Nel bene e nel male: quando i fumetti di supereroi affrontano i tabù
L’affermazione “i fumetti sono roba per bambini” è certo una delle più frequenti con cui siamo stati costretti a convivere. Specie quando si parla dei comics americani, DC o Marvel, c’è la costante idea che al loro interno non possano essere trattati argomenti di una certa sensibilità. Veri e propri tabù, che sulle pagine dei fumetti di supereroi alle volte hanno trovato un proprio spazio e una propria dignità.
Certo, non si è trattato di un percorso facile, specie per le accuse che vennero fatte ai comics alla fine della Golden Age. Abbiamo più volte nominato Seduction of the Innocent, controverso libro dello psicologo Fredric Wertham che, con parecchie libertà sulle fonti, accusava i “crime comics” di veicolare immagini violente e al limite della pederastia, capaci di traviare i giovani. Sotto accusa, in particolare, c’erano Batman e Robin, il cui rapporto era considerato al limite dell’omosessualità per la società americana degli anni ’50, e Wonder Woman, troppo indipendente per i canoni della donna nell’America del conformismo.
Ecco perché per i comics, affrontare determinati argomenti, può essere spesso ricordato come una piccola pietra miliare. D’accordo, non è sempre vero. Spesso gli sceneggiatori non sono in grado di raccontare al meglio una storia e finiscono per regalarci momenti al limite del paradossale, come l’incesto tra le versioni Ultimate di Scarlet e Quicksilver o il vilipendio di cadavere sulle pagine di Green Lantern (mai sentito parlare di “woman in the fridge“?).
Ma proviamo a scoprire quando i comics sono riusciti a veicolare, in maniera corretta, un messaggio potente e ad affrontare un tabù all’interno dei fumetti di supereroi. Dobbiamo, tuttavia, fare una piccola premessa. Data l’ampiezza dell’argomento toccheremo solo in parte alcune tematiche su omosessualità, razzismo e sessismo nei comics americani. La vastità di questi argomenti è tale che potrebbe essere spunto per altri articoli.
1 – Omosessualità: Hulking e Wiccan (Young Avengers Vol 1. #7)
Partiamo con quello che forse è l’argomento più tabù di tutti per i fumetti di supereroi, l’omosessualità. Negli anni è stato sempre difficile affrontare questo tema e la maggior parte dei personaggi presenti sulle pagine dei fumetti erano villain stereotipati, ritratti poco lusinghieri di una comunità che a partire dagli anni Sessanta aveva iniziato un difficile processo di affermazione nella società statunitense. Se poi aggiungiamo le accuse di Wertham, il gioco è fatto. Mostrare due eroi intenti a baciarsi era qualcosa di impensabile per la società americana, almeno fino agli anni ’80.
Tra i primi a trattare con disinvoltura e senza personaggi macchiettistici questa tema troviamo il Bardo di Northampton, Alan Moore in persona, che nel suo Watchmen non si limita a parlare dell’omosessualità di Silhoutte, della relazione tra Captain Metropolis e Hooded Justice, ma anche della velata asessualità di Ozymandias.
Anche la Marvel nel tempo riuscì a cambiare la propria percezione, introducendo personaggi dichiaratamente omosessuali come Northstar. Ma uno dei momenti più iconici è senza dubbio il coming out di Hulking e Wiccan dei Giovani Vendicatori.
Da un certo punto di vista è anche difficile parlare di coming out. I due non hanno mai avuto la necessità di nascondersi, compresi e accettati dalle famiglie e dalla comunità dei supereroi. Il loro rapporto è certo uno dei più solidi nel Marvel Universe, capace di superare qualsiasi ostacolo tra il gradimento generale del pubblico. Ancora adesso l’immagine dei due giovani intenti a baciarsi è un messaggio potente, una scelta coraggiosa che la Marvel non ha mai esitato a rivendicare, supportata dalla maggior parte dei suoi lettori.
