Arriva su Netflix, sotto forma di miniserie, la versione estesa del film di Sion Sono, The Forest of Love.
Nell’ottobre del 2019, usciva su Netflix il penultimo film del regista e sceneggiatore giapponese Sion Sono. The Forest of Love era una pellicola bizzarra tanto quanto complessa, e questa recente Deep Cut aggiunge all’operazione quasi il doppio del minutaggio iniziale. Una produzione paradossale da parte di Netflix, forse rivolta alla stretta nicchia di fan del regista nipponico. Ma chi è esattamente Sion Sono?
Chi è Sion Sono?
Sion Sono è un regista particolarmente giovane se consideriamo la sua età (58 anni) e i film nel curriculum (oltre 40). È una figura peculiare nel panorama cinematografico mondiale, ma non in quello giapponese. Non è strano per il Giappone produrre un enorme quantità di cinema di genere che spazia dalla commedia allo splatter in un batter d’occhio. Solo nel 2015, ad esempio, Sion Sono ha firmato la regia di ben cinque pellicole. Un cineasta indubbiamente prolifico, che molti cinefili dallo zoccolo duro potrebbero equiparare al collega e connazionale Takashi Miike. Entrambi i registi sono stati infatti figure particolarmente presenti all’interno dei Festival italiani nel corso dell’ultimo decennio.
Soprattutto Sion Sono, ha una particolare relazione con Torino Film Festival, che nel corso del tempo ne ha presentato numerose pellicole. Sono è però anche un autore, scrittore, poeta e sceneggiatore di moltissime sue pellicole. Nella sua carriera si è infatti spesso occupato dell’analisi della società del proprio territorio. Dal ruolo della donna in Giappone alla mascolinità tossica della Yakuza passando per le vie più introverse (e perverse) dell’animo umano. Con The Forest of Love: Deep Cut, porta all’estremo eccesso la propria poetica per raccontare una straziante storia emotiva.
Cos’è The Forest of Love?
La serie si apre nel 1985 con un gruppo di ragazze di un liceo femminile, in procinto di realizzare una recita scolastica su Romeo e Giulietta. La morte di una delle ragazze, porta allo scioglimento del gruppo e alla crisi emotiva delle due protagoniste, Taeko e Mitsuko. Dieci anni dopo le due ragazze si rincontreranno grazie a ad un gruppo di amici cinefili intenzionati a girare un film per vincere un festival locale. Dopo il loro incontro, entrerà in scena il personaggio di Joe Murata, misteriosa figura che a poco a poco comincerà a destabilizzare le vite di chiunque gli capiti a tiro. Joe Murata è ipnotico, enigmatico ed estremamente affascinante.
Tutte le donne sono innamorate di lui e tutti gli uomini vorrebbero essere come lui. È un cantante, imprenditore, playboy e regista, ma soprattutto è un manipolatore. The Forest of Love è infatti la storia di come un esterno, Murata, possa facilmente entrare nelle nostre vite per distruggerle dall’interno. Un soggetto di richiamo pasoliniano che fonde Shakespeare alla poetica di Sono in un ibrido inclassificabile e quasi indescrivibile. La serie non solo è difficile da descrivere, ma anche da commentare, essendo un vero e proprio flusso di coscienza cinematografico che vive di continue suggestioni visive e tematiche.
Un’opera criptica
Come già detto, abbiamo sotto agli occhi un’opera difficile da descrivere e da decifrare. È facile scovarne i temi, che variano dall’anarchia del potere al ruolo dei sessi nella società giapponese. Ma più di tutto, The Forest of Love è una serie sul sadomaso. Anzi, la serie stessa è sadomaso, perché vederla implica sottoporsi ad un processo equiparabile alla tortura o all’asfissia erotica. Tutti i personaggi della storia hanno atteggiamenti (auto)distruttivi, in una sorta di crisi emotiva che li porta al collasso anarchico collettivo. Tutto questo nel mezzo di una storia che parte da Shakespeare, passa per storie di serial killer e approda in un alienante horror psicologico. E quindi assistere a questa paradossale odissea è un’esperienza nauseante ma allo stesso tempo elettrizzante.
Non parliamo di una “bella” serie nel senso stretto del termine. Non abbiamo le regole classiche della narrazione che prevedono un intreccio, una serie di conflitti e una risoluzione finale. Sono innumerevoli anche gli errori di continuità, i buchi narrativi o gli scavalcamenti di campo. Ma sono tutti dettagli che, dopo un paio di ore di visione, lasciano il posto ad un fascino masochista raro da ritrovare su una piattaforma come Netflix. Siamo davanti a un prodotto simile ad un quadro di Jackson Pollock, nel quale avvertiamo una serie di colori caoticamente messi in scena ma in cui non è presente una forma concreta. Questa è forse la metafora più esemplificativa per The Forest of Love. Un poema ultra personale di Sion Sono (che in questa serie è sia regista che sceneggiatore che montatore) in cui è difficile entrare, ma se si riesce ci si ritrova all’interno di uno straziante per quanto ipnotico racconto intimo. Un vero e proprio sadismo cinematografico, da guardare quindi solo se si ama soffrire.