Storia sentimentale di un cortocircuito spiritual-culturale che parte in Italia, va negli Stati Uniti e torna in Italia ammantato di mistero.
uando cresci a cavallo tra gli anni novanta e il primo decennio del XXI secolo in un paesino di provincia, è molto probabile che il tuo iter spirituale comprenda un battesimo, il catechismo una volta a settimana, la visione del film d’animazione Dreamworks Il principe d’Egitto, l’ora di religione a scuola, comunione, e cresima. Più che iter spirituale, potremmo forse considerarlo una convenzione – nella mia famiglia nessuno ha mai frequentato la chiesa al di fuori di matrimoni o funerali – e capita poi che durante l’adolescenza una cerchi altre forme di spiritualità – che magari non prevedano di imparare a memoria l’atto di dolore e svegliarsi presto la domenica mattina.
Quando cresci a cavallo tra gli anni novanta e il primo decennio del XXI secolo in un paesino di provincia, e inizi a guardarti intorno in cerca di altre forme di spiritualità, è probabile che tu finisca per incappare nella Wicca. La Wicca è una religione pagana moderna, modernissima – nata nel 1954 da un padre, Gerald Gardner, e una madre, la High Priestess Doreen Valiente – che con il passare degli anni e la perdita di coesione delle congreghe alla visione gardneriana, ha abbandonato la sua dimensione di culto misterico a cui solo le persone iniziate potevano avere accesso. Anche per questo motivo, a partire dagli anni 2000 arrivano in Italia i romanzi e i saggi di personalità del neopaganesimo come Silver Ravenwolf, che vanno a posizionarsi in una nicchia del mercato dei proto-young adult occupata, in quegli anni, proprio dalle streghe – dalle oggi nuovamente popolari W.i.t.c.h. alle semi-dimenticate Isa e Bea Streghe tra noi.
Fondamenti di Wicca
Ma facciamo finta che non tutte e tutti voi siate state adolescenti di provincia a cavallo tra i due secoli: cos’è la Wicca? La Wicca è una religione che celebra la natura, i cicli delle stagioni, che riconosce l’esistenza di due principi divini – uno femminile e uno maschile – venerabili attraverso disparate incarnazioni che rendono, in sostanza, ogni pantheon rappresentazione simbolica della Dea e del Dio nelle loro varie sfaccettature.
Come dicevamo, la Wicca nasce negli Stati Uniti d’America a metà del secolo scorso e basa le sue celebrazioni – gli otto sabbath – sulla Ruota dell’anno, una rielaborazione di festività celtiche (ma anche gallesi, babilonesi, egiziane, greche e romane) legate al ciclo delle stagioni. Ecco allora che, così come la Dea veste i panni della virginale Diana, della madre Maria, della sanguinaria Morrigan – e il Dio ha il volto di Apollo, Thor, Ra, Gesù – anche i giorni di festa neopagani si sovrappongo alle celebrazioni delle altre religioni: Yule è il solstizio d’inverno, che si sovrappone all’Hannukah ebraica, che è vicina al Natale cristiano, che una volta era il Dies Natalis Solis Invicti. Oppure Imbolc – uno dei sabbat minori – è allo stesso tempo un’antica festa gallese che celebra il culmine dell’inverno, il giorno in cui si onora la Dea celtica Brigid e la Santa cristiana Brigida di Kildare, e quella che noi che siamo andate al catechismo conosciamo come Candelora.
Questa infarinatura generale dovrebbe bastarvi a capire che la Wicca è – come gran parte delle religioni esistenti – un frullato di mitologia, credenze, celebrazioni raccolte da un ristretto gruppo di persone che vi hanno nel tempo costruito un’impalcatura di ritualità e norme. Ma quali sono state le influenze di Gerald Gardner, nello sviluppare la sua idea di paganesimo? Una delle fonti riconosciute dallo stesso Gardner per la creazione della Wicca è un libretto piuttosto dimenticato, pubblicato per la prima volta nel 1899 a Londra: Aradia, o il Vangelo delle streghe. La storia del concepimento di questo testo che è contemporaneamente mitologia cosmogonica, breviario e manuale di incantamento, inizia proprio in Italia, a Firenze. L’autore, il folklorista e giornalista statunitense Charles Godfrey Leland, aveva infatti eletto la città a sua residenza, entrando in contatto – racconta egli stesso nell’appendice al suo Vangelo – con una strega dell’appennino tosco-emiliano da lui chiamata Maddalena: sarebbe stata la donna, chiromante errante, a fornire allo studioso – sotto sua insistenza – il testo manoscritto che racchiudeva la saggezza di Aradia, la prima strega, e di sua madre, Diana.
