Here comes the rain again
Il 17 maggio, a poco più di un anno dall’uscita su Netflix della sua prima stagione, The Rain 2 ci riporta nelle cupe atmosfere di una Scandinavia post-apocalittica. Realizzata da Jannik Tai Mosholt, Esben Toft Jacobsen e Christian Potalivo, la serie riprende esattamente dove l’avevamo lasciata lo scorso anno e torna a raccontarci le peripezie dei fratelli Andersen e degli altri sopravvissuti alla catastrofe che ha distrutto la Danimarca.
The Rain: quando pioggia significa morte
Come appare chiaro dal titolo stesso della serie, il punto focale attorno a cui si svolgono tutte le vicende è la pioggia. In The Rain, infatti, da fonte di vita come è sempre stata immaginata, l’acqua diventa foriera di morte. Portatrice di un virus letale, la pioggia ha infettato e ucciso la quasi totalità della popolazione danese, trasformando Copenaghen in una città deserta, che ricorda la New York di Io Sono Leggenda.
Tra le sue strade devastate, Simone (Alba August) e suo fratello minore Rasmus (un esordiente Lucas Lynggaard Tønnesen), dopo essere rimasti chiusi in un bunker per cinque anni, hanno guidato un gruppo di sopravvissuti verso la Svezia, nella speranza di ricongiungersi col padre scomparso e di trovare una cura al virus. Al loro arrivo però hanno dovuto fare i conti con una verità sconvolgente: non solo il padre Frederik (Lars Simonsen) faceva parte di quel team di scienziati della Apollon che ha ideato il virus, ma Rasmus stesso è il Paziente Zero.
Portatore di una versione mutata e particolarmente aggressiva del morbo, il ragazzo incarna al contempo la principale speranza di salvezza dell’umanità e una pericolosissima minaccia per chi gli sta accanto. Da questa scoperta, la nuova fuga del gruppo alla ricerca di un luogo sicuro dove cercare una formula per guarire Rasmus e debellare la malattia.
Una stagione con ritmi nuovi
Con questa seconda stagione, la qualità è decisamente migliorata. Si fa un uso più ampio di CGI ed effetti speciali, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione della diffusione del virus che, mutato in una forma più aggressiva, colpisce attraverso una nuvola nera sprigionata dal corpo ospitante.
Scene di questo tipo hanno sicuramente intaccato il budget, contribuendo alla decisione di ridurre il numero complessivo di episodi da 8 a 6. Il tempo ristretto però non rappresenta necessariamente un male, perché aiuta a non perdersi in divagazioni inutili, allungando il brodo e appesantendo la storia, come era successo, in alcuni tratti, nella prima stagione. La storia si fa più avvincente e il ritmo più serrato, grazie soprattutto a un cambio di prospettiva.
L’attenzione non è più rivolta alla pioggia (che risulta pressoché assente), bensì a Rasmus, che si trasforma in breve nel nucleo umano della storia. La sua fragilità, la difficoltà di rapportarsi col proprio corpo infetto e la paura di legarsi a una ragazza che potrebbe uccidere solo toccandola lo rendono un protagonista estremamente più interessante di quanto non fosse stato in precedenza. L’approfondimento psicologico non riguarda solo lui, ma si estende anche ai nuovi personaggi come Fie (Natalie Madueno) e Sarah (Clara Rosager), la cui storia viene raccontata, riprendendo la formula della prima stagione, attraverso una serie di flashback. Questa caratterizzazione così ben delineata, anche quando coinvolge figure secondarie, rappresenta uno dei maggiori punti di forza della serie danese.
The Rain tra distopia e horror
“Abbiamo proposto questa serie direttamente a Netflix perché grazie alla piattaforma c’era per la prima volta la possibilità di realizzare una produzione di un genere diverso rispetto agli standard danesi, qualcosa di fantascientifico e avventuroso. Ogni nazione ha comunque il proprio modo di raccontare storie e anche in The Rain rimangono, soprattutto nell’atmosfera e nelle psicologie, elementi del cosiddetto ‘scandinoir’“.
Jannik Tai Mosholt
Calando le tipiche problematiche adolescenziali nelle dinamiche di un survival, The Rain attinge a piene mani non solo ai temi dell’immaginario post-apocalittico (rifacendosi ad opere come The Walking Dead o The 100) ma anche alle saghe del filone distopico young-adult che hanno spopolato negli ultimi anni. Il modo in cui le vicende personali e i drammi intimi vengono affrontati in un mondo privo di umanità, ricorda opere Hunger Games o The Divergent.
A una trama di questo tipo, che potrebbe risultare, nell’insieme, già vista, si mescolano atmosfere tipicamente nordiche, scenari plumbei e quello stile semplice e diretto che caratterizza il noir scandinavo. Questo tipo di narrazione e di scenario, che si sta imponendo nella letteratura internazionale grazie al successo ottenuto da Millenium di Stieg Larsson e da autori come Jo Nesbø, rappresentava l’elemento innovativo più evidente nella prima stagione di The Rain.
A partire da questa seconda stagione si vuole virare sempre di più verso toni orrifici, raccogliendo (per quanto possibile in una produzione rivolta a ragazzi) l’insegnamento del regista David Paul Cronenberg e indugiando in modo particolare sulle tematiche del body horror. Queste scene, in cui vengono mostrate le deformazioni della carne causate dal virus, racchiudono un messaggio politico e sociale ben preciso.
The Rain ci ricorda quanto profonda sia la responsabilità dell’uomo, che nella sua follia agisce contro la natura e contro se stesso, e lo fa mostrandoci questo clima di devastazione. D’altra parte, oltre a essere un tema da sempre vicino alle popolazioni scandinave, l’attenzione all’ambiente che ci circonda si era già rivelata cara anche a Netflix, con la pubblicazione della docu-serie Our Planet.
The Rain, Netflix e la rivalsa delle produzioni locali
Il catalogo Netflix ci ha abituati a produzioni televisive di origine principalmente americana o inglese. Da un po’ di tempo a questa parte però, attraverso i propri prodotti originali, la piattaforma streaming sta facendo sempre più spazio a produzioni locali. Ecco quindi che ci imbattiamo in titoli tedeschi (Dark), brasiliani (3%) e italiani (Suburra). In quest’ottica, The Rain si inserisce perfettamente, rappresentando la prima serie originale Netflix prodotta in Danimarca.
The Rain non può certo pensare di competere né con le produzioni a stelle e strisce né con prodotti europei come Stranger Things. I buchi di trama già riscontrati nella prima stagione rimangono, i dialoghi non spiccano particolarmente per realismo e, soprattutto, manca di quella dose di originalità che possa farla spiccare in mezzo a tante altre serie dello stesso filone.
Nonostante questo, sono stati fatti sostanziali passi in avanti rispetto alla prima stagione e la serie rappresenta una rivalsa per le produzioni locali, che stanno dimostrando sempre di più di poter comparire, senza sfigurare troppo, in mezzo a centinaia di offerte americane o inglesi. Adesso non ci resta che attendere una terza stagione, in cui, si spera, verranno uniti tutti i puntini che sono stati lanciati e le tante domande troveranno risposta.