Taron e la Pentola Magica è ufficialmente il venticinquesimo Classico, ma alla Disney tutti lo rinnegano. Ecco perché dovrebbe essere rivalutato.
Questa è la storia di un reietto. Una creatura confinata nei meandri più oscuri della memoria. Un esiliato che da 35 anni viene ripudiato dalla sua famiglia. Nessuno si ricorda di lui, in pochi lo hanno apprezzato, in molti lo hanno odiato a tal punto di disconoscerlo.
Ma questo soprattutto è il racconto di come quest’apparentemente innocua creatura ha quasi fatto fallire uno dei più grandi colossi del mondo. Perché al tempo nessuno era pronto per questo progetto, probabilmente troppo proiettato al futuro. Ed è proprio per questo che queste vicende debbano essere riportate alla luce e rivalutate con un altro sguardo, contemporaneo e più capace di apprezzare sfumature al tempo impossibili da cogliere. Sedetevi, sta per iniziare un viaggio in direzione anni ottanta. In un passato chiassoso, kitsch e dai colori sgargianti. Un mondo in cui nasceva il protagonista emarginato di questa favola. C’era una volta Taron e la Pentola magica.
Taron e la Pentola magica: la genesi
Il racconto dovrebbe prendere vita nel 1985, l’anno che tutti alla Disney vorrebbero dimenticare. Ma per capire i prodromi e i retroscena di questo disastro cartoonesco bisogna andare dieci anni prima.
In quel decennio a casa di Topolino e co. si iniziava a respirare un’aria diversa. La vecchia guardia, formata dagli illustri e ormai attempati nine old men, stava per salutare il mondo fatato disneyano e dedicarsi a nipotini e giardinaggio, in pensione. I vertici amministrativi dell’azienda stavano per essere stravolti, dando vita ad uno storico cambio generazionale.
Le nuove leve avevano tra le mani tantissimi progetti, con l’intento di rivoluzionare gli archetipi narrativi che avevano contraddistinto i meravigliosi anni sessanta disneyani, in cui vennero plasmati capolavori come La carica dei 101, La spada nella roccia, Il libro della giungla e gli Aristogatti. Replicare quei successi appariva impossibile e servivano novità. Lo studio 2.0 godeva di grande spazio di manovra e già in Red e Toby nemici amici gli sceneggiatori osarono scompaginare i consueti meccanismi della compagnia.
Sulla scrivania degli scrittori Disney erano finiti da tempo i romanzi di Lloyd Alexander, autore della saga Le cronache di Prydain. I cinque romanzi fantasy sono ambientati in una terra immaginaria che ricorda lentamente il Galles e la sua affascinante mitologia. I libri, ideati dallo scrittore americano negli anni sessanta, narrano le vicende di Taran, un adolescente che sogna avventure eroiche, ma che nella realtà è costretto a fare l’assistente-guardiano di maiali per conto del vecchio mago Dalben.
In particolar modo fu prestata particolarmente attenzione ai primi due libri della saga: il Libro dei Tre e il Calderone Nero, che seguono Taran fin dalla sua sfortunata adolescenza. L’idea era quella di portare sul grande schermo un film che sapesse ricreare le affascinanti ambientazioni fantasy in chiave cartoon. In quegli anni il genere era particolarmente in voga nella settima arte. Il 1985 in particolare segna l’uscita in sala di ben due pellicole di stampo fantasy: da una parte l’indimenticabile Lady Hawke, con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer, dall’altra Legend di Ridley Scott, con protagonista Tom Cruise. Nello stesso periodo il rapporto tra il fantasy e l’animazione non era altrettanto fortunato: nel 1978 Il signore degli anelli di Bakshi era stato apprezzato dal pubblico, ma non ebbe mai un seguito, lasciando l’opera a metà.
Waiting for Taron e la Pentola Magica
Il 1973 la Disney decide ufficialmente che il proprio progetto fantasy andrà in porto. Ma con molta, moltissima calma. Infatti, dal momento in cui viene deciso di portare al cinema la trasposizione dei romanzi di Alexander all’effettiva realizzazione del lungometraggio trascorrono ben dodici anni. Subito si intuisce che il percorso che porta alla creazione del classico Disney numero 25 sarà a dir poco travagliata.
