Dopo 27 anni di parentesi poco riuscite, con Terminator: Destino Oscuro James Cameron e Tim Miller riprendono le redini della saga
Terminator :Destino Oscuro mette le cose in chiaro sin dai suoi primi istanti. Con un flashback amaro ma doveroso per consolidare le premesse della trama, spazza via tutta la continuity post Terminator 2, rivelandosi un seguito diretto del secondo storico capitolo, ma definendo anche un ritorno di quel tono fatalista e tragico che caratterizzava i primi 2 episodi, sotto la loro coltre di film di genere.
Insomma che James Cameron, autore della saga di Terminator, sia tornato ad occuparsi da vicino della sua creatura, producendo e scrivendo il soggetto del film, si percepisce in maniera abbastanza palese.
Destino Oscuro vuole essere l’erede dell’immaginario originale di Terminator, che in qualche modo, però, oltre agli sfortunati sequel, spazza via anche parte di sé stesso, riflettendo a dovere su ciò che è giusto conservare e ciò che ha bisogno di rinnovare.
In tal senso, il futuro che minacciava la realtà di Sarah Connor, che come sappiamo ha scongiurato il Giorno del Giudizio, non esiste più. Questo però non ha evitato ad un altro avvenire apocalittico di sostituire quello precedente, perché si sa -e Destino Oscuro tende a ribadirlo nella sua pessimistica e coerente poetica- l’uomo non può evitare di compiere certi errori.
Quindi niente Skynet e niente Resistenza, ma in un modo o nell’altro le macchine prenderanno comunque il sopravvento, e l’umanità proverà nuovamente a fermarle.
Ecco quindi che Legion, questa la nuova forma di intelligenza artificiale che dominerà le lande desolate della Terra del 2042, manda nel passato il Rev-9, una macchina super efficiente con lo scopo di uccidere Dani Ramos, una giovane ragazza messicana il cui ruolo nel futuro, prevedibilmente, sarà importantissimo. Ovviamente, c’è chi dallo stesso futuro sarà inviato per proteggerla, Grace, interpretata da una Mackenzie Davis convincente sul piano fisico e interpretativo.
Il bello di Destino Oscuro, come accennato poco sopra, è che funziona sia nella sua appartenenza alla saga Terminator, sia nella necessità di dover offrire qualcosa di nuovo, o quanto meno di “fresco”. E lo fa rimescolando parecchie carte in tavola, prendendo spunto dalle mille intuizioni con cui James Cameron ci ha ammaliato molti anni fa, in un continuo gioco di rimandi e citazioni che nell’insieme, fanno il loro dovere, dandoci un forte senso di connessione con le vicende vissute dalla storica Sarah Connor, le quali però mantengono una sorta di plausibilità proprio in virtù del fatto che sono passati tanto nella realtà quanto nel racconto circa 30 anni.
Grace, nonostante la sua natura semi-cibernetica, più che rivestire i panni del leggendario T-800 “buono” ci riporta alla mente Kyle Reese. Un protettore quindi più umano, fallibile, espressivo. Paradossalmente la parte della guardia del corpo tutta d’un pezzo, determinata, diretta, e cinica, questa volta appartiene proprio a Sarah Connor, che, indurita da anni difficili, è ironicamente diventata la vera “macchina da guerra”, la “terminatrice di terminator”, e avrà occasione di unirsi al gruppo in maniera stabile abbastanza presto.
Dobbiamo fare dei sentiti complimenti a Linda Hamilton che oggi come 27 anni fa, riprende il suo iconico ruolo con un personaggio magnetico, affascinante, con un carisma che buca lo schermo e ruba la scena. Un grandissimo ritorno per una Sarah Connor che ha ancora qualcosa da raccontare.
Dall’altro lato della barricata invece, abbiamo Gabriel Luna, che veste i panni del minaccioso robot mandato indietro nel tempo per uccidere la giovane Dani (forse il personaggio un po’ più piatto) e che si atteggia e ricalca chiaramente le orme del celebre T-1000 interpretato dal grande Robert Patrick. Stesso imperscrutabile sguardo e stesso modus operandi diretto e letale. La brutalità in Destino Oscuro infatti è presente e rende il film un road movie per la sopravvivenza cinico, come si conviene al pathos che dovrebbe cercare di raggiungere un film di questo genere.
