“Andate al cinema con qualcuno che odiate” – Recita la pubblicità del film.
Effettivamente se portate a vedere The Hateful Eight a qualcuno che non vi è simpatico, potreste togliervelo finalmente di torno, soprattutto se non è molto incline ad entrare nei meccanismi cinematografici di Quentin Tarantino.
L’ottavo film dell’eccentrico regista di Knoxville si apre con una diligenza in viaggio verso Red Rock, Wyoming, con una tempesta di neve che si avvicina inesorabile. Nella diligenza John Ruth, detto “il Boia”, cacciatore di taglie di professione, tiene prigioniera l’assassina Daisy Domergue con l’intento di portarla davanti a un giudice e vederla penzolare da una corda, il tutto per intascare i 10.000 dollari della sua taglia. Sulla sua strada però si ritrova un “collega” piuttosto scomodo, il Maggiore Marquis Warren, anche lui diretto da Red Rock. Nemmeno il tempo per le dovute presentazioni che l’allegra brigata è costretta a tirare a bordo un quinto passeggero, Chris Mannix, futuro nuovo sceriffo proprio di Red Rock. La tempesta di neve però avanza inesorabile e i nostri sono costretti a effettuare una sosta in una piccola locanda, dove già alloggiano altri 4 gentiluomini. Otto persone, una locanda ed un’assassina che vale 10.000 dollari. Una bomba a orologeria che non tarderà a scoppiare. La domanda è: chi accenderà la miccia?
https://www.youtube.com/watch?v=6_UI1GzaWv0
Dunque, partiamo subito con una considerazione: Quentin Tarantino, di un film del genere, non aveva bisogno, soprattutto dopo Django Unchained. Lui, però, un film del genere, se lo può permettere e forse è l’unico a poterlo fare. The Hateful Eight, probabilmente, non è film che vi aspettate, soprattutto se avete visto i trailer. Se amate il cinema, amate Quentin Tarantino e se amate Quentin Tarantino avrete familiarità con il termine “slow burning”. Di cosa parliamo? Di una situazione senza via d’uscita che coinvolge due o più personaggi. Una sequenza che cucina a fuoco lento lo spettatore, affogandolo nella tensione fino al momento clou in cui la bomba, finalmente, esplode (la sequenza nella taverna di Bastardi senza gloria è un esempio perfetto). Ecco, The Hateful Eight può essere definito uno slow burning di circa 3 ore. Un qualcosa di estenuante, ma non necessariamente nel senso negativo del termine. E’ un film che richiede pazienza e apertura mentale, proprio per calarsi nei meccanismi cinematografici del regista, di cui accennavamo in apertura. Tarantino realizza un qualcosa di monumentale: il suo non è un western, è una pièce teatrale in cui ogni aspetto è portato all’eccesso, dai dialoghi fiume ai personaggi (ancora una volta indimenticabili). Il buon Quentin oltre che a giocare con i generi continua ad omaggiare il cinema e i registi che lo hanno formato, da Carpenter a Sergio Leone, passando per Corbucci e Polanski. C’è La Cosa, c’è lo spaghetti western nostrano, c’è un gioco al massacro che forse potrebbe spazientire lo spettatore meno accondiscendente. Accondiscendente verso la totale anarchia tarantiniana, che ricostruisce e allo stesso tempo distrugge il genere western, dando vita ad un’irresistibile farsa che spesso si dilata eccessivamente in sequenze quasi del tutto dialogiche (e non sempre brillanti, questo va detto, visto come il maestro ci ha “viziati”). Un unico ambiente in cui gli “odiosi otto” si scannano verbalmente (e non solo) per tre ore. Tarantino, in versione Hitchcock, si diverte a giocare con lo spettatore, memore di quel capolavoro che fu Nodo alla gola, a suonarlo come un pianoforte, a torturarlo quasi. Il resto lo fa il cast, dove primeggiano un meraviglioso Samuel L. Jackson, un Tim Roth che si cala perfettamente nei panni del Christoph Waltz di turno, un Kurt Russell da antologia e una Jennifer Jason Leigh che, con un po’ di fortuna, potrebbe anche coltivare la speranza di portarsi a casa la statuetta. Gli 8 si trovano talmente bene in quella gelida locanda che sembrano quasi bramare lo stare segregati in quelle quattro mura, tra minacce, intimidazioni, inganni e tradimenti, mentre il gelo del Wyoming entra anche nelle ossa dello spettatore. Chi sta giocando sporco? Tutti. Chi sta nascondendo lo sporco? Tutti. Ok, ok così non funziona… La domanda che vi assillerà per tre ore è: chi uscirà vivo da lì?
Registicamente Tarantino compie un mezzo miracolo (anche solo per essere riuscito a gestire un cast di questa caratura con un equilibrio raggelante), condensando in uno spazio ristrettissimo tutto il suo talento, senza risparmiarsi, concedendosi completamente al SUO pubblico. Il suo ottavo film è forse quello più generoso, magari anche troppo nel tentativo di “sfamare” i famelici fan dei suoi dialoghi e dei suoi personaggi. Strutturalmente e concettualmente è una pellicola complessa, che non tutti apprezzeranno e non tutti capiranno, nonostante i componimenti monumentali di un gigantesco Ennio Morricone. Non poteva che essere lui l’artefice della prima colonna sonora “ad hoc” di un film di Tarantino. E’ la chiusura di un cerchio, in un certo senso. Tarantino, ancora una volta, riesce a fare il SUO cinema, esagerando nel bene e nel male, portando sul grande schermo un glorioso Ultra Panavision 70mm che impreziosisce l’ancora una volta splendida fotografia di Bob Richardson.
Cos’altro dire? Film come questo ti continuano a divorare dall’interno, per giorni. Se ti sono piaciuti o meno non lo capisci subito, ci vuole un po’, bisogna farli fermentare. The Hateful Eight, in tutti i suoi odiosi eccessi, potrebbe farvi inacidire…Questo però vorrebbe dire che non avete il palato abbastanza fine per comprendere cosa Tarantino è riuscito a contemplare: un western che sbriciola i canoni del genere e si espande, a macchia d’olio, in innumerevoli altri generi. E dire che di un film del genere non aveva nemmeno bisogno…
Cominciate a farvi un’idea?