Abbiamo fatto 2 chiacchiere con Federica di Meo, nota autrice del fumetto Somnia, che presto si avvierà alla conclusione con uno spettacolare terzo e ultimo atto. Nel frattempo, Federica ci ha raccontato qualcosa della sua vita e del suo percorso professionale e artistico.
Ti piace l’etichetta di Italian mangaka? Ti ci ritrovi?
Si ne sono orgogliosa. Io però mi definisco fumettista, perché non tutti conoscono il termine e quindi rischi di trovarti davanti gente che ti guarda senza capire di che parli se usi la parola “mangaka”. Però il primo sito su cui ho pubblicato i miei lavori si chiama mangaka.it, nel 2007, e quindi è una parola che ci ha portato anche fortuna. Per molto tempo era un tabù dire che in Italia si possono fare manga perché la gente ti vedeva come una persona che stava lavorando in uno stile che non era quello del proprio paese. La cosa si sta sdoganando finalmente e oggi ogni persona è libera di disegnare quello che sente, la nostra inclinazione deriva non solo dal paese dove siamo nati, si tratta di informazioni che si ricevono fin dall’infanzia e che ti plasmano.
Usi di più tecniche digitali o tradizionali?
Quando faccio manga le tavole sono tutte a mano, anche inchiostrate e retinate. Perché non è solo la parte grafica del manga che mi ha incuriosita, a 25 anni quando ho cominciato a studiare seriamente fumetto, ho imparato le tecniche fisiche della lavorazione sulla tavola. Successivamente sono andata anche a Tokyo per fare un corso di aggiornamento dedicato ai mangaka.
C’è qualche segreto sullo sviluppo del manga che solo i giapponesi potevano insegnarti?
Innanzitutto ci sono delle sottigliezze che solamente chi è nel mestiere da tanto tempo ti può insegnare, come la pressione del pennino, come muoverlo e trucchi del genere. E poi il senso dello spazio e la capacità emotiva di raccontare del manga, che è molto particolare, perché se noi dovessimo fare una differenziazione tra manga e fumetto occidentale mettendo insieme tutto, potremmo dire che il fumetto occidentale parla al cervello e quello giapponese al cuore. Non parlo semplicemente solo di storie d’amore, è proprio il fatto che i personaggi sono al centro dell’opera e parlano a chi legge in una maniera talmente forte che penso sia il fumetto con maggior livello di introspezione e sovrapposizione tra lettore e personaggio.
Che ne pensi degli eccessi del fumetto giapponese, che possono facilmente passare da sfondi vuoti a super dettagliati nel giro di poche vignette?
La cosa bella è questa: loro utilizzano la tradizione giapponese e i concetti di bianco e nero, pieno e vuoto, in maniera totalmente diversa dalla nostra. Per esempio la casa classica italiana è piena di mobili, oggetti, arredi ecc. In Giappone se c’è il tavolo è già tanto, perché il loro concetto di “assenza” è un concetto di “presenza di spazio vuoto”, quindi il fatto che il personaggio dietro di sé abbia un grosso spazio bianco, non è considerato “nulla”, ma vuoto, che è un’entità vera e propria, e che molto spesso nei manga rappresenta anche uno dei “cattivi”. Per cui nella tavola, il vuoto serve a dare spazio al personaggio e alla lettura.
Una carriera peculiare come la tua è una cosa che si progetta passo per passo oppure ti ha colto di sorpresa? Avevi progettato il tuo percorso?
Quando ho cominciato a studiare il fumetto, ho visto che ogni volta che cercavo di andare in una direzione riuscivo sempre meglio. Se decidevo di studiare un determinato argomento, poi mi trovavo a studiarne le dispense dopo qualche mese. Ogni volta pensavo “io questo lo voglio fare”, ma fondamentalmente non ci credevo. Trovavo però la determinazione di dirmi “intanto vedo dove posso arrivare, cerco di dare il mio meglio e vedere come va”. Quindi ho fatto alcuni piccoli lavori , sono andata in Giappone a studiare, tornata in Italia mi hanno proposto di fare i primi lavori nel 2008/2009. Ho fatto 6 pagine che hanno attirato l’attenzione di Elena Zanzi e ne è rimasta colpita. Oggi lei è la sceneggiatrice con cui collaboro costantemente. Poi andai dalla Panini a mostrare il mio lavoro e loro mi chiamarono per collaborare insieme ad Elena, e così prese vita Somnia.
