Ted Lasso, lo show di Bill Lawrence su AppleTV+, è quello che più serviva al panorama televisivo attuale: una comedy divertente, profonda e con un messaggio positivo
Napoli c’è un detto, una frase che amo particolarmente perché mi fa sempre ridere e perché tutto sommato ha un messaggio di speranza: “Adda venì Baffone”. Sta a significare che per quanto il momento possa essere sfavorevole, prima o poi questa figura mitologica, Baffone, verrà a liberarci e vivremo tempi migliori. C’è chi fa risalire questo detto alla Seconda Guerra Mondiale, quando al popolo arrivavano notizie di una Russia finalmente liberata, ma venivano taciute le oscenità di chi quella Russia la amministrava: quello Iosif Stalin, che secondo la leggenda fosse proprio il leggendario Baffone, per l’appunto, in cui riporre le proprie speranze. La storia è poi andata in tutt’altro modo, ma quel detto la gente napoletana lo ha continuato a usare, tant’è che è rimasto fino ai giorni nostri, che effettivamente a dirla tutta non sono proprio la miglior timeline possibile in cui nascere e vivere.
E così il fantomatico Baffone è divenuto quasi un’entità astratta, un destino benevolo al quale aggrapparsi, una speranza che i tempi cambino. Ed è da quando ho visto Ted Lasso per la prima volta che ho pensato che, perlomeno televisivamente parlando, la venuta del Baffone fosse finalmente giunta.
Perché il personaggio interpretato così magistralmente da Jason Sudeikis (che per il ruolo ha vinto due Emmy e due Golden Globe in due anni) è una delle cose migliori che siano successe alla televisione negli ultimi anni. Ma cos’ha di così speciale Ted Lasso, oltre dei baffi irragionevolmente belli?
Dietro quella che apparentemente è una storiella che abbiamo già visto ormai quarant’anni fa ne L’Allenatore nel Pallone, con Lino Banfi nei panni del coach Oronzo Canà che rispondeva “Non ho afferrèto” al “Perdere e perderemo!” del presidente Borlotti, ci sono diversi elementi che ne costituiscono la ricetta vincente.
Prima fra tutti la performance corale del cast. Se la carriera di Sudeikis è costituita per il 90% da commedie un po’ fessacchiotte, qui ha finalmente la sua occasione per splendere, grazie a un personaggio che vuole essere una figura positiva nonostante delle pesanti cicatrici (e che fa pure degli shortbread da paura!). E che brilla anche grazie a quelli che si sono rivelati molto più che semplici sparring partner, a partire dal fido braccio destro nella serie, il coach Beard che nella realtà risponde al nome di Brendan Hunt ed è uno degli autori principali dello show.
La bromance tra Ted e Beard non sarà leggendaria come quella tra JD e Turk, per citare l’opera principale del creatore Bill Lawrence, ma è ugualmente genuina, ed è perfetta quando diventa un trio con l’aggiunta di Brett Goldstein, quel Roy Kent che sotto la scorza quasi da bruto, duro e distaccato, rivelerà poi un lato umano più profondo di quanto si pensasse.
Allo stesso modo, la strana coppia formata dalla fantastica Hannah Waddingham, che forse alcuni di voi ricorderanno nei panni di Septa Unella in alcune, particolarmente disturbanti, scene di Game of Thrones, e Juno Temple è dinamica e in continua evoluzione.
Ecco, “evoluzione” è proprio una delle parole chiave di Ted Lasso: i personaggi e i loro rapporti mutano in continuazione, e in sole due stagioni abbiamo assistito alla trasformazione da Anakin a Vader dell’assistente Nathan, e il percorso inverso compiuto dal figliol prodigo Jamie Tartt. Al tragicomico caso di Dani Rojas e all’altalena di emozioni alla quale è andato incontro il suo personaggio, prima di concludere che sì, “Football is life”. Al radicale cambiamento nella gestione della squadra di Rebecca. A Keeley che dal semplice ruolo di Wag ha approfittato della prima volta in cui qualcuno ha dimostrato di darle fiducia per provare tutto il suo valore. Allo stesso Roy, che ha dovuto accettare la sua condizione di calciatore sul viale del tramonto reinventandosi un modo per dispensare il suo sapere calcistico, evolvendo perfino il suo rapporto personale con Jamie, una sorta di Icardi-Maxi Lopez a lieto fine.
E “lieto fine” forse è proprio un’altra delle parole chiave che userei per descrivere la serie. Intendiamoci, non è detto che l’AFC Richmond (che, a proposito, troverete come squadra giocabile in FIFA 23, se vi servisse una spinta a provare il gioco) e i protagonisti che ruotano attorno al suo mondo riescano a raggiungerlo, ma più sul fine è sui modi che Ted Lasso vuole porre l’accento. Essere sé stessi, avere un atteggiamento positivo, crederci sempre e non cercare di prevalere sull’altro anche con mezzi illeciti, sono insegnamenti di cui mai come oggi abbiamo bisogno.
Insomma, cast e personaggi di Ted Lasso sembrano elevarsi l’un l’altro, e sia per i rapporti tra gli attori, sia per il fatto che molto spesso questi ultimi siano anche autori dello show, mi ha ricordato molto l’alchimia che c’era sul set di The Office. Non so se lo show di Bill Lawrence riuscirà ad eguagliarne lo status leggendario, ma so per certo che dopo quasi tre anni di pandemia, una crisi economica senza fine e notizie sempre più sconfortanti dal fronte russo-ucraino, una serie gioiosa, divertente e profonda, con un messaggio genuinamente positivo era qualcosa che tutti noi aspettavamo da tempo.
Quasi come la venuta di Baffone.