Sono passati circa ottant’anni da quando il professor John Tolkien iniziava a tracciare i lineamenti della Terra di Mezzo e di quella che sarebbe stata l’opera che avrebbe rivoluzionato per sempre la letteratura fantastica per come la conosciamo oggi. Dopo quasi un secolo, Il Signore degli Anelli è ormai un titolo noto in tutto il mondo instaurando dei canoni e costruendo un immaginario ben chiaro per appassionati e non. A contribuire a tutto ciò è stata indubbiamente la trilogia cinematografica che ha conquistato ben diciassette premi Oscar in totale innescando una macchina creativa in funzione ancora oggi. Ma come si è arrivati dalle fantasticherie di un professore inglese ad un fenomeno (nerd) di portata mondiale? Come si è evoluto Il Signore degli Anelli in questi anni? Cercheremo a tal proposito di esporre una piccola storia degli adattamenti cercando di capire cosa rende un prodotto ormai sfruttatissimo ancora di estrema attrattiva per il grande pubblico.
“In un buco nel terreno viveva uno hobbit”
Facciamo un piccolo passo indietro verso le origini del mito. Indubbiamente tutto è nato con Lo Hobbit. La vastità del mondo tolkeniano è solo una naturale conseguenza dovuta al tentativo di rendere i luoghi teatro delle avventure di Bilbo Baggins “reali”. Nel creare nuove lingue sono stati create popolazioni che le parlano e luoghi in cui vivono e in essi una storia che li caratterizza, ed ecco che ha preso così vita Arda, con la sua storia, le sue battaglie e i suoi personaggi leggendari. Quello di Tolkien è stato un lavoro mai affrontato prima nella letteratura del Novecento che ha in seguito stuzzicato la fantasia di tantissimi lettori di tutte le età, proiettandoli in una diversa realtà tanto ben costruita da percepirla come concettualmente vera. È forse questa una delle carte vincenti dell’opera di Tolkien, un’opera che si è cercato di trasporre sullo schermo fin dagli anni Sessanta.
Ai tempi i Beatles desideravano fare un film sulla trilogia, iniziativa fortemente contrastata dall’autore, e non lo ringrazieremo mai abbastanza per questo. Narra la leggenda che lo stesso Stanley Kubrick avesse preso in considerazione il progetto, che però non andò mai in porto. Anche John Boorman (regista di Excalibur) considerò l’idea che però andò a svanire a causa di un’evidente impossibilità nel realizzare degnamente il progetto.
La prima vera trasposizione prese vita nel 1978 con un lungometraggio animato diretto da Ralph Bakshi, un progetto rimasto comunque incompiuto in quanto il film si conclude alla battaglia nel Fosso di Helm e non è mai stato fatto un seguito.
Dopodiché tutto tacque fino al 1995, anno in cui iniziò la lavorazione ad un immenso progetto della Miramax che affidò il lavoro al regista neozelandese Peter Jackson. Il lavoro era un vero e proprio salto nel buio, il progetto richiedeva un’enorme somma di denaro che fu possibile raggiungere solo grazie all’intervento della New Line Cinema, portando il prospetto iniziale di due film ad una trilogia. Il lavoro di produzione seguì un attentissimo processo: scrittura, scenografie e costumi richiesero un lavoro minuzioso – tanto che anche i bottoni dei costumi sono stati fabbricati artigianalmente. La messa in scena attinse dalla costruzione di scenografie e miniature ben amalgamate con la CGI. La sceneggiatura ha richiesto un enorme lavoro di riscrittura dettando quelle che sarebbero state le scelte stilistiche della pellicola e che hanno fatto storcere il naso a molti appassionati dell’opera prima.
Entrare nella Terra di Mezzo
Teniamo da parte il frangente “giochi di ruolo” da cui Dungeons & Dragons emerge come figliastro della saga – con tanto di manuali di gioco ambientati nella Terra di Mezzo – dato che richiederebbe un’analisi più approfondita e saltiamo direttamente nel settore videoludico.
Sarà infatti dai film che deriveranno direttamente i vari videogiochi legati alla saga. I giochi per console sono praticamente delle sessioni interattive di combattimento intervallate da cut-scene prese direttamente dai film e risultano piuttosto divertenti, con un game play lineare e uno svolgimento senza larghe pretese. Si è anche cercato di proporre degli avvenimenti alternativi legati alle vicende di Frodo e la sua compagnia: cosa che è accaduta con La terza era, uno spin off che adotta le meccaniche gdr in stile Final Fantasy, ma la trama è debole e il game play fin troppo statico e ripetitivo. Più fortuna avranno invece i giochi on-line più basati sull’ambientazione che sulla trama. Nonostante gli errori di scrittura de La terza Era, l’idea dello spin off era comunque qualcosa di interessante per il pubblico. La guerra del Nord segue quindi questa linea rimanendo comunque un RPG. Il salto in avanti si avrà con L’Ombra di Mordor, un gioco ambientato letteralmente dietro le linee nemiche con una storia interessante e meccaniche di gioco più action, legando insieme gli elementi più vincenti dei videogiochi di ultima generazione, cosa che andrà a ripetersi ne L’Ombra della guerra.
