The Tender Bar, tra pregi e difetti, ci mostra ancora una volta quanto possa essere interessante la vita dell’uomo comune
e il libro delle memorie del giornalista J.R. Moehringer (o JR senza punti, come vorrebbe lui) era di per sé un’esperienza audace, lo è ancor di più un film che racconta la sua vita, quella di uno dei tanti esseri umani che popolano questo pianeta (nonostante lui abbia vinto il Pulitzer), dall’infanzia all’età adulta: The Tender Bar, il nuovo film di George Clooney con Tye Sheridan protagonista e Ben Affleck nei panni dello zio Charlie.
Ci si potrebbe stupire di come tali storie possano appassionare e catturare l’attenzione del pubblico, eppure operazioni come questa funzionano.
Se pensiamo a grandi successi nell’editoria, in questo genere, non può non venirci in mente l’eccellente Stoner di John Williams, la banale vita di un uomo comune, oppure l’intenso Barney’s Version di Mordecai Richler (di cui Richard J. Lewis diresse anche il film, nel 2010), o passando alle autobiografie possiamo citare il grande successo dei sei volumi del ciclo Min kamp di Karl Ove Knausgård, sulla sua vita e quella della sua famiglia. Funzionano perché si ritrovano stralci di vita vissuta, nessun volo pindarico o distacco dalla realtà, ma aderenza alla stessa. Nel bene e nel male.
Del resto le autobiografie vanno per la maggiore, sostiene a più riprese la madre di JR (interpretata da Lily Rabe) nel film The Tender Bar.
Le autobiografie vanno per la maggiore
Ma perché riusciamo ad apprezzarle così?
Buona parte delle persone di cui ci accingiamo a leggere o a vederne rappresentate gesta ed esperienze vissute sono riuscite a realizzare uno scopo, un obiettivo che si erano prefissate. Questo è chiaramente importante per rappacificarsi con noi stessi, e se vale per personaggi illustri figuriamoci nel caso di persone più o meno ordinarie, come il nostro JR Moehringer.
In alcune circostanze poi può capitare persino di trovare molti punti di raccordo tra la vita del personaggio e la nostra, e questo può fornirci ispirazione, ma anche trasmetterci la forza di provare ad ogni costo a raggiungere i nostri obiettivi.
Ovviamente non sempre ci troviamo di fronte a successi, tuttavia approfondire l’esistenza delle altre persone è un modo per comprendere meglio che la vita è fatte di vittorie e fallimenti, di azioni e conseguenze, e amplia la nostra prospettiva sul mondo.
La vita di J.R. Moehringer ci appassiona perché è un’esistenza normale, di una famiglia come tante, che pur con i molti problemi con i quali devono fare i conti si dimostra unita e piena di amore. Il nonno, impersonato nel film da Christopher Lloyd, è un burbero che vorrebbe stare da solo e in pace, eppure accoglie in casa tutta la sua famiglia, figli e nipoti, e dietro quell’aria rigida e a tratti dispotica preserva un cuore d’oro che mostra attraverso piccoli o grandi gesti verso di loro. Sono rarissime le parole di conforto verso JR, ma non si tira indietro quando deve andare all’incontro scolastico padri-figli, poiché il nipote un padre – nei fatti – non ce l’ha.
Però è soprattutto lo zio Charlie (Ben Affleck nel film) il vero rifugio di JR, da piccolo e anche da adulto. Ciò che di più simile a una figura paterna egli abbia avuto, Charlie gestisce il Dickens Bar, un luogo dove i cittadini di Manhasset si ritrovano e dove puoi leggere un’infinità di libri mentre bevi un whisky o sorseggi un gin tonic.
È qui che, tra bevande analcoliche, crucirima e intense letture dei grandi classici JR è cresciuto ed è diventato un aspirante scrittore. Ed è sempre qui che torna quando ha bisogno dei consigli dello zio, quando non sa come comportarsi con la ragazza che ama e che lo respinge, e quando deve decidersi se intraprendere con tutte le forze una carriera giornalistica nel New York Times oppure tentare la strada della scrittura. Sempre lì, al Dickens, il bar delle grandi speranze, per citare il titolo italiano.
Perché a tal proposito cosa c’è di più vicino al concetto di vita dell’uomo comune, di un bar? Davanti a quel bancone siamo tutti uguali, e questo vale ancor più che in Italia all’estero, nei paesi anglosassoni, che in questi luoghi azzerano le differenze di classe. Uomini in giacca e cravatta condividono le opinioni sullo sport e la politica, tra una birra e un’altra, dopo aver staccato dal lavoro e prima di rientrare a casa, e in quel momento siamo tutti uguali, senza le preoccupazioni che spesso attanagliano le nostre giornate.
Non è un caso che il film diretto da George Clooney perda d’appeal e di intensità proprio quando la scena si sposta lontano dal bar e da Manhasset, per giungere a Yale e sfumare quasi in un banale teen drama in cui emerge una sorta di classismo fino a quel momento fortemente evitato. Vogliamo tornare a tutti i costi al Dickens, a sentire le storie di uomini normali mentre Charlie, con la sua sigaretta penzolante e lo sguardo malinconico dispensa bevute e battute.
La vita dell’uomo comune ci rassicura, ci tranquillizza ed è per questo che opere come The Tender Bar possono colpire nel segno e il suo adattamento cinematografico può ammaliarci, pur senza un ritmo frenetico, pur senza grossi colpi di scena, pur con una sceneggiatura piatta e momenti evitabili.
Una piacevole visione dell’esistenza di una persona normale, così come può esserlo una gradevole lettura, rinfranca la nostra mente e il nostro spirito e può nel suo piccolo dimostrarsi una grande lezione di vita, nel ricordarci banalmente quanto vittorie e insuccessi possano formarci.
Sarà anche per questo che le autobiografie vanno per la maggiore.