The 8th Night: Ancora una volta la proposta di genere asiatica dimostra di avere una marcia in più
The 8th Night (lo trovate ora su Netflix) parte da un soggetto che sembra piuttosto convenzionale, che lascia intendere un approccio stereotipato e disimpegnato al genere horror: un monaco armato di accetta e rosario deve combattere contro un’entità maligna rappresentata da un occhio demoniaco rosso, la quale ha bisogno di entrare in possesso di sette specifici individui prima di potersi ricongiungere con l’altra sua metà (rappresentata da un occhio nero) e divenire un essere completo pronto a sconvolgere l’umanità.
Eppure, l’opera del regista e sceneggiatore Kim Tae-hyung, è fortunatamente più complessa di così. Non aspettiamoci infatti il classico racconto slasher o pieni di jump scare, non è un film morboso visivamente (se non verso l’elemento degli occhi), ma si tratta di un thriller dai connotati sovrannaturali, un film di indagini occulte, qualcosa che trova tra i sui motivi di maggiore fascinazione la scrittura dei personaggi e le loro relazioni. La minaccia demoniaca si inserisce come ruota motrice per mettere su schermo una storia di tormenti interiori, di redenzione, in cui il sottotesto dei valori buddisti è molto presente. L’espediente paranormale -come accade solitamente nelle storie di questo genere con un minimo di spessore- diventa quindi la cornice in una storia di evoluzione interiore per i personaggi che in The 8th Night assumono sicuramente una tridimensionalità non indifferente.
Merito anche delle splendide prove degli attori. Che si tratti dell’integerrimo poliziotto interpretato da Park Hae-joon, del giovane monaco a cui presta il volto Nam Da-reum, il quale uscito dalla piccola realtà del suo tempio per affiancare Park Jin-so, scopre un mondo a lui sconosciuto con cui si interfaccia con rinnovata ingenuità, o proprio dell’ex monaco protagonista, burbero, disilluso, ma con uno spiccato senso di responsabilità, in tutti i casi lo spettatore viene coinvolto soprattutto dalla concretezza delle figure in campo, che donano un pathos e creano una tensione nelle vicende che va oltre gli aspetti più surreali e banalmente “orrorifici” del film. In tal senso Park Jin-so è sì tormentato dalle spettrali anime in pena che non ha fatto ascendere mentre svolgeva il suo ruolo di monaco, ma quelli che pesano di più sono i demoni interiori, uno sconforto profondo, che, oltre a rendere interessante il personaggio e il suo background, contribuisce alla pesante atmosfera del film ed è qualcosa di prettamente terreno.
Ecco perciò che il film cattura lo spettatore non solo grazie alla valida costruzione drammatica di una caccia in cui il monaco Park Jin Soo segue le orme degli omicidi dello spirito maligno venendo a sua volta braccato dalle autorità al lavoro su una indagine parallela sugli stessi crimini, mettendo in scena contrasti tra personaggi vividi e ugualmente motivati, che permettono di provare tensione per le sorti di tutti loro. Non solo grazie al senso di urgenza scaturito da un ideale conto alla rovescia entro il quale la situazione va risolta prima di arrivare ad un punto di non ritorno in cui il demone non sarà più contrastabile. Risoluzione che tra l’altro passa attraverso l’obbligo di fare scelte morali difficilissime. Nossignore, c’è qualcosa che lo eleva ulteriormente.
The 8th Night è un film che imbastisce un intreccio dai toni estremamente cupi interessante da seguire grazie ad una regia non didascalica, pulita e puntuale. Ma la verità è che scardina la fiacchezza dei suoi topoi più derivativi o scelte stilistiche un po’ “grezzotte”, grazie soprattutto all’intensità dei personaggi e dell’atmosfera creata. Un’atmosfera che sebbene si distenda in una storia che si svolge in luoghi e giorni diversi, riesce a trasmettere una sorta di oscuro isolamento attorno alle figure chiave del film, permettendoci di mantenere lo sguardo su di esse in maniera ancora più concentrata.
Quanti cerchino un film horror un po’ scoppiettante ed esibizionista, potrebbero rimanere quindi delusi. The 8th Night è avaro di scene sanguinolente e non punta a spaventare lo spettatore. Si tratta di qualcosa di diverso, un thriller che si muove tra l’esoterico, disimpegnato solo se si considera la relativa linearità dell’intreccio, ma costruito su fondamenta solide e efficaci, che ci raccontano attraverso un linguaggio e rituali appartenenti ad una realtà spirituale lontana dalla nostra, temi piuttosto universali e per quanto banali, sempre interessanti e per forza di cose, sentiti, se messi in scena dignitosamente. Il mio consiglio quindi, è quello di dargli una meritata possibilità.