionare da capo la città di Boulder. Invece dall’altra parte, a Las Vegas, Flagg ha messo in piedi una dittatura basata sul terrore dove le cose vanno che è una meraviglia. Sembrerebbe che il messaggio è che in ambito democratico l’uomo dia il peggio di sé. E invece no, perché il castello di carte di Flagg non può resistere alla mina impazzita rappresentata proprio dall’entropia sociale: un singolo granello di polvere, un umano fuori controllo (Pattume, il più folle tra i folli), è in grado di radere al suolo tutto un governo basato sulla paura e sul terrore. Il messaggio si ribalta completamente, tanto che dall’altra parte le persone sopravvivono e provano a ricreare quello che c’era prima, magari sperando di non commettere gli stessi errori dell’età prima di Captain Trips.
Il terzo incomodo
Pensando e ripensando alla paura nella produzione di King, mi sono fatto un’idea personale a riguardo, ed è un po’ estrema, ma ormai sono qui e ve la dico: secondo me per comprendere a fondo la filosofia del terrore alla base dei racconti di King, bisogna leggere e capire a fondo il primo Richard Bachman, quello vero, degli anni ’80. Bachman è un King molto più disperato e cattivo, dove però non ci sono mostri veri e propri. Siamo lontani dalle atmosfere fiabesche di It, non ci sono hotel infestati, non ci sono cimiteri che sputano fuori i morti. C’è l’Uomo e la sua lotta per sopravvivere. Prendete quel piccolo capolavoro che è Ossessione (Rage), ormai introvabile perché ritirato dallo stesso autore: Charlie Decker, protagonista del racconto, tiene in ostaggio la sua classe a scuola, puntando loro una pistola. È un assassino, è uno squilibrato, ma riesce a plagiare i suoi compagni di classe, che dal terrore che provano verso di lui, cominciano quasi ad apprezzarlo e da ostaggi diventano parte di una sessione di terapia di gruppo. Uno dopo l’altro, si lasciano andare a confessioni di segreti che mai prima d’ora avevano rivelato a voce alta, mentre Charlie sta lì che ascolta e racconta a sua volta. Tutto lo svolgersi del racconto raggiunge dei livelli di follia sotterranea incredibili.
Altrettanto folle è tutta la vicenda dietro Uscita per l’Inferno (Roadwork), dove il protagonista perde completamente il senso del reale e della ragione, quando il destino continua a farsi beffe di lui togliendogli un po’ alla volta tutto quello che ama. L’epilogo, devastante, è l’esempio perfetto di discesa agli inferi senza redenzione, dove il vero colpevole di tutto questo è una società che non vede altro che la realizzazione di se stessa a scapito di ogni singolo individuo, considerato alla stregua di un intralcio di cui sbarazzarsi, come una casa nel bel mezzo della costruzione di un’autostrada.
E con questo abbiamo davvero terminato. Non è stato facile arrivare fino qui, cercare di smontare e analizzare quel meccanismo quasi magico con cui Stephen King ha imparato a terrorizzarci da oltre quarant’anni, pagina dopo pagina, a dispetto di ogni avversità e a prescindere da ogni tentativo di ritiro dalla attività di scrittore.
Non ho altro da aggiungere.
Ora spetta a voi leggere e avere paura.