Sto pensando di finirla qui: su Netflix il nuovo inquietante, surreale e affascinante racconto di Charlie Kaufman
La quantità di prodotti presenti sul catalogo Netflix è talmente vasta e variegata che purtroppo buona parte di questi risulta di una qualità non particolarmente eccelsa, ma poi arrivano perle come il nuovo film di Charlie Kaufman, Sto pensando di finirla qui, e ci si accorge che tutte le considerazioni fatte in tal senso sulla N rossa lasciano il tempo che trovano.
Lo sceneggiatore e regista, noto ai più per lo script di Se mi lasci ti cancello ed Essere John Malkovich, ma anche direttore di opere eccezionali come Synecdoche, New York o Anomalisa, è tornato con un nuovo film, in grado ancora una volta – e più che mai – di scuotere lo spettatore.
Cindy (Jessie Buckley) viene portata dal fidanzato Jake (Jesse Plemons), con cui ha una relazione da sei settimane, a conoscere i genitori di lui, i quali abitano in una fattoria piuttosto isolata, ma durante il viaggio la ragazza pensa tra sé e sé se sia il caso di “farla finita” una volta per sempre.
Nonostante la cortesia dei genitori di Jake, i due si dimostrano a tratti inquietanti e tutta la serata assume dei contorni strani e terrificanti, mentre fuori una tormenta mette a rischio il ritorno a casa di Cindy.
Questa, a grandi linee, è la trama di Sto pensando di finirla qui, adattamento dell’omonimo romanzo di Ian Reid, ma ciò che vedrete proiettato sullo schermo della vostra TV sarà ben più complesso di così e non è facile descriverlo in una breve sinossi.
Essere Charlie Kaufman
In realtà c’è tutto e il contrario di tutto in questo viaggio nella vita della protagonista, allegoricamente narrato sotto forma di un tragitto in macchina attraverso la tormenta e la difficoltà di andare avanti, verso l’ignoto. Come spesso accade nelle opere di Kauman, anche in Sto pensando di finirla qui lo spettatore deve crearsi una personale visione di ciò a cui assiste, provando a rispondere a quesiti solo apparentemente semplici come chi è davvero Cindy, chi è Jake, chi è il bidello e cosa siano i ripetuti sogni ed incubi ad occhi aperti della ragazza.
Tra un milione di vite possibili, scongiurate o cancellate, l’eterna afflizione della mente oscura della protagonista genera visioni distorte che si inseriscono nella linearità della narrazione, e aumentano sempre di più, fino a confondere anche noi su quale sia la realtà e quale l’illusione.
Per fare questo, il regista si serve di ogni elemento del suo repertorio e anche oltre, al punto che Sto pensando di finirla qui spazia dal dramma, al thriller, al musical, all’horror.
Soprattutto l’orrore, poiché pochi film di paura convenzionali riescono ad essere spaventosi e angoscianti come sa esserlo questo, e in ciò lo aiuta non poco un cast eccellente, con Toni Collette e David Thewlis semplicemente perfetti nel ruolo dei bislacchi genitori di Jake, un altrettanto imprevedibile personaggio interpretato in modo sublime da Jesse Plemons. Quel ragazzo un po’ “noioso”, dolce e semplice che Cindy pensa di scaricare proprio mentre è in viaggio verso la famiglia di lui, pare nascondere un’anima oscura e i suoi improvvisi scatti d’ira o le scelte malsane come deviare dalla strada principale per andare a prendere un gelato durante una tormenta, sembrano avvalorare questa tesi. O forse, anche qui, sono le visioni della ragazza a fare di lui una persona più strana di quanto sia realmente?
Esseri umani che non sanno più essere umani
Quel che è certo, come ci ricorda la stessa Cindy attraverso le sue riflessioni durante il viaggio, è che il background di una madre possa influire sulla psicologia dei figli, ma è altrettanto vero che nel ventunesimo secolo devi avere le spalle larghe per superare tutto e trovare la tua strada.
Il racconto di Kaufman, quindi, inizia a virare anche verso un certo moralismo e una critica nei confronti della nostra società, verso di noi che “non sappiamo più come essere umani”, ed infine verso un’altro tipo di critica, quella cinematografica, infilando un dialogo, o meglio un monologo della protagonista che fa una sorta di recensione di Una moglie di John Cassavetes.
Non è peraltro il solo riferimento cinematografico, poiché nel mondo senza certezze dipinto da Charlie Kaufman c’è spazio anche per un film inesistente, una banale commedia romantica diretta da Robert Zemeckis, mentre farcisce il tutto con riferimenti pop ma anche un po’ più elevati, dai saggi di David Foster Wallace a La società dello spettacolo di Guy Debord.
In oltre due ore di incalzante narrazione si susseguono i numerosi scenari e le tante sliding doors poste sul nostro cammino da Kaufman, mentre proviamo a dare un significato sempre più soggettivo a quel “Sto pensando di finirla qui”, da un amore mancato, a una vita sognata o immaginata, o in fondo a qualsiasi pensiero attraversi la vostra mente. È lì che staziona la verità. Perché citando Iain Reid e la protagonista all’inizio del film, a volte un pensiero è più vicino alla verità, alla realtà, rispetto a un’azione. Si può dire tutto, si può fare tutto, ma non si può fingere un pensiero.