Aradia, la prima strega
Il Vangelo si apre – come tutti i vangeli – con la nascita della prescelta, che scende sulla Terra a portare il suo messaggio alle donne e agli uomini oppresse dai padroni: Diana e suo fratello Lucifero giacciono insieme, generando Aradia «la più nota delle streghe […] la prima di tutte nel mondo» che porta con sé nel mondo la ribellione e gli strumenti per metterla in atto. Nell’impianto narrativo si percepisce fin da subito un sincretismo tra paganesimo e cristianesimo, con la figura messianica di Aradia speculare a quella altrettanto rivoluzionaria di Gesù; del resto, come evidenzia anche l’antropologa e professoressa Sabina Magliocco nel suo saggio “Who Was Aradia? The History and Development of a Legend”: «le leggende cambiano sempre per rispecchiare il loro contesto sociale, si cristianizzano, e integrano riferimenti ai santi».
Nonostante la veridicità del testo di Leland sia ancora oggi oggetto di controversie (come del resto succede spesso ai testi considerati sacri), i capitoli del Vangelo delle streghe che contengono rituali e incantesimi vanno a inserirsi coerentemente nel corpus di quella che possiamo definire magia rurale italiana. Nel suo Riti e magie delle campagne, il milanese studioso di esoterismo conosciuto con il nome di Jean de Blanchefort raccoglie in forma scritta quegli insegnamenti stregoneschi italiani solitamente tramandati in forma orale ed è interessante notare come alcuni dei rituali proposti da Maddalena per mezzo di Leland, come lo scongiuro del limone e degli spilli, siano presenti – slegati dal Vangelo – in altre parti d’Italia sotto forma di legamenti d’amore o rituali per annullare un incantesimo.
Il libro di Blanchefort è, in quest’ottica, una miniera di informazioni sulla storia delle credenze delle nostre antenate, che sembravano non fare una grande differenza tra ciò che diceva la Bibbia e ciò che veniva loro tramandato dalla saggezza popolare; tra i riti si trovano infatti istruzioni per avere un’acqua benedetta molto potente da usare nei riti (spoiler: basta fare il proverbiale giro delle sette chiese in alcuni giorni dell’anno prelevando da ognuna una piccola quantità di acqua benedetta) o, ancora, invocazioni alla Vergine Maria per guarire la sciatica o a Santa Lucia per risolvere i problemi legati alla vista. Si tratta di riti a volte molto ingenui, che uniscono la conoscenza per le erbe officinali al potere delle preghiere (a Maria, Santa Lucia, o Venere che sia) e che racchiudono in sé il concetto stesso di una stregoneria che – al contrario della magia – è basata più sull’istinto che sulla ragione e che trae la sua forza più dall’empatia e dall’improvvisazione che dall’applicazione pedissequa di complessi rituali.
La Wicca statunitense, insomma, pare affondare le sue radici proprio nel complesso di credenze che circola da secoli nel nostro paese ma che sembra in grado di colpire il nostro immaginario – da sempre esterofilo – solo quando viene presentato come un fenomeno di importazione (e non è forse un caso che uno dei romanzi trend lo scorso anno su TikTok sia stato The Kingdom of the Wicked di Kerri Maniscalco, un paranormal romance con protagonista una strega palermitana recentemente portato in Italia da Mondadori con la traduzione di Maura Dalai e il titolo Il regno dei malvagi).
In questo cortocircuito di presa in prestito culturale finisce quindi che tu, cresciuta a cavallo tra gli anni novanta e il primo decennio del XXI secolo in un paesino di provincia vicino a quegli appennini tosco-emiliani da cui è nato Il Vangelo delle streghe, scopri solo ben dopo la fine dell’adolescenza che quella che credevi una spiritualità importata, l’ennesima roba figa arrivata dagli States, altro non è che una rielaborazione delle stregonerie che, molto probabilmente, la nonna di tua nonna praticava abitualmente. Una visione che dà un nuovo senso allo slogan da feminist-fast-fashion “We are the granddaughters of the witches you couldn’t burn” che, forse, dovremmo semplicemente iniziare a usare in italiano. E quindi “siamo le nipoti delle streghe che non siete riusciti a bruciare”, e non abbiamo bisogno della Wicca, per poterlo affermare.