Si continua a studiare e sperimentare su Facebook, e si fa bene perché a ben pensarci parliamo della più grande “rete nella rete” o, se proprio vi serve un esempio spicciolo, al più grosso allevamento di cavie dai tempi di Pavlov. Ma non divaghiamo. Avevamo già detto di quanto Facebook sia capace di controllare l’umore altrui e la cosa, per quanto inattesa, si è dimostrata sorprendente. Il social network di Zuckerberg è infatti diventato una creatura che in qualche modo ci ha completamente assorbiti ed a cui siamo interfacciati in modo costante attraverso gli strumenti più disparati.
Ma le ricerche non si sono fermate lì e grazie ad una ricerca tutta italiana, tenutasi presso l’Università La Sapienza di Roma, si è recentemente scoperto (o quanto meno intuito) che Facebook non è solo in grado di rendere i sentimenti “virali” ma addirittura di mascherarli. Andiamo per gradi. Il fulcro della scoperta starebbe nell’ammettere che tutta quella gioia, quella spensieratezza e quella felicità che trapelano da foto, video, stati e quant’altro siano in realtà falsi. Delle maschere che gli utenti indossano per mostrarsi ai loro amici (aka, il loro “pubblico”) migliori di quanto non siano. La scoperta non è copernicana ma fa comunque riflettere. Che l’uomo tenda a mostrarsi migliore di quanto non sia per andare incontro a una serie di convenzioni sociali è un qualcosa che esiste dalla notte dei tempi seppure le motivazioni siano state esplorate solo da una certa fetta della sociologia moderna. Ma allora dov’è la scoperta?
Il punto è che la continua interazione con Facebook parrebbe scoraggiare le persone, renderle più cupe e, fondamentalmente, minaccerebbe il benessere psicologico degli individui. L’indagine sarebbe stata condotta su circa 50mila soggetti e il sunto della questione sarebbe che l’esposizione prolungata al social network “aumenterebbe il rischio di esposizione a comportamenti offensivi e al linguaggio dell’odio”. Questo studio segue in realtà una ricerca su cui già altri gruppi di studiosi stavano lavorando, in particolare un team della University of Michigan che già lo scorso anno aveva evidenziato come Facebook sia effettivamente nocivo alla costruzione delle emozioni umane. La nostra vita social, in pratica, ci renderebbe tendenti alla misoginia, alla violenza ed al disprezzo delle vite altrui in virtù di un presupposto benessere personale, praticamente solo apparente, che vorrebbe la definizione degli individui secondo l’arcinoto principio di: “nessuno è migliore di me”.
Ora, difficile dire se questo possa effettivamente essere un trend sociale, ossia è difficile capire se questa situazione possa portare ad una nuova costruzione del pensiero delle persone e, conseguentemente, un reale impoverimento dei sentimenti umani. Di sicuro fa riflettere quanto preponderante sia Facebook nella nostra vita di oggi e quanto, benché si dica il contrario, esso ci abbia in qualche modo avvinghiati. Mi viene in mente la teoria dell’ago ipodermico. Quando negli anni ’40 si presuppose, dandolo per vero, che un media è in grado di impattare su di un individuo senza mezzi termini, poiché lo stesso individuo vive il messaggio mediale passivamente, senza opporsi. Si diceva che i mass media erano potenti, preponderanti, e capaci di schiavizzare i soggetti senza che questi potessero in qualche modo contrastarne i messaggi, come se venissero letteralmente sparati, d’improvviso, alla testa. Mi viene in mente questo e la cosa mi turba un po’.