Un’avventura in prima persona per VR che ci mette nei panni di un paziente all’interno di un’ospedale pieno di oscuri misteri.
Presentato durante lo scorso E3, The Impatient è il nuovo progetto di Supermassive Games che fino ad oggi è rimasto abbastanza avvolto nel mistero. Tutto quello che si poteva evincere dai trailer di debutto del titolo dagli autori di Until Dawn e Until Dawn Rush of blood infatti, erano le tinte oscure e l’atmosfera disturbata che ormai sono un marchio di fabbrica del team britannico. Abbiamo dovuto mettere le mani sul gioco completo per farci realmente un’idea di cosa avevamo davanti, e finalmente, siamo pronti a parlarvene.
Devo ammettere che avevo una certa curiosità ed aspettativa per questo gioco. Come già ho avuto modo di dire, a mio avviso ad oggi i titoli horror in prima persona, capitanati da sua maestà Resident Evil 7, sono il miglior genere con cui la VR si è espressa. Un parere banale se vogliamo, ma secondo me più che consolidato dai fatti. Per questo penso che Supermassive abbia fatto bene a proseguire su questa strada, vista l’esperienza nelle avventure di questo genere già archiviata con il discreto Until Dawn, e quella con il visore di Sony, con cui il team ha già mosso i primi passi proponendoci un “simpatico” spin off, piuttosto estemporaneo ma sicuramente d’effetto, chiamato UD: Rush of blood. Questo The Impatient riprende la formula di Until Dawn, a cui è legato anche narrativamente, configurandosi come un suo prequel ambientato negli anni 50. Ma The Impatient è legato al titolo originale anche a livello di struttura. Parliamo quindi di un’avventura lineare in cui la meccanica principale consiste nell’interazione con gli altri personaggi. Questa veicolerà, come nel primo titolo, il corso degli eventi, permettendoci di portare qualche modifica alla storia (e al finale) in base a come ci poniamo con i nostri interlocutori e in base alle nostre scelte, secondo quel principio di causa ed e effetto (o effetto farfalla se vogliamo), che rappresenta orma un po’ il leitmotiv della “serie”. Il quid in più di The Impatient è rappresentato dalla nuova dimensione di immersione che prova a dare a questo tipo di esperienza.
Partiamo dall’ovvia sensazione “dell’esserci” dovuta alla VR, ben supportata da un comparto grafico degno, che grazie alla solita “furbata” dell’oscurità riesce a mascherare magagne e ad evidenziare i pregi del gioco, pur non arrivando a regalare un’espressività nei comprimari ai livelli di altri giochi che si basano prepotentemente sullo story telling. Insomma, da questo punto di vista, meglio di The Life in Strange, ma peggio di quanto visto in Until Dawn. Il personaggio inoltre è totalmente “spersonalizzato”, non ha un nome o un’identità, condizione contestualizzata nel gioco con un’amnesia, ma nemmeno dei connottati precisi. Dovrete infatti scegliere sesso e carnagione della pelle prima buttarvi nella storia. Due caratteristiche più di altre però, portano la suggestione “simulativa” a livelli più alti del solito. Innanzitutto, la voce del protagonista sarà la nostra. Volendo potremo giocare in maniera “classica” selezionando una delle risposte con i tasti, ma sarà molto più evocativo e coinvolgente scegliere i comandi vocali. The Impatient infatti sfrutta la possibilità di usare il microcrofono della videocamera necessaria per l’utilizzo del VR, e di scandire in prima persona, e rigorosamente in Italiano, le risposte proposte che come abbiamo anticipato, andranno a far reagire diversamente i personaggi ed eventualmente ci faranno prendere direzioni diverse della storia laddove fosse previsto un bivio. Un’aggiunta che pare marginale ma nel contesto della VR risulta complementare all’immedesimazione, nonché perfettamente funzionale al gioco. Inoltre, per una volta abbiamo anche un’interfaccia di movimento mediante i Move che funziona. Usando i due dispositivi infatti potremmo sia camminare avanti, che ruotare a destra e sinistra, o girarci di 180 gradi. Tutto funziona dignitosamente complice anche il ritmo assai pacato dell’avventura, che non va mai ad interferire con una deambulazione che rimane efficace ma un po’ macchinosa.