A dirigere il film ci sono Ted Berman e da Richard Rich, che avevano già collaborato con la Disney per la regia di Red e Toby – Nemiciamici. Il leit motiv di questa produzione è la sperimentazione, a tutti i costi.
In primis si tratta di un ritorno alla realizzazione con Super Technirama 70, sistema sviluppato dalla Technicolor e usato per l’ultima volta dalla Disney nel 1959 con La bella addormentata nel bosco. I problemi tecnici però sono innumerevoli: animare la miriade di personaggi che appaiono in scena, in quel periodo era incredibilmente ostico e per la frustrazione iniziano ad ammutinare in parecchi.
In prima linea abbandona la Disney uno dei creatori più illustri e facoltosi: quel Don Bluth, che aveva animato, tra gli altri, Robin Hood, Le avventure di Winnie the Pooh, Le avventure di Bianca e Bernie. Bluth stufo della nuova linea condotta dalla Disney fonda per conto suo a Don Bluth Productions e nel 1982 esce Brisby e il segreto di NIMH. Un anno dopo crea on Advanced Microcomputer Systems il videogioco Dragon’s Lair. Seguiranno successi clamorosi come La Valle Incantata, Fievel, ma quella è un’altra storia. Piena di trionfi, lontana dalla valle di lacrime che era diventata la Disney.
Dopo l’addio di Bluth, nel 1984 esce dalla scena anche Ron Miller, genero di Walt e CEO dell’industria dell’intrattenimento. Come dirigenti vengono scelti Michael Eisner , Frank Wells e Jeffrey Katzenberg, che di lì a breve diventeranno veri Re Mida dell’animazione. La produzione di The Black Cauldron continua così, tra scombussolamenti e scelte difficili. Tra le varie novità c’è l’avveniristica introduzione della computer grafica (la CGI) in un film d’animazione. Ma non basta.
Taron e la Pentola Magica: un disastro annunciato?
Nel 1984 il film è finalmente pronto, ma non convince i nuovi dirigenti, in particolar modo Katzenberg. Viene così effettuata una proiezione di prova per testare l’appeal che il film potesse avere tra il pubblico più giovane. Il test è un disastro: la pellicola genere il panico in sala e le urla dei bambini fanno capire quanto la sperimentazione narrativa avviata dalle nuove leve disneyane abbia completamente mal compreso il proprio target di riferimento.
Jeffrey Katzenberg non ci sta e va su tutte le furie. Dopo un fiume di riunioni tesissime venne presa una decisione drastica: la pellicola va sforbiciata e resa più appetibile e fruibile anche per i più piccoli. La nuova direttiva viene colta malissimo dagli autori del film e il produttore Joe Hale si rifiuta. Il film deve andare in sala così come è stato ideato.
Katzenberg, che in futuro fonderà con Steven Spielberg la DreamWorks Pictures, non ammette obiezioni e l’uscita in sala di Taron e la Pentola Magica viene posticipata di altri sette mesi, slittando a luglio del 1985. In quel periodo lo stesso Katzenberg si appropria del montato e ne elimina ben dodici minuti
Paura e delirio nelle sale
Il 24 luglio 1985 finalmente Taron e la Pentola Magica vede la luce ed esce finalmente nelle sale statunitensi. Purtroppo quella luce si trasformò ben presto in altro buio. Stavolta nerissimo.
Nonostante i tagli, il film scatenava soltanto una reazione nel pubblico: paura. Per la prima volta si verificò una cosa mai vista nelle sale in cui vengono proiettati film griffati Disney: bambini urlanti fuggono dalle sale ben prima dei titoli di coda e madri disperate chiedono il rimborso per quella visione beffarda. La profezia di Katzenberg si rivelò giusta e al botteghino americano la pellicola incassò solamente 44 milioni di dollari. Nemmeno la metà della faraonica cifra che era costato.
In Italia il film ebbe un destino analogo a quello avuto nel suolo americano. Non è bastata l’italianizzazione di quasi tutti i nomi dell’originale (Taron in originale è in realtà Taran, Ailin è Eilonwy e Sospirello è Flewffdur Flam).
Come in un lutto o un trauma da rimuovere tempestivamente, la Disney ha voluto dimenticare subito questo disastro commerciale incredibile. Non parlando mai più di Taron e la pentola magica. E non facendolo mai più proiettare, né sul grande schermo né in televisione. Perché la versione Homevideo del film non venne mai rilasciata, per ben 13 anni. La VHS ufficiale fu pubblicata, in pochissime copie, solamente nel 1998.
