Ciao Alberto! Innanzitutto grazie per averci concesso questa intervista nonostante i tuoi molteplici impegni! Ti va di cominciare quest’intervista raccontando ai nostri lettori chi sei?
Alberto Belli, classe 1979, nei videogiochi dal 2001. Ho cominciato in una redazione, Play Press, scrivendo sulle riviste cartacee più vendute dell’epoca. Sono stato Editor in Chief di Xbox Magazine e Senior Editor di Game Republic e PlayStation Magazine Ufficiale. Nel 2006 sono passato dall’altro lato della barricata, in Leader, gestendo i rapporti con tutte i publisher distribuiti (Bethesda, Midway, Eidos, Ghostlight, Empire e molti altri), curando le PR di tutti i nostri prodotti da Amministratore Delegato di Pulsar, la società del gruppo dedicata al marketing e alla comunicazione. Nel 2008 sono passato in Black Bean, come Head of PR worldwide per seguire tutti i titoli della label e in particolare i racing di Milestone. Successivamente sono tornato al giornalismo, con la start-up italiana di Eurogamer, uno dei marchi più importanti del mondo. Nel 2010 nuovo salto nello sviluppo, questa volta mobile. Ho costruito il portfolio di un piccolo studio indie chiamato Forge 11 che è stato poi rilevato da Reply, la holding che ha poi fatto di Lone Wolf il suo titolo di punta. La licenza di Lupo Solitario è stata la cosa più importante seguita nei 3 anni da manager della newco. A dicembre del 2013 ho lasciato Reply e sono tornato a Roma con l’idea di fondare uno studio. A settembre abbiamo firmato le carte ed è nata Storm in a Teacup.
Il tuo è un curriculum notevole, tant’è che hai militato in diverse società italiane. In tal senso come nasce l’idea di Storm in aTeacup? Ossia: da dove deriva questa tua scelta di aprire un software house tutta tua?
Ho passato tanti anni nelle realtà più importanti dell’industria italiana e lavorato soprattutto con l’estero. Penso che a un certo momento sia normale pensare di creare qualcosa di tuo, quando possibile. Grazie all’incontro con i miei due soci, Carlo Bianchi e Ivo Carè, abbiamo avuto modo di verificare se esistessero le condizioni per iniziare questa avventura e in breve siamo diventati operativi.
A quali difficoltà va incontro chi decide di investire in una software house italiana? In particolare quali sono le difficoltà che hai riscontrato tu nel mettere in piedi il tuo progetto?
Ci sono tutte tutte le difficoltà comuni a qualsiasi tipo di impresa in Italia più quelle derivanti dal fatto che il sistema qui ignora completamente un’industria che per crescere dovrebbe essere aiutata più di altre (inutili) che continuano ad essere foraggiate. Le difficoltà sono poi ovviamente anche burocratiche e legate ad aspetti che con l’operatività non c’entrano niente.
Si tende a parlare poco di game industry italiana. Tu che ne fai parte cosa ne pensi e dove pensi che il settore debba puntare?
L’industry italiana semplicemente non esiste, almeno per la mia idea di industry che è quella legata ai paesi con cui ho lavorato a lungo. In Italia si sviluppa su mobile, non su console. I problemi di cui parlavo prima inficiano la nascita di imprese che, qualora riuscissero ad emergere, dovrebbero comunque confrontarsi con il rischio fallimento che in altri paesi fa parte del gioco quasi. Sbagli, fai esperienza, ricominci. Qui se sbagli sei condannato a vita. Se poi parliamo di mercato è un altro discorso: c’è, esiste. Ma dal punto di vista del development è tutto grigio.
Sempre restando nella game industry del nostro paese, quale pensi sia il posto di Storm in a Teacup? E come ne vedi il futuro?
STC è un’azienda atipica. Siamo geograficamente in Italia ma lo studio è impostato in maniera anomala rispetto alle realtà nostrane. Questo perchè io e Carlo veniamo da certi tipi di ambiente e ci piaceva l’idea di costruire qualcosa di più di un semplice ufficio. A noi non interessa il discorso mobile, è un mercato imprevedibile e il nostro background è legato a produzioni di un certo tipo. STC punta alle console e a un certo tipo di produzioni su cui abbiamo già una grande esperienza. Si tratta di posizionare un’azienda e non un prodotto, che è la cosa che fanno tutti, sbagliando, inizialmente. Spero che il nostro approccio possa aiutare anche altri, considerando che avendo operativamente iniziato solo a febbraio, abbiamo ottenuto dei risultati in termini di visibilità e opportunità, che altre aziende non hanno mai raggiunto in anni di attività. E noi parliamo di 7 mesi.
