Con The Eddy, Netflix ci porta in un mondo nuovo, mai esplorato da una serie TV
Il più giovane regista della storia ad aver vinto un premio Oscar, padre di perle meravigliose come First Man, Wiplash e, soprattutto La La Land, il Maestro francese Damien Chazelle, ha deciso di portare su Netflix un’opera romantica e malinconica, ricca di spensieratezza, libertà e amore per la musica jazz: The Eddy.
La nuova miniserie della N rossa, che di miniserie non ha quasi nulla vista la durata di un’ora ciascuno per i primi due episodi, e tra i cinquanta e cinquantacinque minuti per i restanti, è una ventata di aria fresca nel catalogo Netflix.
The Eddy, con il suo costante, e piacevolmente assordante, omaggio al Jazz, è un’opera innovativa, profondamente autoriale.
La co-direzione affidata a Chazelle, da Jack Thorne (ideatore del prodotto), si vede e si sente. La pedissequa ricerca di un protagonista, i movimenti di camera instancabili, questa fotografia così sporca, grezza, i vuoti colmati dalle figure sullo schermo che improvvisano ritornelli e accordi.
Nonostante un inizio lento, e questa volta il termine è decisamente azzeccato, The Eddy ci porta in un mondo riservato e intimo. Familiare a chi ha, almeno una volta nella vita, ha suonato uno strumento o frequentato un club di serie B. La povertà delle banlieue parigine è la cornice che intrappola i nostri protagonisti, incapaci di fuggire da una quotidianità che li maltratta, li soffoca, li sfrutta.
L’unica via di fuga è la musica. L’unica valvola di sfogo è il Jazz. Così esuberante e smodatamente contenuto allo stesso tempo, così frizzante e malinconico. Un lento ed incessante spartito che viene calpestato dai passi di Elliot Udo, proprietario del Club ed ex compositore costantemente preso a pugni dalla vita.
L’arrivo in città di sua figlia Maja risulterà per lui essere una nuova Primavera dopo un lunghissimo Inverno. Un raggio di sole che squarcerà i grigi cieli francesi. Dietro la scorza della giovane ragazza di New York, per quanto possa essere stereotipata e avere un sapore già noto, si celano tutte le fragilità di un’esistenza passata a rincorrere il proprio “io”. Un’esistenza che l’ha portata a Parigi.
L’alternanza tra recitato e musica viene enfatizzata dai movimenti di camera realizzati costantemente a mano, con inquadrature rapide, taglienti, grossolane. L’occhio dello spettatore viene sballottato a destra e sinistra in attesa di un vero momento di quiete.
Le pause, dominate da silenzi e sguardi, per quanto possano essere anomale in un’opera di simili fattezze, sono assordanti, ancor più dei concerti jazz al The Eddy. Le vite dei personaggi sono tristi, crude, consumate da una città così ricca ed incredibilmente vuota.
L’unica via di scampo è la musica, e la colonna sonora curata da Glen Ballard (produttore che ha collaborato, solo per citarne alcuni, con Michael Jackson e Barbra Streisand) è un metronomo scassato che non riesce a bilanciare il nostro reale stato d’animo, tanto meno quelli dei protagonisti.
Le composizioni energiche, dirompenti, che rotolano incessantemente per una discesa infinita, cozzano con il ticchettio degli animi di Elliot, Julie, Farid, Amira, o gli altri membri della band pronti ad esplodere da un momento all’altro, mentre si concentrano a mantenere una parvenza di normalità e quiete.
Chazelle, dopo lavori incredibili e che sono entrati nella storia del cinema, decide di rompere la monotonia della serialità, portandoci un prodotto che si lascia guardare e, soprattutto, ascoltare. Un vinile da gustare nella propria confusionaria solitudine.
The Eddy è un visionario e crudo spaccato di quotidianità, inserito in una meravigliosa cornice
Episodio dopo episodio (essendo questo show l’incarnazione dell’anti binge–watching) scopriremo tasselli sempre più romantici e nascosti tra le trame di una sceneggiatura tanto semplice quanto tristemente reale. Chi ha vissuto almeno una parte della propria vita tra accordi, prove con la band, locali scuri, drink del venerdì sera, riuscirà a respirare l’aria densa e stantia del club di Elliot.
Con The Eddy l’omaggio al jazz, ma anche alla vita del musicista generico, è evidente e ai limiti della straziante perfezione. Con tutte quelle sbavature che si rincorrono nell’evoluzione di una storia così asciutta e stringata, nonostante una durata che sfiora le complessive otto ore.
Da sottolineare, oltre all’incredibile mole artistica presente a 360 gradi in quest’opera, è la costante alternanza di dialoghi tra inglese, francese e arabo. Un ulteriore artificio volto a farci immergere ancora di più nella realtà periferica parigina.
The Eddy, in sostanza, non solo si mostra come un’opera totalmente devota alla musica e alla vita che ne consegue, ma anche come una serie che si distacca totalmente da ciò che è già presente sul mercato attuale. Una produzione così originale e a sé stante, da poter meritare di ottenere una categoria a sé. Perché di serie TV dedicate alla musica ne abbiamo viste e, soprattutto, sentite, ma come The Eddy mai.