Un classico da riscoprire
Dopo anni ci si interroga sui motivi di questo mastodontico disastro commerciale e finalmente si inizia ad avere una risposta alla domanda che ha disturbato per anni il sonno dei creatori della pellicola: che cosa è andato storto? L’idea comune è che Taron e la Pentola magica avesse un’anima contrastante con la morale e forma mentis del tempo.
L’animazione di quegli anni era accogliente, morbida, aveva sì i suoi villain spaventosi (Crudelia e Malefica docent), ma aveva degli eroi capaci di ribaltare prontamente i momenti più cupi e orrorifici. Nella bilancia dei sentimenti provenienti dalle favole disneyane il peso non pendeva mai nel lato della negatività e dell’oscurità. Ci si beava del possibile lieto fine e dei risvolti piacevoli che prontamente annullavano ogni velleità dark. In quel contesto sociale, che non voleva riflettere nel cinema le angosce e le incertezze del panorama storico, ci si voleva cullare dalla positività e dalla innocente fantasia made in Disneyland.
Il mondo non era pronto allo stravolgimento che Taron voleva portare sulla Terra. Eppure le novità erano tantissime. E tutte facilmente (ri)comprensibili ai giorni nostri. A partire dalle intuizioni visive, antesignane della rivoluzione digitale che l’animazione conoscerà negli anni successivi. Fa riflettere il fatto che proprio Katzenberg fu uno dei più maldisposti nei confronti dell’opera: il suo percorso lavorativo di lì a breve sarà intriso di CGI applicata al mondo dei cartoon.
L’uso del digitale in Taron e la Pentola magica è usato con parsimonia, ma con stile, lontano dagli abusi tecnologici che tempestano e deturpano produzioni contemporanee. Fu usata la CGI per dare aumentare la spettacolarizzazione di alcune scene, tra cui la fuga in barca dei protagonisti o per dare un alone fatato alla sfera galleggiante di luce della principessa Ailin e al calderone. Gli effetti erano incredibilmente realistici e aumentavano il grado di coinvolgimento visivo ed emotivo, che portò poi alla fuga di massa dalle sale dei bambini terrorizzati. Basti pensare che per rendere ancor più cupi e plausibili gli effetti della nebbia e fumo l’animatore Don Paul usò riprese dal vivo, utilizzando nebbia realizzata con ghiaccio secco.
La direzione artistica era altrettanto ardita: il film risulta tetro e cupo come un’opera di Goya, riformulando il fantasy nella sua chiave più sinistra e mitopoietica. Tutti gli stilemi del genere sono condensati negli ottanta minuti che compongono la pellicola: castelli spettrali, draghi, guerrieri non morti, pozioni magiche, boschi fatati, duelli mortiferi a colpi di spade. Anni dopo si è scoperto che tra i concept artist c’era anche un certo Tim Burton e si capiscono le tonalità dark che permeano l’opera.
L’apoteosi del tetro si raggiunge nella resurrezione dell’esercito di scheletri, una scena visivamente impressionante, che oggi sarebbe portata in trionfo dagli amanti del genere e che fu bacchettata dal pubblico perbenista dell’epoca. Per non parlare della soluzione ideata per fermare questo delirio horror: un sacrificio umano era la chiave per fermare il potere del calderone! E al tempo i bambini conoscevano la morte solamente a causa della prematura dipartita del loro pesciolino rosso preso al luna park.
Un’altra novità rivoluzionaria fu la totale assenza di canzoni. Niente jingle, nessun ritornello scanzonato, ma solo una meravigliosa e struggente colonna sonora. Il compositore era Elmer Bernstein, compositore delle soundtrack di Ghostbusters e I Magnifici sette, tra le altre.
Il 1985 non era l’anno giusto. Il mondo non era pronto all’arrivo di Taron e i suoi spettrali villain. Il buonismo imperava e i colori accesi riempivano di felicità mesmerizzata le platee. Una dimensione in cui gli Orsetti del Cuore ottenevano il doppio degli incassi ai botteghini non meritava questo trionfo dark.
Taron e la Pentola magica è finalmente libero dalle catene di quel periodo storico e può finalmente rinascere da quel tumulo di polvere e cenere a cui è stato destinato per anni. Il 25simo Classico Disney esiste.