Al Teramo Comix 2017 Stay Nerd ha avuto il piacere di fare due chiacchiere con Vanessa Cardinali, giovane autrice di Thunder Ben (edito da Bao Publishing, nella collana BaBAO), disegnatrice di Phlox (Shockdom) e della serie Suore Ninja (Star Comics). Ecco com’è andata la nostra intervista…
Iniziamo con Thunder Ben: storia per i più piccoli della collana BaBAO. Visto che si tratta di una cosa per lettori un po’ più piccoli rispetto al classico target, come ti sei approcciata a quest’opera, che metodologia hai usato e come sono cambiate le cosiddette “regole del gioco”, nel crearlo?
Innanzitutto questo è il primo libro che è interamente mio, perché fino a quel momento avevo fatto la disegnatrice sempre e solo su storie di altri. Quindi Thunder Ben nasce anche un po’ dalla frustrazione di non aver sempre la totale libertà. Nel corso degli anni questa cosa si è stratificata e la volontà di fare come volevo io è diventata più forte. Il fatto di fare una storia per bambini è una cosa che è venuta molto naturale, non è stata una scelta pensata: è stata l’evoluzione naturale delle cose. Sarà che mentalmente sono ferma ai 7/8 anni e allora mi è stato facile raccontarla, ma se qualcuno mi chiede che tipo di storie vuoi raccontare, voglio raccontare le storie di azione con i mostri spaziali giganti e tutte queste robe super fantastiche. Per quanto riguarda la lavorazione, essendo la prima volta, inizialmente mi sono trovata molto in difficoltà perché non avevo idea di quanto fosse complicato essere dall’altra parte, mi sono scontrata soprattutto con il fatto che pensavo fondamentalmente per immagini e non per parole. Per cui, all’inizio della lavorazione, l’editor Francesco Savino, che segue la collana BaBAO, mi ha chiesto di mandargli il soggetto esteso, così da ragionarci assieme, vedere se c’era qualcosa da ampliare, etc. Io ho passato una settimana davanti al foglio bianco perché non riuscivo a scriverlo, anche se in testa la storia ce l’avevo tutta. Quindi ho dovuto fare tutti i layout di tutto il libro, praticamente disegnandolo tutto per poi riuscire a raccontarlo e scrivere il soggetto esteso… Perciò la realizzazione è stata fatto un pelino al contrario rispetto al solito.
Thunder Ben esplora varie tecniche di lavoro e nonostante questo il tutto riesce ad interfacciarsi in modo coerente: è stata un’idea che hai avuto sin dall’inizio?
L’idea è nata dal fatto che sono stata ferma per parecchio tempo con questa storia che avevo in testa ma che non riuscivo a rendere appieno, perché appunto c’è una parte importante della storia che si ambienta in una foresta oscura dove Ben è solo e deve tirar fuori il suo coraggio… Non sapevo come renderla al meglio, perché per quanto disegnassi cose mostruose, era un’interpretazione completamente soggettiva. La svolta c’è stata mettendo insieme i puntini di varie cose che ho assimilato nel corso degli anni, a partire da un mio amico che dipingeva e attaccava le cartine sul quadro, tutte cose che hanno iniziato piano piano a farmi pensare di mescolare i media: così è arrivata l’idea di farlo a collage, in modo che l’effetto fosse straniante e che questa foresta fosse paurosa oggettivamente e non più solo soggettivamente. Diciamo pure che l’ho fatto con poca cognizione di causa, perché non sono un’illustratrice e di base non sapevo come andasse fatto un collage: l’ultima volta che l’avevo fatto erano le elementari o l’ultimo anno di asilo. Mi sono ritrovata con un sacco di idee in testa a dire: “Ok, ora devo fare un albero, come devo fare?”, discorsi del genere. La paura era quella di non riuscire a far quadrare tutto e non rendere leggibile e credibile il lavoro, tant’è che poi c’è stato un lavoro abbastanza grosso di post-produzione per far combaciare i colori e far tenere l’atmosfera.
Passiamo adesso a Phlox, un’opera dove sentimenti ed emozioni vengono espresse a livello visivo: qual è stato il metodo di lavoro per raggiungere questo obiettivo?
Beh per Phlox la sceneggiatura non è mia ma di Antonio Silvestri, in arte Tauro. Però sì, volevo che l’emozione che trasparisse da determinate scene fosse chiara ed esplicita proprio a livello di immagine. Tra l’altro questo è stato il primo volume che è ho fatto interamente a pennello con cognizione di causa e quindi con un’inchiostrazione molto nera, molto più sporca rispetto a quel che avevo fatto fino a quel momento, e da un certo punto di vista anche più adulto nella fruizione perché tutto questo nero ne aumenta la drammaticità. La questione delle sensazioni e dei sentimenti è data molto anche dal colore: visto che tutto il volume alterna momenti nel presente e momenti nel passato, ho voluto creare un tipo di colorazione che desse una separazione netta fra passato e presente, per il primo utilizzando ad esempio toni più caldi e meno pericolosi, mentre per il secondo colori più acidi e sempre più freddi. Quindi ci sono tutta una serie di blu, di verdi e di viola che sono serviti proprio a dare l’idea di questa alternanza.
Quali sono le fonti che ti hanno ispirata per la realizzazione dei mostri presenti nei tuoi lavori?
Guarda, questa è una cosa che parte dal profondo: se tu mi lasci una lavagna da disegnare, io ci disegno mostri. Fa parte di tutto un immaginario collettivo che va dai vecchi cartoni degli anni ’80 o all’animazione attuale come quella americana con Adventure Time. Però fondamentalmente non so rispondere perché l’idea di disegnare stupidaggini varie ha sempre fatto parte di me.
Passiamo a Suore Ninja, vorremmo sapere com’è nata la collaborazione con Davide La Rosa e Mirka Andolfo e quindi i perché di una storia così totalmente allucinante.
La collaborazione è nata con Davide ai tempi del blog, ci eravamo messi in contatto e poi in seguito c’è stata l’idea di collaborare assieme a vari progetti. Ne avevamo preparati tre o quattro che abbiamo tentato di proporre a chiunque ma nessuno ci ha calcolato. Però era rimasta nel cassetto questa storia, “Zombie Game Vaticano”, e, forti del fatto che le altre erano state rifiutate, ci siamo buttati nell’autoproduzione. Incredibilmente la storia ha avuto successo, tant’è che è stata la StarComics a contattarci e a farci fare la serie delle Suore Ninja in modo totalmente inaspettato. Mirka è stato l’acquisto dell’ultima ora e ha prestato le sue matite per una parte dello speciale — il settimo volume è uscito ad un anno di distanza dalla fine della serie — dove lei ha appunto disegnato tutta la parte legata al flashback delle Suore Ninja.
Un’ultima cosa: qualche progetto particolare che bolle in pentola?
Ora sto lavorando a un sacco per delle cose folli in America, cose che non sono state minimamente annunciate, cose carinissime tipo scimmie contro robot… delle robe così, che fanno parte di quelle storie a cui non puoi dire di no se ti vengono proposte. Anche perché, arrivata a questo punto, se devo lavorare su sceneggiature fatte da altri deve essere una cosa che mi colpisce al cuore, che deve toccare i tasti giusti e che deve essere estremamente divertente da disegnare. Sennò per l’Italia c’è l’idea di continuare una cosa che è stata fatta e che quindi avrà dei volumi futuri ma non essendo stata ancora annunciata non posso dire niente. Ma arriveranno delle cose bellissime con pirati e fiori.