Come ti rivoluziono serialità e mostri della settimana.
Che Netflix abbia rivoluzionato il mercato è un dato di fatto. Oggi, la serialità di maggior successo nasce dal superamento della serie TV “modulare”, avvicinandoci sempre di più a serie con uno svolgimento della trama continuativo, senza i temuti episodi filler che, nel 90% dei casi, vengono salutati dai fan con una salva di sbadigli e pernacchie. In sceneggiati come Grimm e Supernatural, e prima ancora nei moloch intoccabili come X-Files, è difficile superare lo scoglio dovuto al famoso “monster of the week”, per tenere vivo l’interesse dello spettatore sulla trama principale della stagione.
Ecco quindi che Netflix, col lancio di Stranger Things, si propone una sfida non da poco: realizzare una serie TV a sfondo paranormale, cercando di unire a una trama lineare la presenza di differenti eventi di natura sovrannaturale. Sarà riuscito l’astro nascente delle piattaforme digitali a coniugare due aspetti apparentemente inconciliabili? Scopriamolo insieme nella nostra recensione (senza spoiler) dell’intera prima stagione.
Scomparso nel nulla
Le premesse di Stranger Things appaiono banali. Negli anni ’80, nella classica cittadina americana dell’Indiana, il piccolo Will Byers scompare nel nulla in circostanze sospette. Inizia un’indagine che scoperchierà un vero e proprio vaso di Pandora, da cui emergeranno casi sempre più inquietanti, intrecciati con segreti governativi, esseri soprannaturali e una ragazzina inquietante e misteriosa che sembra in qualche modo legata al rapimento di Will. Nella miglior tradizione delle serie Netflix, la trama inizia a svilupparsi sin dal primo episodio, senza costringere lo spettatore ad attese troppo snervanti, portandolo in maniera graduale, ma costante, all’interno degli eventi della serie. E, soprattutto, senza episodi filler.
La scomparsa di Will, limitata a una scena prima dei titoli di testa, è funzionale al dare il via agli eventi, portando immediatamente lo spettatore “sul campo”, facendogli affrontare sostanzialmente due filoni. Da un lato ci sono le ricerche della polizia e dalla madre per ritrovare il figlio, dall’altro gli amici di Will, che non si rassegnano all’idea di stare a guardare, prendendo l’iniziativa e iniziando loro stessi a cercare l’amico scomparso. In mezzo ci sono dei misteriosi agenti governativi che danno la caccia a qualcosa, collegata forse a una misteriosa e inquietante bambina dotata di poteri paranormali.
Di certo la trama non brilla per originalità, il tema del sovrannaturale e quello del rapimento di un minore sono stati ampiamente sfruttati sul piccolo schermo, anche di recente (The Family). Eppure Stranger Things riesce a brillare di luce propria sotto diversi punti di vista. In primo luogo il cast è decisamente di alto livello. Ci troviamo di fronte a un mostro sacro del grande schermo come Winona Ryder, da un po’ di tempo lontana da grandi ruoli, calata perfettamente a suo agio nella realtà di una serie televisiva, che riesce più volte a trasmettere allo spettatore quella sospensione dell’incredulità fondamentale per fargli credere che la stella di Hollywood sia effettivamente una madre disperata, alla ricerca del figlio più piccolo, col quale mostra di avere una particolare complicità. Se la Ryder costituisce una garanzia, poteva al contrario sembrare una scommessa David Harbour, alla sua prima vera apparizione in un ruolo centrale all’interno di un serial. E pure qui la scommessa si rivela vincente: il ruolo del poliziotto di provincia, disilluso, arrabbiato per un lutto recente, dipendente dai farmaci e relativamente poco attento alle necessità della sua comunità calza a pennello all’attuale generale Eiling di Suicide Squad, coniando momenti memorabili (su tutti “il lunedì mattina è dedicato alla contemplazione e alle ciambelle” che rende immediatamente l’idea del personaggio).