2 – Alcol: i demoni di Iron Man (Iron Man Vol 1, #128)
Parlare di alcolismo in qualsiasi società è sempre un problema, principalmente perché viene spesso percepito come una dipendenza minore. Almeno questo è quello che sembra dirci la morale comune, quella che vede sì la dipendenza da alcol come sbagliata, ma in fondo meno sbagliata del fumo o della droga. Ecco perché trattare di alcolismo non è mai facile. La gente non vuole ascoltare. E non diventa più facile se a parlarne è Iron Man.
Prendete uno degli eroi più popolari del momento e fatene un alcolizzato. Otterrete uno dei migliori cicli di storie mai realizzati, ma non solo. Il lavoro creato da David Michelinie e Bob Layton non è un semplice arco narrativo, ma è l’essenza stessa di Tony Stark, un uomo che posto di fronte ai suoi fallimenti si rifugia nell’alcol, iniziando un percorso autodistruttivo che ha ripercussioni tuttora.
All’epoca le cose iniziarono con alcuni malfunzionamenti dell’armatura di Tony. Poco alla volta il “genio, miliardario, playboy, filantropo” perse tutto, la sua azienda, il suo denaro e la sua reputazione, senza poter reagire. In quel momento si chiese se il mondo non potesse fare a meno di Tony Stark, iniziando a pensare di vivere solo come Iron Man. Peccato che dare l’armatura più avanzata del mondo in mano a un alcolizzato sia più che semplicemente pericoloso. La spirale distruttiva di Tony si placherà solo col tempo, dopo molta fatica e dopo aver compiuto un percorso che lo costringerà a ricominciare da zero, come uomo e come eroe. Un percorso che, se guardiamo bene, non si è ancora concluso. Dal 1979.
Se prendiamo tra le mani un albo di Iron Man ancora oggi noteremo come il suo passato da alcolista abbia condizionato la sua esistenza. L’esempio più lampante è la scelta di accettare l’Atto di Registrazione e guidare la fazione filogovernativa nella prima Civil War. Tony non sceglie di schierarsi col governo solo perché crede nell’Atto, ma soprattutto perché ritiene che la comunità dei supereroi sia fuori controllo, che dopo l’incidente di Stamford abbia bisogno di un momento di autocoscienza, una sveglia che gli faccia capire di aver toccato il fondo. Una prospettiva a modo suo distorta, con tutti gli errori che ne conseguono. Ma che è parte anche delle scelte migliori del personaggio, del suo spirito di sacrificio e della sua dedizione alla causa verso la pace e la protezione del mondo.
3 – Droga: Batman ha un problema (Legends of Dark Knight, #16-20)
Droga e supereroi è un connubio piuttosto noto per gli albi a fumetti, tanto che difficilmente potremmo pensare a un tabù. Molto spesso abbiamo visto i nostri eroi combattere contro criminali “dopati”, basti pensare a Mr. Hyde o a Bane.
Il problema nasce quando sono gli eroi a fare uso di droghe, o persone a essi vicini. Il primo a parlarne in maniera concreta fu il nostro amichevole Spider-Man di quartiere, con il ciclo Green Goblin Reborn del Maggio 1971, nel quale furono raccontati i problemi di droga di Harry Osborn, cosa che mandò su tutte le furie la CCA e spinse il Sorridente Stan a pubblicare l’albo senza il famoso bollino di approvazione. Lo stesso anno la DC rispose con Snowbirds don’t Fly, nel quale vennero affrontanti i problemi di dipendenza del sidekick di Green Arrow.
Ma in questi due casi non parliamo di eroi alle prese con una dipendenza. Dovremo aspettare il 1979 con Iron Man e Demon in a Bottle per vedere qualcosa di simile. La risposta della DC arriverà nel 1993, con un ciclo di cinque storie con protagonista il Crociato Incappucciato.
