Nostalgia canaglia…
L’idea di The Mule – Il Corriere deriva da un fatto realmente accaduto.
Il New York Times riportò infatti tempo fa un articolo in cui si parlava di un certo Leo Sharp, un incosciente vecchietto di novant’anni che, in barba all’età e a tutti i rischi connessi, divenne improvvisamente un corriere della droga per il Cartello.
Una storia così folle non poteva non incuriosire Clint Eastwood, che ormai prossimo all’età di Sharp decide di realizzare un film ispirato a questa storia e di interpretarne anche il protagonista.
Con delle premesse simili la nostra frenesia è alle stelle.
The Mule – è bene chiarirlo subito – non è il thriller che alcuni di voi potrebbero aspettarsi dopo aver visto l’illusorio trailer distribuito da W.B., accompagnato dalle noti inquiete di The Void – Rhapsody on a Theme of Paganini, riadattata dal maestro Sergei Rachmaninoff.
Si tratta invece di un’opera dal ritmo lento e riflessivo come il suo protagonista, il bislacco Earl Stone interpretato, appunto, da Clint Eastwood, che si lascia apprezzare tantissimo anche in lingua italiana grazie al solito irreprensibile doppiaggio di Michele Kalamera.
Dalla Gran Torino si passa al pick-up, e troviamo un personaggio che abbina a quelle stesse sfumature di intolleranza razziale, presenti di nuovo in modo più o meno esplicito, un carattere più spensierato e gioviale, sebbene nasconda nell’animo la frustrazione ed il senso di colpa per come è andata la sua vita, per esser essere stato un pessimo padre ed un marito tutt’altro che devoto.
Earl è un uomo che ama divertirsi ed essere al centro del micromondo che ogni volta si crea, e deve tuttavia fare i conti con tutto questo quando matura, “sboccia” come un fiore, seppure in veneranda età. Sa comunque che ormai è troppo tardi per rimediare ai danni fatti, e si accontenta del perdono della sua famiglia.
Sacrifica il suo ultimo periodo di libertà (godendoselo comunque al massimo delle sue possibilità) per fare soldi in maniera illecita e riuscire comunque, così, a far del bene alle persone che gli sono vicine. Quando all’inizio viene avvicinato da un giovane ragazzo messicano che gli dà un contatto tramite il quale può essere pagato bene per guidare, Earl è consapevole di ciò che sta facendo, ma non si spaventa e non si pone troppe domande. Alla guida del suo pick-up ascolta la radio; canta; osserva il paesaggio; fa qualche pit-stop in più pur di mangiare il migliore arrosto degli Stati Uniti; chiama persino qualche ragazza per “tenergli compagnia”. Ogni momento può essere l’ultimo e non vuole farsene sfuggire nessuno, godendosi la vita al massimo, come ha sempre fatto.
La natura riflessiva ma al contempo scanzonata di Earl si traduce in un viaggio nostalgico che somiglia ad una testimonianza della vita e della carriera di Clint Eastwood, ed in qualche modo ci emoziona, perché sappiamo che nonostante sembri sempre in forma, quest’icona del cinema non è immortale. Già rivederlo davanti alla macchina da presa, dopo Gran Torino, crea nello spettatore affezionato commozione e turbamento, che deflagra ancora di più in un racconto di questo tipo.
Non è semplice guardare The Mule in maniera lucida, proprio per via della componente emozionale su cui gioca per tutte le due ore del film, ma ponendo l’analisi critica davanti a tutto non si tratta certo di una pellicola esente da difetti. L’indole faceta dell’Earl di Eastwood diventa croce e delizia all’interno del suo racconto, annientando gli ingredienti di adrenalina e di tensione tipica dei thriller basati sul traffico di droga, proprio perché – come detto – The Mule non mira a questo.
Il carattere burlone del protagonista contagia tutti, persino gli accigliati e spietati boss criminali (a volte sfiorando quasi l’assurdo), che dopo un po’ sono costretti a piegarsi al modo di fare canzonatorio e irriverente dell’uomo, che comunque – pur con le sue modalità fuori dagli schemi – porta sempre a termine il proprio lavoro.
E mentre Earl si fa strada nel Cartello, ottenendo la compiacenza del capo Laton (Andy Garcia), alla sua storia si aggancia quella parallela dell’indagine su di lui, su questo “Tata” (il soprannome che si è guadagnato Earl) che batte continuamente record di quantitativi di consegne, fregandosene dei rischi a cui va incontro. Non sanno ancora di chi si tratta, ma l’agente Trevino (Michael Pena) e l’agente Collins (Bradley Cooper) lo seguono e sono disposti a tutto pur di incastrarlo. La parabola di Bradley Coooper, poliziotto candido e dedito al lavoro, ma con una forte empatia a livello umano, non può che ricordarci quella del suo Avery Cross in Come un tuono di Derek Cianfrance. Sull’asse poliziotto-criminale si toccano corde già sfiorate a più riprese in molti film di genere, che assumono tuttavia contorni nuovi per via dell’età insolita del protagonista, che si rende anche un consapevole psicologo dei problemi dell’uomo che è sulle sue tracce e che, ignaro di tutto, sorseggia con lui un caffè in un bar, ringraziando il tenero e saggio vecchietto per i consigli dispensatigli.
C’è già tanta nostalgia nell’opera di Clint Eastwood che il regista sceglie, scientemente, di non corroborarla ulteriormente con musiche malinconiche che di certo avrebbero graffiato la nostra anima nel viaggio sul pick-up di Earl, mentre la telecamera spesso indugia sulle strade e sulle distese americane attraversate dal corriere, ed affida – di fatto – la soundtrack alle allegre note jazz di Arturo Sandoval.
La spensieratezza dell’animo di Earl si riflette, anche in questo modo, nel sereno lascito di Clint Eastwood e nella sua ennesima dichiarazione d’amore per la settima arte.