Arriva The Magic Order, di Mark Millar ed Olivier Coipel, il primo non-fumetto di casa Netflix
Il fumetto di The Magic Order è l’ultima prova (in ordine temporale) di Mark Millar pubblicata in Italia, un autore probabilmente unico al mondo. Probabilmente non esiste nessuno che, dopo aver di fatto cambiato il volto ai comics di supereroi, rinnovandone profondamente il linguaggio con autentiche pietre miliari come Civil War e Ultimates, si sia fatto sedurre dalle sirene di Hollywood senza poi esserne abbandonato. Non solo: a differenza di tanti suoi colleghi che hanno optato per il grande salto, Millar è riuscito (primo nel suo genere) a salvare le sue proprietà intellettuali dalla voracità dei produttori per portare avanti un’impensabile autogestione, grazie all’etichetta Millarworld da lui stesso creata. Cosa, questa, che l’ha trasformato in un pioniere del concetto di transmedialità, lavorando di persona all’adattamento dei suoi lavori.
Solo che dopo qualche tempo ha cominciato a considerare i suoi fumetti niente più che storyboard e pitch per cinema e serie tv. Il fumetto di The Magic Order, sua ultima uscita in coppia con Olivier Coipel, purtroppo non fa eccezione (ha pure un trailer, come potete vedere qui sotto).
Il fumetto di The Magic Order, in realtà, costituisce la tappa iniziale di un progetto che rischia di diventare, presto o tardi, rivoluzionario. Infatti, si tratta della prima miniserie pubblicata dal Millarworld dopo che l’etichetta è stata acquisita da Netflix. Come? Cosa? Il colosso dello streaming si è dato all’editoria? Sì, ve lo avevamo già annunciato in relazione del finale di Sense8, proponendo in maniera provocatoria una possibile continuazione della serie delle sorelle Wachowski su carta. Non illudetevi, però: Netflix non si è dato ai comics con lo scopo di rinnegare il mondo digitale a favore di quello reale, bensì per poter opzionare le opere presenti e future di Mark Millar in vista di nuovi adattamenti da offrire ai suoi abbonati. Sta, dunque, mettendo da parte idee, creazioni originali e storie con per portarle sul piccolo schermo.
Progetto sicuramente ambizioso, in un’epoca in cui la transmedialità la fa da padrone e i film tratti dai fumetti (vedere alla voce Avengers: Endgame) sbancano ripetutamente i botteghini. Peccato che questo voglia dire, spesso e volentieri, pubblicare fumetti che sono solo carne da macello per dei registi. Esattamente come The Magic Order.
Mark Millar, un’ascesa che ha del magico
Ma come fu che il buon Mark Millar arrivò a creare l’etichetta Millarworld?
Che ci crediate o no, questa scelta nasce da tanta lungimiranza e dalla voglia di sovvertire le regole, oltre che da un po’ di sana arroganza. Millar, infatti, fin da subito mostra di essere un fumettista dal carattere irriverente, figlio di quell’ondata britannica che ha causato un autentico terremoto nei mondo dei comics americani. Pupillo di Grant Morrison, un altro che ha fatto scuola, Millar si fa notare in patria scrivendo delle storie particolarmente originali per il settimanale 2000 AD, storica rivista che ha ospitato altre star inglesi, come Alan Moore e Neil Gaiman. Da qui a farsi notare dai capoccioni d’oltre oceano il passo è breve: approda alla DC Comics e comincia a scrivere sotto l’etichetta Vertigo, realizzando un’ottima prova su Swamp Thing.
Ma il suo lancio vero e proprio avviene sulla Wildstorm, un’altra costola della Distinta Concorrenza, in cui prende le redini di The Autorithy. Narra la leggenda qui Mark Millar trova il terreno fertile per sviluppare al meglio la sua innata verve. In effetti, The Autority fa parlare di se per la forte dose di violenza e realismo, entrambi tratti peculiari della sua scrittura. In seguito, realizza una pietra miliare come Superman: Red Son (uno storico what if con Kal-El che da piccolo atterra in URSS e non negli Stati Uniti) e passa alla Marvel, dove nel frattempo ha preso vita un’autentica rivoluzione: l’Universo Ultimate.
Nel 2000, Brian Micheal Bendis, un’altra stella in ascesa proveniente dal fumetto alternativo, inaugura Ultimate Spider-Man. Quella che doveva essere una miniserie per offrire una rivisitazione moderna dell’Uomo Ragno diventa la colonna portante dell’Universo Ultimate, un progetto ad ampio raggio che mira a riscrivere le origini degli eroi Marvel adattandole al ventesimo secolo, liberandoli dunque da oltre quarant’anni di presenza nelle edicole e rendendoli più accessibili ai nuovi lettori. Il risultato fu un successo oltre ogni più rosea aspettativa, cosa che convinse i dirigenti della Casa delle Idee ad arruolare un team di sceneggiatori giovani, pazzi e pieni di belle speranze da inserire nella stanza dei bottoni. Mark Millar non esita a salire a bordo e realizza The Ultimates, la serie con gli Avengers di quel nuovo universo, un autentico trionfo in cui l’autore affina un meccanismo di racconto “a schermo panoramico”, con vignette larghe pensate per dare l’effetto al lettore di essere al cinema.
