Gold Road riporta i giocatori di ESO a Cyrodiil per esplorare nuove foreste e fronteggiare un nuovo Principe Daedrico
Ormai sono trascorsi quasi quattordici anni dall’ultimo “vero” Elder Scrolls, ed è perciò comprensibile che chi ha amato Skyrim e i suoi predecessori si senta orfano di un’ambientazione fantasy unica, nonché di una concezione del gioco di ruolo che nessun altro sviluppatore sembra intenzionato a raccogliere. In tutti questi anni mi sono ostinato a consigliare a chi sentisse questa mancanza, contro lo snobismo e il disinteresse che purtroppo circondano gli MMORPG, di provare The Elder Scrolls Online.
All’MMORPG di Zenimax manca, ovviamente, la qualità sandbox e immersiva dei videogiochi Bethesda, in favore di un compromesso con elementi multigiocatore che lo rende piuttosto atipico ed interessante nel proprio genere, ma forse non facilmente in linea con i gusti dei fan degli Elder Scrolls. Non gli mancano invece il fascino dell’ambientazione e una ricchezza narrativa forte di ormai una decade di sviluppo. È in virtù di questa che ancora oggi me la sento di consigliare ESO a chi avesse una voglia di Elder Scrolls da saziare, e anche l’ultimo capitolo, Gold Road, risponde almeno in parte a questa esigenza.
Non voglio spendermi qui in un discorso onnicomprensivo su Gold Road: sono certo che i giocatori più assidui e appassionati di ESO hanno già trascorso l’ultimo mese ad esplorare l’espansione nella sua interezza accanto a me, facendosi le proprie opinioni e informandosi tramite canali più specializzati sugli aspetti “tecnici” dell’esperienza. Voglio invece concentrarmi sugli aspetti a cui ero più interessato: la storia, il questing, il mondo, nonché i modi in cui queste tre dimensioni del gioco lavorano di concerto, se lo fanno.
Una storia che non sviluppa i propri temi…
La premessa di Gold Road è quasi banale nella sua semplicità, ma anche dotata di un grande potenziale: un antico e dimenticato Principe Daedrico sta facendo ritorno su Tamriel, e il suo arrivo, come previsto da Hermaeus Mora in Necrom, rischia di disfare il tessuto della realtà. Per sventare l’ennesima fine del mondo il giocatore deve avventurarsi nel West Weald, la regione meridionale di Cyrodiil che in Oblivion ospitava la città di Skingrad, e direttamente confinante, a sud, con Valenwood.
Se devo essere del tutto sincero provo una certa stanchezza per avventure fatte di Principi Daedrici che vogliono distruggere Nirn, cultisti che tentano di aiutarli ed espedienti magici così remoti e intangibili da svuotare la vicenda di qualsiasi peso drammatico. Non c’è neanche davvero il rischio di fare spoiler, visto che la storia si esaurisce nella propria premessa: Ithelia, il Principe dei Sentieri, distruggerà il mondo se non la sconfiggiamo. Nel corso della main quest ci si potrebbe anche formare la speranza che la storia di Ithelia vada in una direzione diversa, che Hermaeus Mora si sia sbagliato, che la Signora della Via Inesplorata possa condurre la vicenda su un sentiero non ancora battuto. Invece la sorpresa è che non ci sono sorprese.
È un peccato, perché il mistero sulla natura di Ithelia era forse l’unico punto di vero interesse sollevato da Necrom, nonché un elemento di lore dalle potenzialità pressoché infinite. Non parliamo solo dell’introduzione di un nuovo Principe, il che non succede tutti i giorni, ma di un Principe in grado di cambiare il destino e plasmare la realtà a proprio piacimento. Gold Road, tramite la voce di Hermaeus Mora, codifica questa potenzialità di cambiamento come qualcosa di distruttivo, e assegna ancora una volta al giocatore il compito di difendere lo status quo. Al di là dell’ovvia e tutt’altro che forzata implicazione ideologica, ciò che ho trovato davvero deludente è che si indicasse la porta verso una nuova fantasia, per poi rifiutarsi di aprirla.
Non è soltanto un brutto messaggio, è prima di tutto un messaggio noioso: la fine di Gold Road lascia in mano una storia che non vuol dire niente, che non segue i temi cui accenna, che non stimola riflessioni, che non semina dubbi, che non insegna nuove prospettive, né svolge la semplice funzione di un escapismo appassionante. E neanche arricchisce particolarmente la lore di Elder Scrolls, visto che Ithelia torna all’oblio da cui era emersa senza lasciare alcuna traccia di sé, senza che le sue motivazioni siano ben esplorate e senza che si capisca bene quale sarebbe stata, in concreto, la minaccia che poneva.
…in un mondo vitale e ben costruito
Più interessante la parte di racconto riguardante l’avanzata del Valenwood: la foresta è cresciuta come per magia, da un giorno all’altro, estendendosi nel Cyrodiil meridionale e minacciando l’integrità dei confini coloviani. La risoluzione di questo mistero e la tensione politica che ne risulta fanno da pretesto a una nuova esplorazione ravvicinata della cultura degli Elfi dei Boschi, delle loro lotte interne, e in particolare di una sorta di irredentismo Ayleid. In effetti la storia sembra tanto più brillante quanto più si allontana dai suoi sviluppi principali: ho trovato il racconto dei luoghi, dei popoli, dei personaggi occasionalmente incontrati sulla via, come sempre vitalissimo e capace, questo sì, di infondere nuova linfa nella tradizione narrativa di Elder Scrolls e di avvolgere il giocatore in un mondo tangibile e interessante.
