Il Miracolo di Clint

Se il giudizio di un film è sempre, in minima parte, inficiato dal proprio stato d’animo, immaginate quanto possa destabilizzare assistere alla proiezione di Sully poche ore dopo i fatti di Medellin.

Perdonate la menzione fuori tema, ma più che un atto dovuto, il ricordo delle persone scomparse e la carrellata di immagini e video che abbiamo visto ieri sul web o nei telegiornali, fanno vivere allo spettatore di Sully un tremendo deja vù. I passeggeri del “miracolo dell’Hudson”, e l’epilogo di questa storia (vera) fanno da netto contrasto con quelli della tragedia colombiana, ribadendo sempre di più quanto la vita sia un continuo sliding doors.

Messi da parte l’amarezza e lo sconforto, ci apprestiamo tuttavia all’analisi dell’ultimo lavoro targato Clint Eastwood.

 

“Ho trasportato milioni di passeggeri in oltre 40 anni. Sarò giudicato per questi 208 secondi”.
Sentenzia così, il comandante Sullenberg. Chesley “Sully” Sullenberger sta pilotando il volo US Airways 1549, in una fredda giornata del gennaio 2009. Uno stormo di uccelli investe l’aereo, e manda entrambi i motori in avaria. Il comandante Sully ed il suo vice Skiles, inviano il mayday, e dalla torre di controllo gli suggeriscono di atterrare in uno dei due aeroporti situati nelle vicinanze; ma Sully è esperto e sa bene che non ce la farebbe mai ed il suo velivolo si schianterebbe al suolo.
È quindi costretto a prendere una decisione estrema.
Freddo, più della temperatura di 3 gradi centigradi che si percepisce all’esterno, più di quella intorno allo zero delle acque che sorvola; il suo sguardo glaciale e sicuro di sé non tradisce lo stato di ansia e paura che tuttavia deve aver provato. Non c’è tempo per le emozioni. Il comandante Sully tenta l’ammaraggio sull’Hudson, con l’US Airways 1549 che accarezza le gelide acque del fiume con soffice delicatezza, come quando da bambini ci divertivamo a lanciare sassi dalla forma piatta sulla superficie del mare, facendoli rimbalzare. Un atterraggio da far invidia a quelli di alcune compagnie low cost.
155 passeggeri: 155 sopravvissuti.

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Ma per il National Transportation Safety Board (NTSB), l’agenzia investigativa indipendente del Governo degli Stati Uniti, tutto questo non è abbastanza. Il comandante Sullenberg avrebbe potuto atterrare in sicurezza in uno dei due aeroporti nonostante l’avaria, perché c’erano le condizioni necessarie per farlo, dicono.
Ed ecco quindi che la visione dell’uomo Sully si divide. Per l’immaginario collettivo è un eroe, per la legge è una persona indagata.

Questa doppia percezione è una costante in tutto il film, e si ripercuote anche sulla personalità di Sully, dapprima determinato e sicuro delle scelte fatte, poi indeciso e turbato. Il dubbio che avrebbe potuto fare di più, di aver messo in pericolo le vite di 155 esseri umani, compresa la propria ed il destino di tutte quelle famiglie, lo assale ed inquieta i suoi sogni, anche ad occhi aperti.
Il maestro Clint Eastwood è superbo nel rendere così densa d’emozione l’atmosfera complessiva. Dalle notti in albergo, dove Sully e Skiles si chiamano da una camera all’altra per cercare di farsi forza, alle loro passeggiate nel cuore delle fredde notti newyorkesi, alle telefonate tra Sully e la moglie, fino alla grigia fotografia che fa il paio con le sfumature che l’NTSB vuole per forza vedere in una vicenda che, invece, è quanto di più candido e bianco si possa volere.
“In aria la vita è più facile”, dice Sully al suo vice mentre solcano i cieli dopo il decollo da LaGuardia. Ed ha ragione, col senno del poi.

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I need a hero

L’eroe è una figura centrale nelle recenti produzioni eastwoodiane. Simili e al contempo diversi, da J.Edgar Hoover a Chesley “Sully” Sullenberger, passando per il Chris Kyle di American Sniper, il regista tratteggia le linee marcate di figure forse non perfette ma tremendamente umane, coinvolte in un gioco dal quale gli è impossibile tirarsi indietro, ma devono soltanto andare avanti con tutte le proprie forze. Non è mera narrazione, né tantomeno la ricerca del favore del pubblico, ma è il timbro del cinema di Eastwood, di quella sorta di sfida che cerca continuamente con i suoi personaggi, mettendosi in gioco con loro, in alcuni momenti standogli a fianco e in altri guardandoli a distanza.

Tom Hanks gli tiene testa come in pochi hanno saputo fare. La sua è una maschera multiforme, dalle diverse sfaccettature, ma sempre sicura e risoluta, quantomeno nei momenti decisivi.
La sua freddezza si trasforma nella naturalezza di chi sa di trovarsi dalla parte della ragione, e nel momento in cui ne prende atto non teme il giudizio di nessuno. Ha già convinto chi doveva: la sua famiglia, le sue figlie e soprattutto la moglie, dalla quale cerca e trova conforto nelle telefonate (“sai che ho fatto tutot il possibile, vero?”), e soprattutto i passeggeri, che lo venerano alla stregua di un eroe.

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L’NTSB veste i panni della complessa macchina burocratica, in una radicata accusa al sistema spesso fallimentare. Quello dal quale vengono emessi giudizi ed emanate sentenze con facilità disarmante e senza considerare il fattore umano.
Sully è dunque un Flight pulito e deterso, in antitesi con il pur ottimo prodotto di Zemeckis soprattutto per le vesti del protagonista, che indossa l’uniforme del rigore e della completa dedizione al lavoro, mantenendo l’abilità alla guida del comandante Whip aka Denzel Washington.
In tutta l’ora e mezza di film, sorvolando tra i dubbi dei protagonisti, teniamo in alto un’assoluta certezza: che Clint Eastwood non perde mai quota.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.