Tu insegni anche fumetto, quali sono i cardini del tuo insegnamento? Cosa cerchi soprattutto di trasmettere a chi vuole imparare il tuo mestiere?
Normalmente insegnando il manga, gli studenti pensano di essere lì per imparare a disegnarli e conoscere gli stilemi grafici. Questo è vero, però se vai a vedere qualsiasi opera giapponese, trovi stili estremamente diversi tra loro, ma la componente che li rende manga sta nel modo in cui vengono raccontati e nella gestione della tavola. Quindi per me è importante far capire che non bisogna creare delle fotocopie, voglio che studino e trovino la loro strada, e che si ricordino che la caratteristica del manga sta nel racconto, nella gabbia che si spacca totalmente, e nell’impostazione versatile delle pagine, che possono passare dall’avere una moltitudine di vignette a una sola in rapida successione.
Pensi sia che oggi sia cambiata la situazione editoriale per quello che riguarda il pregiudizio verso lo stile manga?
La cosa fondamentale è che ci sia dietro un buon fumetto, e un progetto che ha la sua validità. Quando cominciai avevo amici che disegnavano manga e adesso fanno tutt’altro. Mi raccontavano di tavole lanciate dalla finestra se si parlava di manga. Sono leggende metropolitane probabilmente, ma è vero che c’era molto pregiudizio. Io ho avuto la fortuna di avere come insegnante Daniele Statella, che ora lavora per Bonelli. Quando sono arrivata a studiare da lui, mentre mi impratichivo sia sul manga che sul fumetto, mi disse “vedo che hai una mano molto portata, quindi non me la sento di cambiarti. I manga non te lo posso insegnare, ma ti insegnerò il resto delle tecniche”. Questo mi ha dato la possibilità di continuare a studiare. Nel 2010 la leggenda voleva che nessun editore volesse pubblicare manga italiani, ma adesso la situazione è molto cambiata, c’è la Panini che ha pubblicato pochissimi fumetti italiani perché loro prendono quello che gli interessa a prescindere dalla provenienza. Poi verso il 2013 hanno cominciato a fiorire tante piccole case editrici che fanno solo manga italiano, come ad esempio Mangasempai. Sono case editrici nate da appassionati, si è creata una nicchia che ha il suo pubblico fisso e si sta ricominciando ad allargare con l’avvento di internet. Anche il web è stato importante, in questo. Fino a qualche anno fa non si potevano mettere fumetti in rete, era una clausola che ti avrebbe impedito la pubblicazione, ma ora questa cosa non c’è più e in genere l’unica richiesta è che la storia non sa stata già pubblicata da un altro editore. Il primo caso eclatante è stato quello di Mirka Andolfo con Sacro e Profano, che nel giro di poco ha fatto 50000 persone sulla sua pagina e tutti condividevano le sue strisce, perché è una forma di lettura molto veloce che arriva a leggere anche chi non è appassionato di fumetti. Persone che magari non diventeranno mai lettori accaniti del fumetto, ma sapranno che esiste quel tipo di cultura senza denigrarla. Non c’è più il concetto del manga come fumetto porno o per bambini come 10 anni fa.
Vogliamo chiudere con due parole sui tuoi progetti attuali e futuri?
Adesso lavoro con Elena alla chiusura del ciclo di Somnia. Noi lo chiamiamo terza serie, ma in realtà è un volume unico a colori, saranno più di cento pagine ed è la prima volta che mi cimento con la colorazione digitale. La usavo per le illustrazioni ma non l’ho mai applicata al fumetto, sarà una cosa totalmente nuova per me a cui mi sto dedicando davvero tanto. Spero apprezzerete tutti.