Forse ciò che mi aspettavo più di ogni altra cosa da Gold Road era proprio la possibilità di tornare a Oblivion, di riscoprire la familiarità delle strade di Skingrad, di approfondire la cultura e la storia degli Alti Elfi delle Heartland, di esplorare le loro rovine, di perdermi tra i profili dorati delle colline del West Weald. Pur senza forse raggiungere i fasti di Summerset, gli ambienti di Gold Road sono ricchi, curati e suggestivi, e riverberano diffusamente di un senso di nostalgia, piacevolmente spezzato da elementi inattesi. L’unico momento di lieve delusione l’ho vissuto a Skingrad: a parte la cattedrale, che per un attimo mi ha tolto quasi vent’anni dalle spalle, la capitale della contea non ricorda molto la sua controparte di Oblivion.
Speravo di sperimentare nuovamente il senso di familiarità già vissuto tante volte nelle precedenti espansioni, come a Seyda Neen o a Leyawiin. Invece Skingrad, per quanto comunque bella in sé e decisamente più curata dal punto di vista architettonico, nonché dotata di alcuni appigli di reminiscenza, con i suoi stendardi rossi e le sue strutture aggettanti, mi è sembrata anche più aliena di quanto avrei voluto. In generale, nonostante alcune occasioni mancate e per quanto sia difficile attribuirgli una qualche eccellenza, me la sento di dire che il questing e l’esplorazione di Gold Road rappresentano un’aggiunta più che degna al già ricchissimo mondo di Elder Scrolls.
Creare i propri incantesimi
Mi va di dedicare due parole anche allo Scribing, il nuovo sistema di abilità personalizzabili introdotto in Gold Road. Sulla carta la possibilità di creare delle skill, scegliendone gli effetti, è sicuramente molto interessante: la promessa è di avere centinaia di variabili per personalizzare la propria build ben oltre ciò che era possibile finora. Tuttavia non sono riuscito a non guardare fin dall’inizio con un certo sospetto all’aggiunta di un sistema di progressione, e relativo grind, ulteriore rispetto al già solido e piuttosto originale sistema di skill di ESO.
Personalmente tendo a preferire l’espansione di sistemi già esistenti, rispetto all’aggiunta di sistemi nuovi. Un nuovo sistema è un cambio di modello, o come minimo una sovrastruttura che appesantisce il design del gioco, e non è detto che il fan del modello precedente si senta a suo agio con il nuovo paradigma. Il parallelismo forse è un po’ forzato, ma è uno dei motivi per cui il passaggio da Shadowlands a Dragonflight mi era stato così gradito.
Il mio primo rapporto con il sistema di Scribing non è stato dei migliori: la quest per sbloccarlo è durata ore, e credo abbia rappresentato l’esperienza più tediosa che io abbia mai vissuto da quando gioco a ESO. Quasi tutto ciò che bisogna fare è correre da una parte all’altra pigiando il tasto E. Non capirò mai perché alcuni sviluppatori scelgano di disegnare le proprie quest così. Hai un intero apparato meccanico che costituisce il linguaggio fondamentale del tuo videogioco, ciò che lo rende divertente, in questo caso pigiare i pulsantini colorati per infliggere badilate alle creature ostili, e scegli di ignorarlo per ridurre l’interattività alla semplice risposta ad un prompt testuale.
Buon potenziale, implementazione discutibile
Dopo qualche ora passata a consumare il tasto E per interagire con il portale, il focal point o l’NPC di turno, ho scoperto che la ricompensa era un nuovo grind. Sia chiaro, non ho nessun problema con l’idea di lavorare per raggiungere un obiettivo in un MMORPG, quindi personalmente non ne ho sofferto molto. E c’è da dire che il nuovo sistema mi è sembrato tutt’altro che obbligatorio: può dare al tank qualche nuova utility, al giocatore solitario un modo per sopperire a una lacuna della propria build o per arricchire la propria fantasia, ma non mi è sembrato rappresentare una necessità o intaccare l’orizzontalità della progressione di ESO.
È un sistema che può essere ignorato e che può trovare il suo spazio, visto che di per sé un nuovo pulsante da assegnare alle hotbar è sempre qualcosa di interessante, e del resto le sue problematiche non sono poi così tremende: alla fine tutto ciò che chiede è di giocare al gioco, e difficilmente un giocatore assiduo la troverà una richiesta irragionevole. Tuttavia avrei preferito che la quest per sbloccarlo fosse un po’ più breve e divertente, e che il metodo di ottenimento fosse un po’ meno vittima del drop rate, che di fatto scoraggia la sperimentazione e rende il sistema poco accessibile a quella parte di pubblico che vorrebbe dare un po’ di flavour al gioco di ruolo e al personaggio senza impegnarsi in un grind di lunga durata.
Che Gold Road piaccia o no, ESO resta un buon videogioco
Forse questa descrizione di Gold Road può sembrare un po’ negativa, o vittima di un’ambiguità tra alti e bassi che non trova soluzione. Se mi si chiedesse di consigliare o sconsigliare Gold Road non saprei dare una risposta univoca: ha il potenziale per essere divertente e quello per non esserlo, l’esito dipende interamente dall’approccio del giocatore. Mi va però di sottolineare che stiamo parlando di un’espansione, non di un videogioco a sé. The Elder Scrolls Online non è solo un videogioco divertente e originale, ma è anche costruito su una progressione orizzontale, perciò le sue espansioni, anche quelle che scivolano un po’, non hanno il potere di intaccare la fondamentale bontà dell’esperienza.