Dammi un batarang che mi taglio le vene
opo tanta attesa, The Batman di Matt Reeves è finalmente qui e se ne può parlare.
Bene o male? Un po’ in una direzione e un po’ nell’altra, come spesso accade. E non si tratta di essere cerchiobottisti, perché The Batman in effetti è un film con diversi punti bui ma anche barlumi di luce, sebbene la luce sulla Gotham di Reeves non si veda praticamente mai, con rare sequenze di giorno in cui il cielo è grigio e la pioggia batte forte.
Questo Batman è forse il più dark di tutti, ma non mi riferisco tanto alla leggendaria oscurità del Cavaliere della DC, quanto purtroppo alla cupezza d’animo del personaggio interpretato da Robert Pattinson.
The Batman inizia con premesse entusiasmanti, mostrandoci una figura nera totalmente distante dal concetto di supereroe senza macchia, ma brutale, selvaggio, dandoci la parvenza di una connessione tra l’oscurità delle tinte dell’opera di Reeves e quella del suo Cavaliere mascherato, pronto a fare a pezzi una banda di teppisti devoti al caos e al marciume di Gotham.
“Io sono Vendetta”, risuona come un’eco sullo sfondo di una città che ha bisogno di lui tanto quanto lui sembra aver bisogno di lei.
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Diventa bieca questa notte da pipistrelli
L’immagine di un uomo pipistrello vendicativo e violento si palesa nella nostra mente e impazziamo, di gioia, solo all’idea. Ben presto però questa immagine si dissolve nel fumo della città, mentre brutalità e ferocia lasciano il posto alla parte più demoralizzante della sofferenza, e l’incarnazione super-eroistica di Robert Pattinson muta in un Batman stanco e depresso.
E se fin quando indossa tuta e mantello risulta credibile, anche grazie al solito repertorio di battute destinate a diventare meri quote avvincenti, il vero punto debole di questo Batman è proprio Bruce Wayne. Ovvero quello che manca di Bruce Wayne.
Il leader solido e carismatico che abbiamo conosciuto in diverse rappresentazioni diventa una figura dai tratti emo con un caschetto unto e il trucco colato sotto gli occhi, mentre lo sguardo è assente o peggio ancora sconfortato e disilluso.
Non possiamo certo definire Batman come un eroe positivo, ma la visione di Reeves trasuda negatività. Coerentemente con lo sfondo ombroso di una Gotham City in cui la degenerazione della politica e una corruzione dilagante creano mostri su mostri, non risparmiando la nitidezza e il candore di nessuno, nemmeno di Thomas Wayne.
Anche l’uomo per bene, in una determinata situazione, può essere capace di tutto, sottolinea il Carmine Falcone di John Turturro. Questo è sostanzialmente il messaggio con cui Matt Reeves costruisce il suo Batman, e non ci stupiamo allora della moltitudine di cattivi, che tra l’altro si pestano i piedi a vicenda.
A prendersi la scena ci pensa un villain – anche qui – diverso dall’immaginario comune ma piuttosto efficace, come l’Enigmista. Dimenticate cromie sfavillanti, perché nel mondo reevesiano c’è esclusivamente posto per il nero o per le tinte scure, e come per Pattinson anche Paul Dano sembra funzionare in modi contrastanti a seconda che abbia o meno la maschera. Molto più lucido e terrificante dietro di essa, folle e sconclusionato senza, ma – come detto – sa come prendersi la scena.
Lui e gli altri. L’opera di Reeves è corale e oltre all’Enigmista e al citato Falcone spicca una Zoe Kravitz in stato di grazia nei panni di Selina Kyle, ovvero Catwoman, bella da morire e perfetta nel ruolo, dando vita ad una incredibile alchimia con Batman, forse uno dei punti di forza del film, sebbene il destino metta ancora una volta la moto della donna gatto su un percorso diverso da quello dell’uomo pipistrello. A là Nolan, insomma.
E poi ovviamente c’è un Pinguino aka Oswald Cobblepot straordinario, impersonato dall’ormai redivivo Colin Farrell, in una versione imbolsita e irriconoscibile in cui trucco e parrucco danno il meglio di sé. E a proposito di Pinguino la scena dell’inseguimento in macchina alla Fast & Furious è esplosiva, in tutti i sensi, e merita da sola il prezzo del biglietto.
Perché, forse lo avrete capito, il comparto tecnico e visivo è uno dei plus di The Batman, con l’impeccabile fotografia di Greig Fraser (Dune) che lavora solo sui neri e scale di rosso, restituendoci i colori voluti a tutti i costi da Matt Reeves, oltre ad una scenografia a tratti stupefacente firmata da James Chinlund (fatelo lavorare di più, per favore).
Tutto questo però, purtroppo, si sviluppa in un tempo eccessivamente dilatato, con tre ore che vengono percepite come il doppio, a causa di una parte centrale molto lenta e didascalica in cui il regista avrebbe potuto usare di più le forbici, dato che gli piacciono tanto. C’è troppo contorno invece a spadroneggiare, lasciando ai margini la narrazione, gli enigmi, la componente giallistica della storia. E in tre ore questo non puoi certo permettertelo.
Anche perché così facendo ricade su Pattinson il peso insormontabile di un eroe così complesso da gestire, e al netto di tutto questo e di quanto abbiamo già detto su di lui la sua performance non è neanche da buttare.
L’idea della voce narrante, un po’ a là Max Payne, è intelligente ma il modo incostante in cui Reeves la sfrutta è inconcepibile, al punto che nella parte centrale del film ci si dimentica quasi di questo particolare, per poi tornare con forza verso il finale. Un finale peraltro un po’ deludente, con esplosioni e scenari post-apocalittici molto più Marvelliani che da Batman.
In conclusione, tra luci e ombre, era lecito aspettarsi di più dal Batman di Matt Reeves, soprattutto in favore di quell’oscurità proclamata già dai primi annunci e che ci ha fatto credere e sperare in un Uomo Pipistrello vendicativo e spietato. Quello che abbiamo di fronte è invece un uomo che ha nascosto la rabbia sotto una coltre di sofferenza, e sebbene in sporadici momenti venga fuori in tutta la sua forza, per il resto del tempo finisce ingabbiata tra tetraggine e depressione.