Dopo aver fallito il salvataggio di una bambina Batman perde fiducia in se stesso. Motivo per cui accetterà l’offerta di uno scienziato per delle pillole capaci di aumentare la sua forza fisica e la sua resistenza. I risultati sono immediati, e Batsy diventerà presto dipendente da questo farmaco, nonostante Alfred cerchi di fermarlo. In questa run assistiamo a scene a dir poco incredibili, come Bruce intento a litigare col suo “pusher” per aver ottenuto una dose inferiore a quanto previsto, o alcune memorabili risate isteriche del Cavaliere Oscuro, oggi oggetto di meme. Batman drogato? Il mondo è prossimo alla fine.
Per superare la crisi arriverà a utilizzare un metodo degno di Renton in Trainspotting: chiudersi per un mese nella Bat-Caverna e rimanervi fino alla completa disintossicazione (prima di cercare i pusher per riempirli di botte).
4 – Stupro: il caso Barbara Gordon (Batman: The Killing Joke)
Lo stupro è forse il tabù più complicato da affrontare nei fumetti di supereroi. E non è detto che la cosa avvenga nel migliore dei modi, basti pensare a Carol Danvers, quando ancora vestiva i panni di Ms. Marvel (ci arriveremo…). Negli anni si sono moltiplicati casi di questo tipo, non solo eroine, ma anche uomini come Nightwing e Iron Man (se possiamo considerare violenza l’essere rapiti e seviziati dalla propria stessa armatura…) e persone a loro vicine (è il caso della moglie di Elongated Man).
Tuttavia uno dei casi più discussi e controversi è quello di Barbara Gordon, Batgirl. Un evento raccontato nel puro stile di Alan Moore: un pugno in piena faccia rifilato al lettore. Da un certo punto di vista si potrebbe vedere Barbara come una semplice “woman in the fridge” per costringere all’azione il personaggio principale. Ma quanto mostrato dal Bardo è molto di più.
The Killing Joke è certo una pietra miliare della storia dei comics, qualcosa capace di far riflettere sulla natura stessa di Batman e del Joker. Ma per giungere a questo punto c’è un sentiero oscuro da percorrere, capace di sconvolgere la mente dei lettori. Il momento cardine di questa vicenda è il piano del Joker di far impazzire il commissario Gordon, sparando a sua nipote Barbara per poi denudarla e scattarle delle foto.
Si è discusso a lungo se in questa occasione Joker abbia anche violentato Batgirl, una discussione che ormai è in corso da trent’anni. Tutto sta nel comprendere cosa si intenda per stupro, se il semplice atto sessuale imposto o anche la violenza psicologia subita da Barbara. Un colpo di arma da fuoco con conseguente paralisi forse non rientra nella categoria dello stupro: ma che Joker abbia denudato Batgirl per poi scattarle delle fotografie certo ha una componente sessuale. Qualcosa che marchierà in maniera indelebile la povera Barbara. Alla fine spetta solo alla sensibilità del lettore decidere la natura di questo atto. Ma ciò che Moore sembra suggerire è che il Joker abbia compiuto una violenza che va al di là di un semplice colpo di pistola. Un’umiliazione che ha trasformato Barbara in un mero oggetto per il sadico piacere del Giullare del Genocidio.
5 – Razzismo: Falcon è il “Token Black” (Avengers Vol 1, #184)
Certo avrete presente Token, l’unico personaggio nero (o quasi) di tutta South Park. Il suo nome deriva dal termine “token black“, un modo di dire che si lega alla pratica del “tokenism“. Un’inclusione dovuta non alle capacità di un individuo, ma solo alla sua etnia. Ne accennammo quando vi parlammo della storia degli eroi afroamericani della Marvel, raccontando dell’ingresso di Falcon negli Avengers.