Il vostro prossimo progetto è l’attesa esclusiva per Xbox One, NERO. Ti andrebbe di parlarcene? Ma soprattutto: cosa lo rende un gioco diverso dagli altri?
NERO è nelle intenzioni un’esperienza di quelle che ti porti dietro anche una volta spenta la console. Questo sarà probabilmente il suo punto di forza pur essendo de facto un puzzle game che si ispira a un capolavoro come Myst nelle meccaniche. Si tratta di un qualcosa di profondamente personale, da leggere in maniera differente a seconda della propria sensibilità.
[youtube url=”http://youtu.be/M9qeSpRhkRU” autohide=”2″ fs=”1″ hd=”1″]
Puoi svelarci qualcosa di più sul gameplay?
Come sopra: esplorazione e puzzle solving sono i due elementi principali. Nel gioco impersonerete un bambino costantemente seguito da un personaggio incappucciato vestito di nero, utilizzabile per risolvere alcuni enigmi e che sarà determinante ai fini della narrazione. Per sapere ogni cosa del gioco, sarà necessario completare una serie di puzzle facoltativi, lungo questo viaggio attraverso diversi environment onirici che saranno parte integrante del pacchetto, con riferimenti a cose che faranno capire altre cose e via così. Parliamo di un gioco in prima persona, con una narrazione molto interessante, cinematiche coinvolgenti, musiche eccezionali. E tante altre sorprese.
Avete già pianificato DLC o un seguito?
Di questo non possiamo parlare in questo momento.
Di NERO ci ha subito colpito lo splendido comparto artistico, che sembra quasi ricalcare un certo tipo di animazione. A cosa vi siete ispirati?
NERO è stato pitchato come un mix tra Journey, Myst e Avatar. Dal punto di vista artistico il risultato credo sia stato ampiamente raggiunto. Carlo, tra le altre cose, ha lavorato anche al film di Cameron quindi una volta ancora: l’importante è avere in casa le competenze per fare cose. I risultati arrivano sempre.
Restando in tema di sviluppo: c’è un progetto a cui guardi con ammirazione ed al quale, magari, ti sarebbe piaciuto prendere parte?
Per fortuna parlando di publishing e sviluppo, ho avuto la fortuna di partecipare a numerose produzioni internazionali seguendo i lanci italiani dei vari prodotti. In 3 anni di Leader ho mandato a scaffale oltre 250 prodotti di ogni tipo e ho avuto la fortuna di seguire titoli come Stranglehold, Kane & Lynch, Unreal Tournament, Fallout 3, Age of Conan e molti altri. Se parliamo di produzioni attuali in sviluppo, Pillars of Ethernity. Sono un fanboy Obsidian e ho lasciato 400€ su Kickstarter per finanziare il progetto. Tanto per capire il livello.
Una domanda da nerd: Gioco preferito e motivazioni?
Nessuno può limitarsi a un titolo, sarebbe come chiedere se si vuole più bene a papà o a mamma. Ho iniziato con l’Amiga 500 e per me tutto parte da lì. Ho amato tutti i giochi di Cinemaware (It Came from Desert, Wings, Lord of the Rising Sun, i TV Sports), quelli di MicroProse (Pirates!, Airborne Ranger, le simulazioni) e un milione di altri. Ultima Online è stata forse l’esperienza videoludica che ha portato via più tempo nella mia vita. Su The Elder Scrolls, tra Arena e Skyrim, avrò speso 1300 ore di gioco. Che vuoi che ti dica? Se mi puntassero un fucile alla testa, comunque, Baldur’s Gate immagino. Ma sono talmente tanti…
Tra i nostri lettori ci sono molti che ci scrivono chiedendo consigli su come intraprendere a carriera di sviluppatore. Ti andrebbe di dar loro qualche consiglio?
Di andare all’estero per capire veramente come funziona questo mondo. In questo momento, in questo paese, il problema del lavoro è serio e non riguarda i videogiochi. Nel nostro settore è pieno di improvvisati professionisti in grado di fare più danni che altro. Idem se si parla di percorsi formativi, con cui io ho avuto spesso a che fare nelle vesti di detrattore: se decidete di studiare qualcosa, informatevi prima su cosa ha fatto chi dovrebbe insegnarvi cose. Non esiste altro modo per arrivare preparati al lavoro. Poi molto varia da ciò che si vuole fare. L’Italia è la patria dei generalist: un programmatore che sa fare tutto, un artista che sa fare tutto. I videogiochi sono la culla della specializzazione invece: una cosa sola ma fatta bene. Per questo, again, esperienza all’estero per me è sempre consigliata. Non tutti hanno la fortuna e la chance di entrare dalla porta principale qui, le aziende sono troppo poche e il turnover molto basso.