“Nella vita, a volte si deve andare controcorrente. Altre volte, invece è importante seguire il fiume”
Osaka 1954.
Nick Lowell è un soldato americano prigioniero in un carcere giapponese che, durante la sua detenzione, avrà modo di incontrare alcuni membri della Yakuza, tra i quali spicca la figura di Kiyoshi, con cui, per un fortuito caso, andrà a creare una collaborazione insolita, che gli permetterà di entrare a far parte del mondo della malavita organizzata giapponese.
Senza alcun dubbio, il qui presente biglietto da visita di The Outsider, opera diretta da Martin Zandlievt, è decisamente intrigante, e non a caso Netlfix ha deciso di accaparrarsi la distribuzione ufficiale della suddetta pellicola.
Il cineasta danese, alle prese, per la prima volta con un premio Oscar, si mette dietro la telecamera per immortalare un Jared Leto inglobato nel mondo rappresentato dai bassifondi di Osaka, proponendoci un noir dal gusto (quasi) indipendente, capace di catturare la nostra attenzione sin dai primi frame.
Questa creatura, che ha il nome di The Outsider, rappresenta, per l’appunto, un chiarissimo quanto ovvio riferimento al suo protagonista, il quale riesce, in un modo o nell’altro, a superare gli schematismi ferrei che caratterizzavano il mondo nipponico della metà del ventesimo secolo, e soprattutto le famiglie mafiose che dominavano i vari territori.
Di certo alcuni dei punti a favore del film sono le numerose scelte artistiche studiate in maniera certosina.
In primis vanno menzionate le inquadrature adoperate da Zandlievt, che ci mette dinnanzi a molte semisoggettive affascinanti e ad un meraviglioso gioco di specchi presente nella camera del protagonista.
A queste si aggiunge la fotografia curata da Camilla Hjelm, che sa alternare, come una novella Refn (scomodiamo il mostro di Copenaghen, degno di venerazione cinematografica, unicamente per facilitare la comprensione, lungi da noi voler comparare i due), una palette di grigi desolanti, figli dell’ambiente suburbano di Osaka, a colori vapor fluo, tipici delle insegne e delle luci che caratterizzano la vita notturna giapponese.
Una scelta artistica senza alcun dubbio apprezzabile, capace di donare una forte caratterizzazione all’opera e, al tempo stesso, richiamare uno stile di noir già visto, ma mai passato di moda.
L’apporto “artistico” però si ritrova spesso a fare da cornice ad una narrazione non di certo incalzante.
Il ritmo, seppur resti equilibrato durante tutti i 120 minuti di proiezione, non riesce mai a premere sull’acceleratore, finendo per catturare sì l’attenzione dello spettatore, ma senza coinvolgerlo del tutto.
Una conseguenza che purtroppo è sia figlia di uno script che, seppur possa essere originale ed affascinante, non dona numerosi colpi di scena (salvo un finale tanto atipico, quanto, paradossalmente, apprezzabile), sia di un minutaggio leggermente striminzito, il quale avrebbe giovato anche di una quindicina di minuti aggiuntivi.
Affascina il mondo della Yakuza, la rappresentazione della lotta per il predominio dei quartieri di Osaka, i ritualismi tipici dei suoi affiliati, ma alla narrazione manca sempre, ahinoi, qualcosa.
Lo sviluppo narrativo tuttavia, volente o nolente, riesce a portare a destinazione lo spettatore, accompagnandolo personalmente da Jared Leto.
Il premio Oscar si ritrova totalmente nei suoi panni in un ambiente urbano così spoglio ed arido, quasi a volergli rimembrare le sue prime e brillanti interpretazioni, finendo per tramutarsi in un potente drago su pellicola, come la carpa koi tipica della tradizione giapponese.
La sua performance è convincente, oltre che per propri meriti, anche grazie alla scelta registica di aver voluto improntare tutto il film sul bilinguismo giapponese-inglese (dove il primo è nettamente dominante); una scelta decisamente suggestiva ed in grado di regalare forza e realismo sia alla famiglia mafiosa Shimatsu, sia al, seppur non propriamente, coprotagonista Tadanobu Asano (famoso per i suoi ruoli nei vari Thor, Silence e Battleship) che riesce ad accompagnare perfettamente Leto durante il suo tortuoso cammino.
Indubbiamente la cosiddetta “sospensione dell’incredulità” entra in ballo non appena si pensa, in maniera razionale, a come uno straniero, per giunta americano, negli anni ’50 sia riuscito ad entrare nelle grazie di una potente, quanto in decadenza, famiglia della Yakuza.
Un punto che potrebbe dare parzialmente fastidio ai puristi storici, ma è un elemento che si deve accettare non appena si decide, in questo caso, di cliccare play.
Verdetto
The Outsider ci porta nel mondo della Yakuza giapponese degli anni ’50, mostrandoci le fondamentali radici di appartenenza dei propri membri ed il loro operato nella quotidianità.
A farci da Caronte, in questo caso, è Jared Leto, che seppur inizialmente vittima sacrificale degli eventi che si susseguono attorno a lui, riesce con forza a prendere le redini dell’opera, sfruttando nel miglior modo possibile un ruolo che gli calza a pennello.
Apprezzabili le numerose scelte del regista danese Martin Zandlievt, il quale, assieme ai suoi collaboratori, ci mette dinnanzi ad un prodotto stilisticamente curato, dalle inquadrature, alla fotografia, sino alla scelta di aver improntato tutto sul binomio Giappone-America, sia per il cast, che per il copione.
Qualità che purtroppo non riescono ad andare a Dama a causa di uno script incapace, in molti frangenti, di valorizzare del tutto un noir che potenzialmente poteva risultare intrigante, ma che finisce per assumere un sapore decisamente agrodolce.