Fra storia e psicostoria: Foundation tra Asimov e Pirenne
Mentre Foundation si accinge a concludere la sua storia su AppleTV+, il mondo degli amanti della fantascienza riscopre un termine inusuale, ma mai dimenticato: quello di Psicostoria. Se avete letto il Ciclo della Fondazione o tentato di guardare la serie televisiva, saprete anche cosa voglia dire questo concetto. L’idea che attraverso modelli matematici e statistici possa essere conosciuto il futuro della razza umana è senza dubbio affascinante. Ma, per il momento, ancora vincolato alla fantascienza.
Certo, l’umanità ha sempre avuto la necessità di conoscere il futuro. Per rubare le parole dello storico Alessandro Barbero un tempo si ricorreva alla necromanzia. Oggi si prova a chiedere agli economisti quale sarà il PIL del prossimo anno. Ed entrambe le pretese, in fondo, rispondono sempre alla necessità dell’uomo di trovare nella scienza un oracolo per affrontare la più grande paura della nostra specie, l’ignoto.
Eppure la necessità di conoscere l’ignoto non si applica unicamente al futuro, ma anche al passato. Un compito, questo, che è affidato alla storiografia. La necessità di conoscere il percorso umano, quale siano le nostre radici, è tra le più naturali. Chiedersi “perché siamo qui?” è un atto che ci ha portati a concepire il dibattito filosofico, umanistico e scientifico. La storia risponde esattamente a questa necessità, solo che lo fa in maniera diversa. Non si limita a chiedersi il perché e a raccontare il cosa, ma ricerca un come. Percorsi, processi e dinamiche che hanno condotto l’umanità su un determinato sentiero.
C’è tuttavia una domanda che sorge spontanea, analizzando la teoria della psicostoria: qual era il parere di Isaac Asimov sulla storia? La disciplina da lui inventata e quella che analizza il percorso degli esseri umani hanno qualcosa in comune? Per farlo cercheremo di contestualizzare il Ciclo delle Fondazioni e fare un parallelo con i progressi della storiografia in quel contesto storico. Un viaggio che potrebbe riservare alcune interessanti sorprese.
Asimov e la storia: come nascono Foundation e la psicostoria?
La prima cosa da ricordare, quando si parla di Foundation, è l’amore che il suo autore aveva verso la storia. Isaac Asimov, in età matura, scrisse alcuni importanti testi storici, ma fu anche un accanito lettore di saggi. Nel 1941 aveva da poco finito di leggere la monumentale opera di Edward Gibbon del 1777, Declino e caduta dell’impero romano. Nel corso di un incontro con il suo editor l’autore concepì l’idea di traslare questo concetto su scala “interplanetaria” e parlare della caduta dell’Impero Galattico. Ne nacque una serie di racconti pubblicati sulla rivista Astounding Science Fiction che, dieci anni più tardi, tra il 1952 e il 1953, andarono a comporre il nucleo centrale della Trilogia della Fondazione.
Il racconto di come Hari Seldon, attraverso una serie di modelli matematici e statistici, riesca a prevedere un possibile sviluppo della storia umana, è cosa nota. Il crollo dell’Impero Galattico e la possibilità di ridurre gli anni di barbarie conseguenti, sono resi possibili dal “calcolo” delle attività antropiche nel futuro, purché vengano rispettati determinati parametri. L’idea che larghi gruppi di esseri umani abbiano comportamenti prevedibili e rispondano a dei modelli, non era del tutto nuova nella mente di Asimov.
Resta tuttavia poco chiaro come funzioni la psicostoria: nei fatti non vediamo come Seldon abbia tratto le sue conclusioni, ma esclusivamente i risultati delle stesse. Certo, nei prequel assistiamo al progresso delle sue ricerche, ma questo non toglie che manchi qualcosa negli studi. Quali dei molti aspetti della società umana sono presi in considerazione per creare i modelli della psicostoria? L’economia, le trasformazioni sociali, le scoperte tecnologiche, i cambiamenti climatici, militari e politici sono tutti fattori che contribuiscono a cambiare il percorso umano. Tuttavia gli assiomi di Seldon suggeriscono che solo alcuni di questi elementi siano al centro delle analisi della psicostoria. Ma gli altri?
Il primo Novecento: un fallimento della storia?
Per cercare di dare una risposta a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro e parlare di storia, contestualizzare il periodo in cui Asimov concepì Foundation e la psicostoria. Siamo negli anni Quaranta e il mondo si è trovato di fronte a un drammatico fallimento della politica e della diplomazia che ha condotto alla Seconda Guerra Mondiale. Eppure gli anni tra le due guerre mondiali furono caratterizzati da politici (nei paesi democratici) che avevano ben chiara un’idea: mai più un’altra guerra.
La storia, fin dei suoi esordi, era stata considerata una materia particolare. Se tutte le altre scienze pure e umanistiche trovavano al proprio interno uno scopo, ben più difficile era comprendere quale fosse il fine della storia. Nei secoli si sono succedute diverse correnti di pensiero, ben esposte nel celebre testo di Karl Löwith, Significato e fine della storia. Potremmo riassumere questa idea in tre ramificazioni. La prima è quella secolare, per cui la storia umana ha il suo compimento in ambito religioso. La seconda è quella della “Historia magistra vitae” un motto concepito da Cicerone e che vede nella storia e negli eventi passati un monito per il futuro. Strettamente legata a questa vi è infine una branca che potremmo definire come “storia oracolare“: l’idea che studiando i modelli del passato si possano comprendere meglio quelli del presente e prevedere quelli del futuro.
