The Flower Collectors dimostra i come il contenuto, senza la giusta forma, non sia abbastanza.
Ogni tanto, soprattutto nel “mercato medio budget”, capita tristemente di trovare esperienze che sembrano più pensate per ricalcare idee e formule di successo altrui, piuttosto che per voler esprimere qualcosa sfruttando una specifica forma comunicativa già inventata o sperimentata altrove. Pensate ai cosiddetti “limbolike”: dopo il successo di Limbo (e Inside), il mercato è stato invaso da decine e decine di prodotti più o meno simili, almeno a livello formale, ai capolavori Playdead. Dal coraggioso Black The Fall, passando per lo splendido Burning Daylight e per il pessimo Stela, decine di opere si sono susseguite cercando di aggiungere o semplicemente riproporre quanto visto nelle creazioni di Jensen e Patti, senza però riuscire a raggiungere quelle vette espressive.
Tutto ciò è dovuto al fatto che rispetto alla concretezza contenutistica delle opere Playdead i successivi “emuli” hanno solo potuto imitarne la forma, ma non depredarne anche il contenuto. Giocando The Flower Collectors mi sono reso conto, per la prima volta nella mia esperienza videoludica, di trovarmi di fronte a un’opera che ha invece una grande voglia di dire, di raccontare, di mostrare, ma lo fa senza affidarsi a sufficienza a delle forme espressive che si sono dimostrare solide ed efficaci negli ultimi anni.
Mi’Pu’Mi games, dopo l’intrigante The Lion’s Song, ha deciso di lanciarsi in un’impresa titanica: raccontare la resistenza cittadina spagnola negli anni immediatamente successivi alla morte di Francisco Franco, sfruttando un concept molto simile all’hitchcockiano “La finestra sul cortile“. Infatti, vestiremo i panni di Jorge, un vecchio poliziotto che, dopo un incidente sul lavoro, ha perso l’uso delle gambe, e oggi vive sulla sedia a rotelle. Un giorno, proprio durante uno dei nostri scorbutici controlli del vicinato, dall’alto del nostro balcone che copre l’intera piazza sottostante, diventeremo testimoni indiretti di un omicidio. Nell’arco di pochi secondi dal colpo di pistola, una giovane giornalista irrompe nel nostro piccolo appartamento, chiedendoci aiuto e riparo. Ci confiderà dopo poco che la vittima avrebbe dovuto incontrarla per recapitarle delle informazioni vitali per la nascente democrazia spagnola. Da quel momento, inizieremo ad aiutare la nostra nuova alleata, cercando prove, fornendo supporto, sfruttando la nostra posizione.
Le premesse per un racconto interessante ci sono tutte. Il concept, che come già detto richiama a grandi linee quello della famosissima pellicola di Hitckcock, ha permesso agli sviluppatori di porre le basi per uno dei generi narrativi più ricorrenti nel mondo videoludico, ossia quello investigativo. Da Return of the Obra Dinn fino a The Occupation, per limitarci agli ultimi anni, il settore ha visto numerosi esponenti di una tipologia di racconto che si presta tantissimo all’interazione, perché sovrappone in modo efficace la volontà del giocatore, quella dei protagonisti e quella del racconto. Inoltre, non solo l’ambientazione è incredibilmente originale, ma viene anche mostrata da una prospettiva molto particolare per il mondo videoludico: se generalmente siamo noi a controllare tutto ciò che accade, a poter esplorare e governare ritmi e tempi, in The Flower Collectors, anche in virtù delle limitazioni architettoniche imposte a Jorge, potremo solo controllare, fornire supporto a quella che sarebbe la protagonista di ogni altro videogioco, ossia la giornalista, Melinda.
Al tema politico, dunque, si affianca quello della dignità dell’individuo, e nel corso dell’esperienza emergono critiche dirette e fortissime alla Chiesa Cattolica, alla connivenza dei cittadini più interessati ai loro affari che alla giustizia, e alla difficoltà per i diversi di trovare aiuto e supporto dalla società. Sebbene si osservi tutto dall’alto di un solo balcone, The Flower Collectors riesce inoltre a dare ampio spazio a diverse realtà sociali, e nel mentre è in grado di costruire un’ambientazione capace di stimolare la curiosità dell’atipico spettatore che andremo a impersonare.