Sorprendente, anche se a prima vista poco convincente, è il grandissimo spazio lasciato ai membri più giovani del cast, i tre nerd amici di Will, Lucas, Mike e Dustin. Per un ragazzo cresciuto negli anni ’80 e ’90, con le stesse passioni per D&D e i fumetti Marvel è inevitabile identificarsi in loro. Tra gli aspetti più divertenti ci sono stati i continui riferimenti a vari libri e film horror e fantasy. Sentire i ragazzini rinominare una strada della città Bosco Atro, oppure stabilire che “Radagast” è la parola d’ordine per entrare nel fortino vi farà sogghignare più di una volta. Fanservice per nerd appassionati di fantasy, senza dubbio, ma riuscito benissimo. Quando si riesce ad andare oltre questo: i vari momenti di forte tensione della trama vengono stemperati dai tre giovani attori, che coniugano in maniera perfetta una buonissima recitazione e una particolare dose di humour, senza cadere mai nel banale.
La versione inquietante di E.T.
Il personaggio di Undici (o Undi, in una pessima trasposizione del gioco di parole inglese) appare da subito centrale. Prima in fuga, poi nascosta sia agli adulti, già spesso indifferenti a quanto successo a Will, sia a chi le sta dando la caccia. Inevitabilmente il nostro pensiero va al film di Steven Spielberg, E.T., pietra miliare del cinema anni ’80.
E infatti sembra davvero di vedere E.T. (chiaro l’omaggio nella scena iniziale, con la partita a Dungeons & Dragons, ancora più chiaro nel finale della prima puntata) o altri classici “Kid Movie” anni ’80, come The Monster Squad, Stand By Me, The Goonies, ma con tinte decisamente più inquietanti, in cui i governativi non appaiono come degli adulti boccaloni pronti ad essere giocati da un branco di ragazzini, ma come assassini spietati disposti a tutto pur di recuperare qualcosa che li tenga “un passo avanti ai russi” nella corsa agli armamenti.
Tra gli aspetti che colpiscono maggiormente c’è la capacità di evocare alla perfezione i “favolosi” anni ’80 attraverso diversi particolari. Non è solo una questione di Guerra Fredda, Ronnie Regan e quell’atteggiamento molto “America, fuck yeah!” tipica degli Eighties, ma è anche una questione di atteggiamento, di calarsi in una generazione, quella in età pre-puberale all’inizio degli anni ’80, che viveva in un mondo in rapido cambiamento, sopportando il distacco che ne è conseguito. Oltre a questo è efficace anche la scelta di alcune musiche per rievocare l’atmosfera (ascoltare pezzi presi da Combat Rock dei Clash e i Toto che cantano Africa, c’è qualcosa di più anni ’80, scaldamuscoli esclusi?). Insomma, possiamo dire che puntare sull’effetto nostalgia funziona, soprattutto quando si riesce a ricreare così bene il clima di un decennio storico.
Il principale difetto di quella che risulta comunque un’ottima produzione è dovuto principalmente all’elemento sovrannaturale che, per quanto capace di evocare atmosfere inquietanti di altissima tensione, stenta un po’ a emergere, sacrificato in favore di altri elementi. Quando metti insieme drammi familiari, cospirazioni governative, teen drama e film anni ’80 è inevitabile che qualcosa si perda, ma non è certo cosa da poco che in una serie sul soprannaturale sia proprio il soprannaturale a pagare dazio.
Quando però la componente horror dello show riesce a uscire fuori dal bozzolo lo fa con prepotenza. Assistiamo così a momenti di vero terrore, capaci di trascinare lo spettatore in una dimensione alternativa venuta fuori da un film di Carpenter. Questo però, per l’impostazione stessa della serie, non può che avvenire gradualmente, come una progressiva scoperta da fare in compagnia dei protagonisti stessi dello sceneggiato.
Se cercate una serie TV sul modello di Supernatural o X-Files, con una “mitologia” ben curata e presente in ogni istante, potreste ritrovarvi delusi. Se invece avete amato E.T. e i Goonies, vi siete spaventati per The Thing e Nightmare o semplicemente siete nostalgici degli anni ’80, allora sotto con la visione di Stranger Things. Non ve ne pentirete.