Prova, questa, che Millar da sempre ragiona a livello transmediale, che vive di contaminazioni e che le ha innestate nel fumetto, permettendogli così di approdare nel nuovo millennio e di mutuare le peculiarità del linguaggio filmico.
Millarworld e Millarwar
Mentre si afferma come uno degli sceneggiatori più noti sulla piazza, conquistandosi una platea di seguaci che lo venera come il Messia, Millar opta per una scelta controcorrente rispetto alla stragrande maggioranza dei suoi colleghi e si crea il proprio mondo personale: Millarworld. All’origine, nasce come un’etichetta con cui lo scrittore può gestire a suo piacimento i cosiddetti progetti creator-owned, ovvero quei fumetti di cui l’ideatore detiene tutti i diritti. Una simile operazione non è più così inedita ai tempi, dopo il grande scisma operato dai demiurghi della Image Comics negli anni ’90, ma fa comunque rumore perché Millar se ne occupa per conto suo, senza l’aiuto di altri colleghi. Inoltre, comporta dei rischi non da poco perché uscire dal paravento delle Major vuol dire esporsi in prima persona.
Tuttavia, il nostro non demorde e comincia a lavorare a delle serie che vengono pubblicate tramite un accordo col sostegno, per quanto riguarda la distribuzione e la stampa, di altre case editrici come appunto Image e Dark Horse. Nonostante l’impegno, le difficoltà iniziali sono molteplici e qualche soddisfazione comincia ad arrivare solo più tardi con la miniserie Wanted, che nel 2008 verrà usata come ispirazione per un film con star di grande notorietà come Angelina Jolie, Morgan Freeman e James McAvoy.
Questa è la prima volta che la transmedialità comincia a bussare alla porta di Mark, per poi sfondarla qualche anno dopo.
Mentre la Millaworld langue, il MillarMark va a gonfie vele. In quegli anni concitatissimi, Mark lavora ancora alla corte della Marvel realizzando autentiche perle come Ultimate Fantastic Four, Wolverine: Nemico Pubblico, Spider-Man, I Fantastici Quattro e, soprattutto, Civil War, il non plus ultra degli eventi della Marvel moderna. A questi capolavori segue poi il ciclo di Old Man Logan, altro lavoro destinato a lasciare il segno dando vita a quella figura anziana dell’Artigliato capace di ispirare tanti altri colleghi, oltre che un film di grande successo.
E, a proposito, proprio un film arriva a capovolgere la situazione: Kick-Ass. Uscito nel 2010 per Lionsgate e tratto da un’altra miniserie dell’etichetta Millarworld, Kick-Ass raccoglie in giro per mondo quasi cento milioni di dollari. Un successo che catapulta Mark Millar direttamente in paradiso. Finalmente, può mollare le collaborazioni con le Major e dedicarsi esclusivamente ai progetti creator-owned. Di lì a pochi anni, però, ecco scoppiare la bomba vera: Kingsman – The Secret Service, il film Fox con Taron Egerton, Colin Firth e Samuel L. Jackson, tratto da un altro fumetto di Millar, che arriva a ben 412 milioni d’incasso.
La strada della transmedialità è ormai spianata.
Da Netflix al fumetto di The Magic Order
Complici questi successi inattesi, che hanno dato vita e dei veri e propri progetti multimilionari, come i sequel dei già citati Kick-Ass e Kingsman, la curiosità degli studios hollywoodiani intorno al Millarworld comincia ad espandersi. Altre case di produzioni importanti (tra cui la Paramount) si interessano attivamente alla possibilità di trasporre i fumetti dell’etichetta. Nel frattempo, Millar progetta un’evoluzione del Millarworld, con l’intento di trasformarlo in un vero universo narrativo interconnesso, esattamente come quelli Marvel e DC. Cominciano ad apparire nelle storie vari riferimenti ad altre saghe e si cerca di esplorare più in profondità il passato dei personaggi, tramite spin-off e prequel.
Ed è in questo contesto che Netflix sente l’odore dei soldi e, nel suo momento di maggior espansione globale, decide di investire le sue risorse per acquisire la Millarworld.
Il buon Mark, dal canto suo, è entusiasta di questo passaggio di consegne, che non esita a paragonare alla svolta epocale dell’acquisizione della DC da parte di Warner Bros. o, addirittura, a quella della Marvel da parte di Disney. E, in effetti, le similitudini non mancano. Netflix dimostra subito di avere progetti a dir poco ambiziosi per Millarworld e annuncia di voler ricavare ben 17 franchise dai fumetti, futuri o già in cantiere, con la prospettiva di farne la base per un ben più vasto progetto transmediale. Il fumetto di The Magic Order è il primo in ordine temporale, ma già Millar è all’opera su altri sei insieme al colosso dello streaming. Ad esempio, una miniserie di fantascienza chiamata Sharkey The Bounty Hunter che, proprio mentre è in fase di lavorazione (con i disegni del nostro connazionale Simone Bianchi), ha visto avviata la produzione dell’adattamento tv.