Sam Wilson era certo uno degli eroi più popolari nella comunità nera degli Stati Uniti. Il suo ingresso negli Avengers era solo questione di tempo, ma come farlo senza farlo passare per un “token black”? Magari trasformando i timori della redazione della Marvel in una storyline. In fondo, sin dal suo esordio, Sam era stato il mezzo perfetto per parlare di integrazione e problematiche razziali, e anche il suo ingresso negli Avengers poteva essere un’occasione per sollevare il velo su un’altra questione che si stava affacciando nella vita degli States.
Quando Peter Gyrich viene nominato dal governo supervisore degli Avengers, la sua scelta è di ridurre la squadra a soli sette membri. Uno di questi sarà Falcon (con buona pace di un incavolatissimo Occhio di Falco!), proprio per avere una rappresentanza di minoranze all’interno del gruppo. Nonostante per Sam questa sia l’occasione che attende da tutta la vita, l’idea di essere incluso nel team solo per la sua pelle e non per la sua abilità di eroe è un macigno insopportabile. Sceglie quindi di abbandonare i Vendicatori, tornando a farne parte solo qualche anno più tardi, passata la “gestione” governativa sul gruppo.
6 – Violenza domestica: Calabrone alza le mani (Avengers Vol 1, #213)
Quello della violenza sulle donne è un tabù difficile da gestire e affrontare, ancora troppo ignorato, ma con cui i fumetti dei supereroi Marvel provarono a confrontarsi. Ne nacque quello che forse è il punto più basso mai toccato da un Avengers. O da un supereroe in generale. Ma andiamo con ordine.
Hank Pym e la stabilità mentale non sono mai andati molto d’accordo. Il brillante scienziato inventore delle Particelle Pym nei fumetti ha cambiato la sua identità una quantità di volte assimilabile alla schizofrenia. Ant-Man, Giant-Man, Golia, Wasp (sic!), Ultron (doppio sic!) e, per non farsi mancare niente, Calabrone.
Questa ultima maschera è in realtà frutto di una sorta di incidente di laboratorio. Esposto a un gas Hank impazzisce, cambia identità e inizia ad accoppare vari criminali, sostenendo di aver ucciso Golia e di volerne prendere il posto negli Avengers. Inutile dire che i Vendicatori siano molto restii a questa idea, tranne Janet Van Dyne (l’originale Wasp), storica compagna di Pym, che ha riconosciuto l’amato sotto la maschera del Calabrone.
In una strana serie di eventi i due convolano anche a nozze, ma non si può certo dire che il matrimonio sia felice. Hank è mentalmente instabile, spregiudicato e senza controllo. Diventa abusivo, spesso insulta la moglie senza motivo e in alcune occasioni non esita a usare la forza per costringerla a fare quello che vuole e seguire le sue direttive in missione.
Il culmine si ha nella lotta contro Elfqueen. Hank, desideroso di far mostra di sé, arriva al punto di mettere in pericolo la squadra, costringendo Captain America a sottoporlo a una corte marziale. Pur di non essere cacciato dai Vendicatori Pym escogita un piano: costruire un robot-killer da mandare contro gli Avengers, sconfiggerlo e diventare un eroe ai loro occhi! Ma certo! Cosa può mai andare storto in questo piano!? Forse che l’ultima volta che Hank ha costruito un robot era un certo Ultron, il più letale tra i nemici dei Vendicatori?
Ovviamente quando Janet viene a sapere della cosa cerca di fermare Hank, dimostrando di essere l’unica ancora dotata di cervello nella coppia. Per tutta risposta il marito la colpisce con tale violenza da farla svenire, giusto il tempo di attivare il robot! Sarà proprio Wasp a salvare la giornata, sconfiggendo la macchina creata dal marito e stordendolo, poco prima di chiedergli il divorzio.
L’aver colpito la moglie segna il momento più basso della carriera da eroe di Pym. Ci vorranno anni per ricucire il rapporto con Janet, che nel frattempo riuscirà a diventare la leader dei Vendicatori.