Purtroppo, quest’enorme quantità di temi, soggetti interessanti e meritevoli d’approfondimento perde quasi subito mordente, di fronte a una resa tecnica più che claudicante, e soprattutto a seguito di scelte di design decisamente fuori fuoco e incoerenti con la tipologia di racconto scelta in fase di progettazione. Innanzitutto, a livello di design il gioco si ispira palesemente al modello di Campo Santo (Firewatch), ribaltando il ruolo dei personaggi principali, e rendendo il nostro avatar il perno fisso intorno al quale ruota invece l’unica (o quasi) interlocutrice del racconto, che svolge il ruolo di “parte attiva”. Purtroppo però la possibilità di dare un peso scenico e ludico alla necessaria “passività” del personaggio aiutante si perde per scelte di design eccessivamente giocose, pensate per non arrestare la voglia di proseguire piuttosto che per riproporre effettivamente la sensazione di spaesamento di un’indagine investigativa.
Per esempio, quando chiederemo alla protagonista di andare a interrogare un abitante di un palazzo, i tempi in cui si sposterà saranno immediati, e l’avremo sempre sotto controllo, come se davanti avessimo uno schermo che ci mostra eventi secondo il nostro volere, e non come se fossimo testimoni attenti e minuziosi di storie o potenziali prove. In sostanza, tranne in rarissimi casi della trama principale, non sentiremo alcun tipo di limite nelle nostre indagini, e non c’è nulla di meno coerente, sia a livello tematico che narrativo, in un racconto investigativo, soprattutto con questo concept.
Come se non bastasse, alla fine di ogni capitolo dovremo mettere insieme le prove ottenute durante le nostre “indagini” dall’alto, unendole a quanto scoperto dalla giornalista, sempre a seguito del nostro supporto aereo. Purtroppo però, invece di dare davvero un ruolo all’abilità, all’attenzione e all’immaginazione del giocatore (Return of the Obra Dinn), ci troveremo banalmente a inserire il giusto disegno o la giusta foto in quadranti appositi, che descrivono con una certa minuzia quale elemento andrà inserito al loro interno: una volta completata la lista, i protagonisti ne fanno una sintesi, che può essere solo uno, e non è dunque possibile sbagliare. Se già questo non fosse sufficiente, il gioco farà dire alla giornalista delle frasi specifiche durante la sintesi investigativa di fine giornata, e a seconda dell’immagine inserita ci diranno automaticamente qual è quella giusta: potenzialmente, potremmo selezionarle tutte a caso, e riuscire comunque nella grande inchiesta per la salvezza della democrazia spagnola.
Si potrebbe obiettare, banalmente, che l’obiettivo di Flower Collectors non è quello di far sentire il giocatore come il suo avatar, ma di fargli vivere un’esperienza interattiva dal tratto spettatoriale, dove la differenza con il protagonista è marcata. Questa scelta potrebbe anche avere senso, data la teorica profondità caratteriale data a Jorge, ma purtroppo le animazioni quasi inesistenti e i gravissimi problemi di intelligenza artificiale rendono impossibile approcciarsi con fare “teatrale” e spettatoriale al gioco, che di certo non brilla per qualità dei dialoghi e di messa in scena, sia dal lato tecnico che di mera gestione degli spazi e degli eventi. Si salvano invece delle buone interpretazioni del doppiaggio, che danno un briciolo di spessore a dei personaggi altrimenti impalpabili, e una direzione artistica generalmente intrigante, con un’intelligente rinuncia al fotorealismo.
In sintesi, The Flower Collectors lascia quasi stupiti per la quantità di belle idee rimaste solo tali, incapaci di concretizzarsi in virtù di un’apparente mancanza di comprensione della forma videoludica di evidente riferimento (Firewatch su tutti). Un peccato davvero.