Magie di Mark Millar e Netflix, che riescono a lavorare su una serie tv tratta da un fumetto prima che il fumetto stesso venga pubblicato.
The Magic Order non è un fumetto
A proposito di magie, dopo avervi introdotto il contesto transmediale in cui nasce, cresce e (probabilmente) muore il fumetto di The Magic Order è giunta l’ora di parlarvene un po’. Non vi nascondiamo che abbiamo cercato di evitare questo momento il più possibile. Ma era inevitabile e questo preambolo ci è servito soprattutto spiegarvi come (e soprattutto perché) The Magic Order non sia un fumetto, bensì uno storyboard in attesa di un regista munito di cinepresa. E anche per farvi capire che ormai, al buon Millar, la transmedialità ha dato un po’ alla testa.
La storia del fumetto di The Magic Order è in realtà molto semplice e vede al centro un gruppo di potentissimi maghi il cui compito è proteggere la Terra da minacce mostruose. Questo gruppo è, in realtà, una grande famiglia allargata composta da vari rami, tra cui il più importante è quello dei Moonstone. Il patriarca è Leonard Moonstone, quello che sembra un semplice mago da cabaret mentre in realtà è un formidabile stregone. Stessa cosa per i suoi figli, all’apparenza persone normali piene di normali nevrosi ma incredibili incantatori, di nome Cordelia, Regan e Gabriel. La situazione precipita quando un membro del loro stesso ordine, la misteriosa Madame Albany, ingaggia un killer con l’intento di ucciderli tutti senza pietà.
Dal plot, l’intenzione di Millar sembra chiara: dare vita ad una saga di magia e misteri per adulti, tant’è che i dialoghi spesso richiamano al linguaggio sboccato simile a quello della linea MAX della Marvel. Anche i personaggi seguono lo stesso schema, tant’è che sono pieni di problemi personali, difetti e traumi passati. L’idea sulla carta è molto interessante e conferma il grande talento di Mark per le storie d’impatto, tuttavia i problemi iniziano quando si cerca di entrare del dettaglio e di approfondire. Certe figure peccano di superficialità e lo stesso autore non sembra dare loro troppa attenzione, tant’è che diventano quasi subito vittime di un assassino inarrestabile.
La storia procede così fino alla fine, tra omicidi che passano davanti ai nostri occhi quasi indifferenti, nonostante la loro efferatezza. L’unica cosa che riesce davvero a tirare avanti sono le invenzioni estemporanee di Millar, che qui pare divertirsi più a progettare solitarie scene geniali invece che dare al tutto una solida visione d’insieme.
La sensazione, quasi a confermare la paura di trovarsi di fronte ad un banale storyboard, è che l’autore abbia seminato idee nella speranza di farle raccogliere a qualcun altro. Perché il fumetto di The Magic Order è una lettura davvero facile e veloce, fin troppo per essere un lavoro di Millar, che non lascia quasi nulla se non quelle trovate brillanti descritte poco sopra che però risultano isolate e inconsistenti, un acuto in mezzo al silenzio. Si ha, in poche parole, il dubbio di aver perso il proprio tempo.
E Olivier Coipel, stranamente, si accoda e fa la figura del “ragazzo intelligente ma che non si applica”. Volti lasciati in ombra, pose rigide, vignette enormi senza sfondi e un’immaginazione un po’ povera, addirittura misera se pensiamo che si tratta di un fumetto sulla magia in cui l’occhio vuole la sua parte. Poi eh, intendiamoci, Coipel rimane comunque uno di quei pochi disegnatori capaci di spostare le vendite e i colori di Dave Stewart riescono a metterci comunque una pezza. Ma il disegnatore francese è un fuoriclasse e si fa fatica ad accettare il minimo sindacale.
Anche lui fa quasi pensare che abbia tirato via, consapevole del fatto che tanto del fumetto di The Magic Order ci sarà la serie tv. Ed è frustrante, molto frustrante, che un media come il fumetto, che sta ancora lottando per avere una sua dignità artistica e culturale, venga ridotto al rango di storyboard colorato in alta definizione. Cosa che ormai è ufficialmente diventato, visto che da poco è stato annunciato l’adattamento televisivo da Netflix, con addirittura James Wan, il regista di Aquaman, dietro il pilot. La speranza è che almeno lui sappia sfruttare le potenzialità che Millar e Coipel hanno lasciato cadere nel nulla.
Però, va detto, che senso ha fare un fumetto che poi serve solo come carne da macello per una serie tv o per un film? Se è questa la visione che Netflix ha dei comics, se davvero li considera delle vacche da mungere in una sorta di allevamento intensivo senza fine, allora è meglio che torni ad occuparsi solo di streaming.