The Lie – La bugia, film del progetto “Welcome to the Blumhouse”, è uno psico-thriller che non convince del tutto
Oltre a Black Box, The Lie – La bugia è un altro film del progetto Welcome to the Blumhouse per questo ottobre di Prime Video, che si completerà il 13 del mese con altre due uscite: Nocturne e Evil Eye.
Tra tutti i film citati The Lie – La bugia sembra senza dubbio quello meno aderente ai canoni dell’horror, manifestandosi più come uno psico-thriller dall’anima oscura. La regista Veena Cabreros Sud ci racconta una vicenda che ha come protagonista la giovane Kayla (Joey King), la quale in un moto d’ira uccide la sua migliore amica Brittany (Devery Jacobs). I genitori, Jay e Rebecca (Peter Sarsgaard e Mireille Enos), dopo i dubbi iniziali sul da farsi, decidono che la loro figlia è troppo giovane e fragile per rovinarsi la vita confessando un omicidio, e iniziano pertanto a coprirla, finendo invischiati in una rete di bugie più grande di loro. Kayla è stata davvero attenta o si è lasciata dietro prove o indizi della sua colpevolezza?
Tra bugie e errori marchiani
A questo cerca di rispondere Veena Sud con una pellicola da un concept abusato e già visto, nonché – appunto – remake del film tedesco We Monster, ma che obiettivamente non smette di affascinare gli amanti di un certo tipo di opere, e così anche noi proseguiamo nella visione con la curiosità di scoprire cosa accadrà, quale sarà la prossima bugia della famiglia, senza annoiarci quasi mai, anche grazie a un ritmo incalzante e una durata complessiva agevolissima, di circa un’ora e trenta. Sono più che altro questi i pregi di un film che, come detto, non brilla certo per originalità ma che mette in risalto come di fronte al pericolo più grande una famiglia disgregata, abituata a litigi e quotidiane incomprensioni riesca a ritrovare l’unione, unità di intenti e, paradossalmente, il sorriso.
Attimi di lieve serenità però in un vortice di bugie che stringe Kayla e la sua famiglia in una morsa, in cui ansia e inquietudine provano a rincorsi anche per mezzo di una fotografia ghiaccio, fredda come gli ambienti, sia esterni che interni, come la casa asettica e impersonale dei protagonisti.
Protagonisti purtroppo imbrigliati in interpretazioni esasperate, dove le urla rappresentano un leitmotiv, così come i tanti errori compiuti dai loro personaggi, con un’esagerazione che porta la trama a sfiorare il ridicolo. Al netto dell’inesperienza di una famiglia normale che deve far i conti con un omicidio, cellulari e oggetti dimenticati ovunque sembrano un po’ troppo e sicuramente allentano la tensione, elemento madre di un thriller.
Non sembra così facile per gli attori districarsi in questa tela di bugie e peccati fuori da ogni logica, e la Kayla di Joey King non risulta ancora abbastanza matura per interpretare adeguatamente un ruolo in parte ambiguo ma senza dubbio fondamentale, dal momento che soltanto lei conosce la realtà dei fatti. Un’adolescente che uccide a sangue freddo la sua migliore amica, e il giorno dopo prepara felice la colazione ai genitori e resta sul divano a guardare cartoni animati più che una ragazza “sotto shock”, come sostiene il padre, dovrebbe lasciar trasparire un animo, se non oscuro, quantomeno enigmatico, mentre la sua performance è sempre troppo piatta, quasi da sembrare un membro marginale di una faccenda che invece è nata dalle sue azioni.
Jay e Rebecca, di contro, fanno tutto e il contrario di tutto, con quegli sbagli grossolani naturalmente frutto di una situazione per loro nuova, pericolosa e ingestibile e che si rende ben presto manifesta sui loro volti, consumati dall’angoscia e dal timore di un campanello che suona e dalle domande della polizia, ovviamente sospettosa e a cui diventa necessario dire ulteriori bugie.
In definitiva The Lie è un’opera dalle buone promesse, un po’ trite eppure sempre accattivanti, che però disattende le speranze di chi si augurava uno psico-thriller entusiasmante. La tensione resta costante e ci spinge a proseguire la visione, verso un finale con annesso plot-twist, ma il nero dipinto dell’animo umano non ha quelle sfumature inquietanti che si aspetta da uno psico-thriller di questo tipo, finendo vittima delle sue stesse menzogne, così poco credibili da risultare grottesche.