7 – Sessismo: l’abbandono di Carol Danvers (Avengers Vol 1, #200 e Annual Vol 1, #10)
Se Pym che picchia la moglie è il momento più basso per un Vendicatore, Avengers #200 è il momento più basso dei Vendicatori. Non solo per quanto riguarda la squadra, ma per l’intera pubblicazione. Un albo così sconclusionato da costringere gli stessi autori a chiedere scusa per averlo realizzato e chiamare in causa Chris Claremont per mettere in piedi una retcon. E da far definire a Jim Shooter la sua stessa creazione “una farsa“.
Avengers #199 si concluse con la rivelazione che Carol Danvers, l’attuale Captain Marvel, era incinta di tre mesi. La gravidanza proseguì con una velocità anormale, facendo nascere un bambino a cui Carol diede il nome di Marcus. Marcus crebbe a sua volta molto in fretta, fino a rivelare la sua identità: era Immortus, una delle varie versioni di Kang il Conquistatore, che già in passato aveva avuto a che fare con gli Avengers (sia come alleato che come nemesi).
Per scappare dal Limbo in cui era rinchiuso, Immortus avrebbe contattato Miss Marvel, l’avrebbe ipnotizzata, trasportata nella sua dimensione e quindi costretta a un rapporto sessuale in cui avrebbero concepito un bambino, dove avrebbe trasferito la sua coscienza. Siete ancora con noi? Il peggio deve arrivare!
Alla fine di questa storia Miss Marvel decise… di abbandonare gli Avengers e seguire Immortus nel Limbo, col beneplacito degli compagni di squadra che le augurarono ogni bene! Uno dei momenti col più elevato tasso di WTF e idiozia nella storia dei supereroi americani.
Ovviamente le proteste dei lettori non mancarono ad arrivare. Specie dalle lettrici, che avevano visto un personaggio da sempre portabandiera dell’emancipazione compiere una scelta così assurda. Dopo essere stata rapita, ipnotizzata e violentata, un’eroina e maggiore dell’aeronautica sceglieva di seguire il suo aguzzino, favorita in questo dai suoi migliori amici. Torce e forconi ne abbiamo?
Le proteste furono tali da portare la Marvel a correggere il tiro. A Claremont (all’epoca al lavoro sugli X-Men e che in passato aveva gestito proprio Miss Marvel) toccò l’ingrato compito della retcon su Avengers Annual #10. Una retcon che dimostrò il genio dello sceneggiatore inglese e mise in piazza il sessismo dei Vendicatori. E degli sceneggiatori Marvel.
Dopo essere tornata dal Limbo e aver subito un pestaggio da parte della Confraternita dei Mutanti Malvagi, Carol venne presa in cura da Charles Xavier. Il Professor X riuscì a ristabilire la sua identità e curarla. Si scopre così che il condizionamento da parte di Immortus non era mai realmente cessato. Meno che mai al momento di scegliere di andare nel Limbo.
A questo punto Carol affronta la sua ex squadra, rinfacciando loro di averla lasciata andare senza capire che non fosse in lei. Quando, ancora sotto il controllo di Immortus, aveva dichiarato di amare Marcus e di volerlo seguire, gli Avengers le avevano creduto. E Claremont suggerì, nemmeno troppo velatamente, che ciò era stato possibile per un banale pregiudizio: era facile credere che una donna potesse innamorarsi. Anche in quelle condizioni disumane. Cosa c’è di più romantico del partorire il proprio stesso rapitore e violentatore, vero Cap?
Steve Rogers e compagni passarono per sciovinisti in quella circostanza (Mr Stark, i soldi per il terzo Quinjet forse era meglio spenderli per un responsabile delle risorse umane). A uscirne rinnovato fu il personaggio di Carol, che da quella esperienza ottenne la forza per andare avanti. E, con lei, la vittoria spettò anche a Claremont, capace di riscattare l’immagine dell’eroina con eccezionale abilità narrativa.