Su SKY potete trovare The Hanging Sun – Sole di mezzanotte, film di Francesco Carrozzini con Alessandro Borghi protagonista, tratto da un romanzo di Jo Nesbo. Ma si tratta di un prodotto che corre velocemente verso la conclusione, dimenticando tutto il resto
oglio fare una premessa. Ho letto qualche libro di Jo Nesbo, ma ancora non mi è mai capitato tra le mani Sole di mezzanotte, il romanzo da cui è stato tratto il film The Hanging Sun di Francesco Carrozzini.
Lo so, potreste pensare non sia una premessa necessaria, a maggior ragione per il fatto che ritengo che un film si debba poter giudicare a prescindere dalla precedente fruizione del libro, del fumetto, del videogioco o di qualsiasi altro medium da cui è stato tratto. È ovvio che disporre di un maggior numero di elementi e la possibilità di fare un confronto possano costituire delle carte in più da giocarsi, soprattutto in termini analitici, ma un adattamento cinematografico deve saper arrivare a tutto il pubblico.
Anzi – aggiungo – ho sempre detestato chi in questo lavoro esprime supponenza asserendo che si possa giudicare un’opera soltanto se si conosce a fondo ciò da cui è tratta, ed è per questo che in tanti anni di attività ho sempre evitato di farlo.
Inoltre, se questo concetto è vero in assoluto, penso lo sia ancora di più per i film tratti dai romanzi.
Tutto questo preambolo per dirvi che, vuoi per un po’ di esperienza accumulata, vuoi perché nonostante non abbia letto Sole di mezzanotte, conosco la scrittura di Nesbo e immagino cosa aspettarmi da un suo libro, il primo pensiero dopo la visione di The Hanging Sun è stato: questo è un film incompleto!
Sì, può sembrare un paradosso dopo le righe precedenti ma invece il punto è esattamente questo, ovvero la capacità di rendersi conto quando si ha a che fare con un buon film e un buon adattamento, oppure no.
The Hanging Sun è una costante corsa contro il tempo, non tanto nel ritmo che invece è compassato come si confà a una realtà e un’ambientazione scandinava, quanto in una sorta di fretta nel raggiungere la soglia dei 90 minuti, come se fosse il tempo entro il quale il regista Carrozzini non potesse andare.
E quindi, nonostante io sia piuttosto convinto che nel libro il racconto sia molto più dilazionato, tutto questo è totalmente ininfluente, poiché a prescindere da questo il film lascia la sensazione di avere a che fare con un prodotto chiuso con urgenza e assai poco approfondito.
Non sono approfonditi i personaggi, non lo è la storia del protagonista John (Alessandro Borghi), quella di Lea (Jessica Brown Findlay) e della sua famiglia, tantomeno quello della realtà criminale di cui fa parte il protagonista o della piccola comunità del villaggio della Norvegia del Nord.
In ogni caso capiamo che John da piccolo è stato adottato da un criminale (Peter Mullan), il quale ha comunque già un figlio, Michael (Frederick Schmidt), e che tra i due fratelli non scorre buon sangue. Il primo peraltro ha deciso di ritirarsi da questa realtà malavitosa e si nasconde in una remota comunità che vive di pesca e in cui i forestieri sono decisamente malvisti (a proposito, nel cast segnaliamo anche la presenza di Charles Dance). Da qui chiaramente si dipana la solita storiella del fuggitivo braccato, sebbene in modo in parte diverso da quanto ci potesse aspettare.
Per entrare leggermente più nel merito, potremmo dire che ci sono degli inglesi, uno scozzese e un italiano, e non è una barzelletta. Ma in parte lo è pensare a un noir nordico ambientato in Norvegia, con un cast così eterogeneo per il quale serve addirittura il doppiaggio italiano per Borghi, e così come già accaduto in Diavoli se ne occupa Andrea Mete.
Dietro The Hanging Sun c’è senza dubbio un buon lavoro tecnico, supportato dalla produzione di Cattleya e Groenlandia, con un italiano alle musiche – il giovane, ma ottimo Andrea Farri – e una eccellente fotografia firmata Nicolai Brüel.
La fretta è una cattiva consigliera, si dice sempre. E infatti nonostante nel complesso questa corsa contro il tempo non permetta al pubblico di annoiarsi, quello che ci resta è un film che purtroppo rimane troppo in superficie per farsi apprezzare davvero.