Löwith non fu il primo ad analizzare queste idee. Ma certo fu uno dei primi a rendere palese come la storiografia fosse una materia fine a se stessa. Non esiste uno scopo nel voler studiare la storia, se non quello di comprendere gli eventi passati. Un concetto espresso all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1949, quando ancora la delusione verso la materia era cocente. Possibile che, di fronte all’avanzare dei totalitarismi, non ci fosse stato modo di prevedere una nuova Guerra Mondiale?
Ricollegandoci all’inizio del paragrafo possiamo azzardare una domanda: e se fosse stato proprio il tentativo di eleggere la storia a “maestra di vita” la causa dello scoppio della nuova guerra? L’idea che, ammaestrati dal passato, si potesse guidare il mondo presente con saggezza, indirizzandolo verso un futuro migliore sembrava aver fallito. E c’è da chiedersi se anche Isaac Asimov abbia riflettuto su questo aspetto in quell’estate del 1941, quando pensò a una storiografia con maggiori basi scientifiche, capace di essere realmente utile al futuro della razza umana.
Una nuova storia
Curiosamente, proprio negli anni tra le due guerre, la storiografia subì una serie di importanti cambiamenti. L’esperienza che maggiormente mutò lo studio del passato avvenne in Francia, con la formazione della corrente detta Nouvelle Histoire. È il 1929 quando il mondo accademico conobbe per la prima volta la rivista destinata a cambiare per sempre l’approccio alla storia, Annales d’histoire économique et sociale.
A questa rivista, che vede tra i suoi massimi esponenti Marc Bloch, Lucien Febvre ed Henri Pirenne, si deve l’attuale concezione della storiografia. La scuola degli Annales iniziò a concepire lo studio della storia non più come un mero insieme di eventi e di date collegati tra loro. La trasformazione fu nel comprendere il perché delle trasformazioni, senza limitarsi a prenderne atto. I mutamenti che la razza umana aveva subìto iniziarono a essere analizzati attraverso la lente diverse materie. L’economia, la sociologia, la geografia, divennero tutte parte dello studio della storia.
Il successo della Nouvelle Historie continuò anche dopo la morte dei suoi fondatori. Conoscere il passato, grazie al lavoro di storici come Jacques LeGoff, non fu più un’operazione legata a uno studio “evenemenziale”. La storia iniziò a essere considerata un organismo pulsante di vita. Di questa diventava possibile non solo conoscere, ma anche comprendere i mutamenti causa dei grandi eventi. Forse fu proprio grazie all’esperienza degli Annales che la storia ottenne una propria dignità scientifica, al pari di discipline come l’antropologia e la sociologia.
Questo nuovo modo di comprendere gli eventi passati, pur affermandosi a livello accademico in meno di un ventennio, trovò di fronte a sé un’iniziale resistenza. Nel mentre il dibattito attorno agli Annales e ai metodi della Nuova Storia si accese e coinvolse non solo gli addetti ai lavori, ma anche gli appassionati in diverse parti del mondo. E c’è da chiedersi se anche un giovane autore di origine russa abbia letto i saggi degli Annales. In effetti se rileggiamo il Ciclo della Fondazione il personaggio di Lewis Pirenne, omonimo dell’esimio medievista belga, sembra strizzare l’occhio alla corrente della Nouvelle Histoire.
Storia e psicostoria: nemiche di natura?
Proprio in questo possiamo trovare una correlazione tra lo studio della storia, così come concepito dagli Annales, e la psicostoria di Foundation. Non basta conoscere l’evento accaduto in un dato momento storico per capirlo, ma è necessario analizzare tutte le trasformazioni che hanno portato a quell’evento. In maniera non dissimile la psicostoria cerca di sfruttare alcuni processi sociali, facendone numeri ed equazioni per trovare infine un punto di arrivo.
L’esperienza degli Annales e quella delle teorie di Seldon ovviamente si proiettano su direzioni opposte, ma sempre con la volontà di colmare un vuoto, l’ignoto. La prima studia il passato; le seconde cercano di conoscere il futuro. E proprio qui sembra nascere una spaccatura insanabile tra la storia e la psicostoria, qualcosa che potrebbe rendere le due scienze nemiche.
Come detto la storia non ha un fine o un significato. Conoscere il passato è un’operazione fine a se stessa, necessaria per comprendere cosa ci abbia portato al nostro presente. Ma questo non vuol dire la storia possa aiutarci a comprendere anche il futuro. Ogni evento nasce come frutto del proprio periodo storico, al pari di molte altre manifestazioni di quel contesto: l’arte, la politica, le trasformazioni sociali, sono tutte qualcosa legate in maniera inevitabile alla storia.
La psicostoria compie un’operazione per certi versi antitetica. Cerca di proiettare verso il futuro determinati prodotti del presente, in modo da comprendere quali possano esserne gli sviluppi. In un certo senso è il ritorno a quel modello di storia oracolare, un modello che certo deve aver affascinato molto Asimov, nato nel bel mezzo della guerra civile russa e costretto a vivere da vicino un evento traumatico come la Seconda Guerra Mondiale. Ma che, a conti fatti, rende la psicostoria e quanto narrato in Foundation un’ambizione agli antipodi della storia.
La grande discriminante tra le due materie sta proprio in questo aspetto. La psicostoria si muove su un sentiero che ha un fine ben preciso. In essa si avverte un sentore escatologico, che avvicina il lavoro di Asimov più a quello di Karl Marx che alla scuola degli Annales. Qualcosa che potrebbe quasi indicare una sfiducia verso la storiografia. O, forse, una disillusione: a fronte di una storia fine a se stessa, la reazione diventa quella di cercare una materia che abbia uno scopo più alto. Anche a costo di tradire parte della sua natura.