Ma quale è il reale contesto di The Impatient? Sostanzialmente, vestiremo i panni di questo misterioso paziente che negli anni 50 è stato internato in un manicomio. La prima parte dell’avventura si svolge principalmente tra le 4 mura della nostra stanza/cella, chiacchierando con gli infermieri e il nostro compagno di cella, cercando di capire esattamente il motivo per cui ci ritroviamo in quella situazione e quello degli strani eventi che coinvolgono il complesso. Visioni improvvise, allucinate e destabilizzanti inizialmente totalmente inspiegabili, strane urla nella notte ed altri macabri avvenimenti, ci terranno in un costante stato di tensione. The Impatient è un gioco piuttosto passivo e lineare, anche più di Until Dawn, le interazioni sono ridotte all’osso, possiamo prendere in mano qualche oggetto, usare la torcia liberamente per farci luce e fissare lo sguardo su alcuni oggetti speciali che attivano dei flashback di pochi istanti, che andranno a far luce sul passato del protagonista. Collezionare questi ricordi e la dinamica de “l’effetto farfalla” costituiscono l’unica sostanza ludica di un gioco che si rivela per lo più “contemplativo”. The Impatient si divide sostanzialmente in due parti, la prima più visionaria, introspettiva e statica. Essa ci vedrà protagonisti di molti dialoghi e qualche incubo, registicamente ben gestito e in grado di farvi fare almeno un paio di salti sulla sedia piuttosto sentiti. La seconda parte, è più “concreta”, più “d’azione”, pur rimanendo di fatto -senza- alcun tipo di reale azione. Perdonate la vaghezza delle mie argomentazioni, ma la tensione per l’ignoto, per la scoperta, rivelare dove andrà a parare il teatrino degli orrori imbastito da Supermassive Game, è semplicemente tutto in questo titolo, e sollecitare la vostra intuizione con indizi per rendere più prevedibile l’esperienza, la rovinerebbero inevitabilmente. Un’esperienza che comunque risulta ben imbastita e avvinghiante, seppur lascia il fianco scoperto al lato opposto della medaglia, ovvero il fatto che a livello ludico la carne al fuoco è quasi nulla, salvo un paio di sequenze in cui dovrete effettivamente sfuggire alla minaccia con un’espediente assolutamente geniale.
The Impatient infatti mette in scena un sacco di situazioni veramente interessanti, sfrutta la VR in maniera concisa e limitata, ma adatta all’esperienza che vuole fornire, e ha inoltre un buon ritmo, se si considera che cerca di tirar su una sorta di storia horror/thriller/survival e riesce a farlo con una sceneggiatura semplice ma efficace. Si tratta quindi di un prodotto che va giudicato per quello che è, e non quello che ci si aspetterebbe. In tal senso, come altri titoli simili che contaminano il gameplay con soluzioni cinematografiche e narrative così preponderanti da sopprimere quasi la dimensione ludica del prodotto, può avere il suo “perché” e la sua scala qualitativa, giocando un “campionato” totalmente diverso rispetto a giochi più tradizionalmente intesi, che nel 2018, ormai è assodato e va accettato, non coprono più in toto l’offerta dell’industria videoludica. Il problema, che pesa come un macigno nell’ultima produzione di Supermassive Games, è che l’esperienza risulta veramente troppo breve, e piena di potenzialità inespresse, le quali ahimè, ci costringono a ridimensionare quanto di buono c’è nel titolo.
Verdetto
The Impatient, pur facendoti giocare poco, ha l’enorme capacità di avvinghiarti al contesto creato. Crea una struttura interessante, un’atmosfera innegabile, e soprattutto, una storia da vivere in prima persona con tutte le carte in regola per tenerci con il fiato sospeso fino alla fine. Poi, ad un certo punto, un punto che arriva molto presto (circa 3 o 4 ore), butta tutto alle ortiche. Il gioco finisce, senza nemmeno darti l’impressione di giungere ad un epilogo, ma quando anzi pensi che deve ancora venire il bello e, anche se passi il tempo solo a chiacchierare, muovere la torcia, sollevare oggetti, e poco altro, sei veramente preso dalle vicende. Finisce e ti lascia li come uno stronzo. E allora ridimensioni un po’ tutto, e la povertà concettuale e contenutistica del pacchetto, ti pesa ancora di più. Certo è vero, il gioco è espressamente fatto per essere rigiocato. È possibile vivere qualche situazione in maniera diversa, giungere ad un epilogo nuovo. Ma questo non allungherà l’avventura né la modificherà più di tanto. The Impatient rimane un buon prodotto, la qualità tecnica è discreta, e il viaggio proposto, per gli amanti dell’horror, vale sicuramente il prezzo del biglietto, soprattutto se siete sempre in attesa di un buon utilizzo del vostro PS VR. Dispiace solo che potevamo trovarci davanti a qualcosa di infinitamente migliore, se solo ci fosse stata più “quantità”, con una storia più lunga, più bivi, più occasioni di sfruttare quel paio di dinamiche di gameplay. Peccato, perché proprio quando il piatto è delizioso, ti dispiace maggiormente se finisce subito, e The Impatient è una pietanza che volente o nolente, divori davvero troppo in fretta per gustartela davvero.