Perché Terminator non è solo una saga, si può quasi dire che ha inventato anche un genere dagli archetipi fondamentali e irrinunciabili, sin dai suoi esordi, con un primo capitolo che più li veicolava in chiave horror, e un secondo votato alle dinamiche del blockbuster d’azione . Si tratta infatti sempre di raccontare la fuga disperata ma combattiva da spietate macchine killer inarrestabili che braccano la loro preda dall’inizio alla fine del film. Questa è la macrostruttura in cui la saga ha creato la sua magia, e da qui Terminator: Destino Oscuro cerca di ripartire.
Tim Miller, chiamato nella non semplice impresa di provare a replicarla, fa sicuramente un buon lavoro, provando a riportare l’azione esplosiva ma anche viscerale e fisica dei primi capitoli, tenendosi sempre borderline sul piano della violenza, necessariamente onnipresente per mantenere quel cinismo di fondo che dà carattere ad un film di Terminator degno di questo nome, ma mai eccessivamente esplicitata. Nonostante si respiri una serie di topoi narrativi e scenici forse troppo derivativi rispetto a Terminator 2, Miller è talvolta capace anche di riportaci al 2019, modernizzando la messa in scena con spettacolari set pieces pieni di effetti speciali e incredibili funambolismi che sicuramente aspirano a diventare in qualche misura iconici.
La natura ibrida del nuovo pericoloso Rev-9, che oltre alla forma liquida ha anche altre interessanti caratteristiche tutte da scoprire, fornisce l’assist per movimentare le sequenze che lo vedono protagonista in maniera un po’ meno scontata.
Non si tratta però di un film perfetto, Miller è capace di mettere la macchina da presa sempre dove l’azione risulta più spettacolare, ma a volte risulta anche un po’ confusa nel suo montaggio molto serrato e in qualche caso vagamente disorientante. Inoltre c’è qualche scelta in sceneggiatura un po’ “sgraziata”, se così vogliamo definirla senza scendere nei particolari, e un po’ “facilona”. Ma non fa niente, perché il film diverte, ci trasmette dei “feels” concreti e riconoscibili, più di quanto qualsiasi altro sequel mediocre sia mai riuscito a fare dal 1991 in poi.
Questo grazie all’aver scelto una via maestra sicura, forse non sorprendente, ma perseguita in maniera efficace per l’intrattenimento dello spettatore e decorosa per la personalità del film, che usa ingredienti conosciuti e consolidati dalla serie per creare qualche nuovo “sapore”. E grazie anche al ritorno dello storico cast in scena. Oltre a Linda Hamilton infatti è doveroso citare la presenza di Schwarzenegger.
Particolare e per certi versi estrosa la “nuova versione” di T-800 che ricopre nella pellicola di Miller. La storica figura del Terminator spiazza in Destino Oscuro, pur non deludendo affatto i fan quando si tratta del suo intervento nelle scene più muscolari, funge anche da inaspettato comic relief, ridimensiona in maniera piacevolmente surreale, il ruolo che ha sempre contraddistinto l’inespressivo e freddo colosso cibernetico, unificando tutte le sue passate incarnazioni, tra positive e negative, in qualcosa di semplicemente nostalgico, soprattutto nei confronti del suo rapporto con Sarah Connor.
Terminator: Destino Oscuro è quindi un giusto tributo al passato che funge da ideale anello di collegamento per un ipotetico futuro per la saga. Ma è anche un film gradevole, fatto di azione piuttosto coinvolgente e con una buona atmosfera, seppur incapace di raggiungere la vetta espressiva e quella dirompente alchimia tra regia, storia e contesto, frutto del geniale lavoro di Cameron negli anni ’80 e ’90.
Consigliato comunque a tutti i fan della saga.