Il gusto di ricreare
Abbiamo riassunto molto brevemente i principali adattamenti della trilogia. Risulta più che ovvio che il ricorrere così tanto spesso al brand “The Lord of the Rings” è mosso principalmente dal movente economico ma quando Peter Jackson se ne andava a bussare a tutte le porte delle case cinematografiche per elemosinare un budget più elevato, tutta questa sicurezza di successo non c’era affatto. Perché quindi giocarsi il tutto per tutto proprio in questo progetto? Alla base di tanta determinazione ovviamente ci sta la passione, Jackson è sempre stato un fan del libro e l’iniziativa deve averlo coinvolto personalmente. La presentazione che fece alla New Line Cinema figurava già un lavoro mastodontico, molto accurato e con un’enorme riverenza verso l’opera prima che perdurò anche durante la produzione e le riprese.
Passiamo ora alle note dolenti. Durante la scrittura della sceneggiatura sono state fatte diverse scelte, anche piuttosto drastiche che sulle prime – e non solo – hanno fatto inviperire i puristi della saga. Il taglio di vari personaggi e la modifica di altri, variazione di alcuni eventi e scene aggiunte. La prima omissione che salta all’occhio è la mancanza nella pellicola degli enigmatici personaggi di Tom Bombadil e di sua moglie: affascinati e carismatici, che aprono una finestra enorme su quella che è lo spirito della Terra di Mezzo, ed è proprio per questo che è stato deciso di lasciare che rimanessero solo di personaggi letterari. Ciò che sta alla base di un adattamento deve infatti essere la creazione di un prodotto ottimale e non un copia-incolla di ogni evento e personaggio. Questo spiega anche la differenza di carattere tra l’Aragorn dei libri e quello dei film: il ramingo delle pagine di Tolkien sembra accettare di seguire Frodo proprio per abbracciare il suo destino sul trono di Gondor, nel film invece sembra continuare a scappare dalla sua regale eredità ed agisce esclusivamente per il bene comune e il suo intrinseco senso di giustizia, una scelta che risulta azzeccatissima in quanto un personaggio principale in conflitto con sé stesso risulta più vicino al pubblico oltre ad acquistare una certa simpatia in quanto affronta un’evoluzione, che invece era già stata fatta all’inizio del romanzo. Sempre per dare spessore ad Aragorn è stato dato più spazio ad Arwen, salvando Frodo dai Nazgul e comparendo spesso nei sogni e i ricordi di Granpasso.
Per quanto riguarda le scene d’azione non dovrebbe essere nemmeno spiegato il perché siano più numerose e spettacolari, si tratta pur sempre di cinema di grande distribuzione, e il pubblico si deve divertire, la cosa importante è che non siano stati snaturati gli eventi cardine e soprattutto che il messaggio non venisse traviato. A differenza di quello che pensano in molti, l’adattamento cinematografico de Il Signore degli Anelli è forse uno dei meglio riusciti della storia del cinema, perché è stato in grado di raggiungere un potente compromesso: incassare tanti soldi e ottenere il consenso sia del pubblico che della critica pur non perdendo lo spirito dell’opera prima e – cosa forse più importante – avvicinando un’enorme fetta di pubblico al libro, spingendo le case editrici a creare edizioni sempre più curate. Per quanto riguarda l’Italia la Bompiani ha addirittura adottato una traduzione fatta direttamente dai fan in collaborazione con la Società Tolkeniana Italiana.
Ma arriviamo al punto: perché Il Signore degli Anelli risulta una storia vincente? Per un semplice motivo. Perché quella creata da Tolkien è una saga epica, pura e semplice, adottando questo spirito, anche il film ha seguito un’impronta da kolossal senza farsi contaminare troppo da varie scemenze hollywoodiane. L’enorme successo della trilogia cinematografica ha reso la pellicola di Jackson un punto di riferimento visivo per i vari rifacimenti che ne sarebbero seguiti, instillando un’immagine iconica per luoghi e personaggi. Questo ha decisamente influenzato tutto l’immaginario comune, compreso quello del pubblico “consapevole” – ossia chi aveva già letto il libro prima di vedere il film – fatto che ha leggermente spezzato il gusto della lettura, ma il risultato è comunque talmente credibile da non essere invasivo. Tuttavia è un bene che, almeno in Italia, la casa editrice non si sia curata molto di cavalcare l’onda del successo dei film, lo si può vedere dalle copertine e dalla volontà di elevare l’opera come a sé stante. Va comunque precisata una cosa, Il Signore degli Anelli non è affatto un romanzo tecnicamente perfetto, ma è una storia senza tempo, spendibile in ogni epoca e adatta ad ogni tipo di pubblico, ecco il vero motivo del suo successo ed ecco perché non invecchierà mai male, cosa che invece accade per alcune opere fantasy, ma questa è un’altra storia…