Traendo da fatti reali per rimaneggiarli in forma seriale, The Serpent riporta la storia del criminale Charles Sobhraj in maniera monotona e poco accattivante
The Serpent è il soprannome di Charles Sobhraj, vista la capacità di eludere giovani stranieri arrivati nella terra contemplativa, ma piena di tentazioni dell’India, ammaliati e ingannati dallo charme e dalle presunte premure di un rettile travestito però da umano.
Insinuandosi nelle orecchie e nelle grazie di turisti ingenui, approfittando della rotta hippy che nei 70s faceva gola a una schiera di giovani infatuati dai dettami della libertà e dello scambio di corpi e amore che sembrava raggiungere vette spirituali ed esistenziali nelle cittadine asiatiche, Sobhraj corrompeva anima e fisico i suoi ospiti accogliendoli nella propria casa, promettendo loro protezione e ricevendo in cambio da passaporti e modi per mescolare identità.
È esattamente quello che viene mostrato nella miniserie targata Netflix, la quale porta come titolo quel soprannome indelebile che ancora designa la controversa figura che lo accompagna. Era anche un altro il nome che la cronaca dell’epoca riportava sulle proprie pagine, quel Bikini Killer così chiamato in quanto presunto fautore dell’omicidio di alcune vittime ritrovate in costume da bagno.
Sono sempre state le prove, però, a permettere all’uomo di farla franca, di scampare ancora, e ancora e ancora una volta, non palesandosi mai delle accuse altamente stringenti, intervallate comunque da continue fughe e rocambolesche evasioni le quali, a proprio modo, hanno sempre fatto di Sobhraj un uomo libero.
La vanità di Charles Sobhaj
Pur traendo spunto da fatti realmente accaduti e rendendo centrale la figura di quel “serpente” riproducendone la catena di conoscenze e le reti di aggancio che gli hanno permesso di muoversi indisturbato per i territori dell’India, la miniserie per BBC One finita nella library di Netflix ricerca nel pratico le efferatezze messe in atto dall’uomo.
La volontà della messinscena narrativa volta al riempimento di quei buchi mai stati riempiti dalle dichiarazioni di Charles Sobhraj, a cui il lavoro dell’ideatore Mammoth Screen cerca di dare forma, svelandone il marcio e la totale assenza di compassione.
Come i rettili a sangue freddo, anche Charles Sobhraj viene descritto al pari del più indifferente dei predatori, il più meschino degli animali. L’abilità di puntarti e stritolarti nella propria morsa viene resa storia esplicativa attraverso lo svolgimento di otto puntate, che mostrano il modus operandi del famigerato criminale dal punto massimo fino al principio della discesa, talmente incontrollata e repentina da dover far strisciare via inosservati. È seguendo la sinuosa pericolosità dell’animale che dà all’uomo il proprio soprannome che la serie ha cercato di riportare la figura di Charles Sobhraj ed è così che ha tentato anche di interpretarlo il proprio attore Tahar Rahim.
Se, però, la vanità del protagonista, vera spinta di ogni sua azioni, viene centellinata puntata dopo puntata per spiegare il delirio di onnipotenza che caratterizza chi si sente superiore a qualsiasi cattura, è la sensazione di ripetizione costante degli eventi e delle azioni del prodotto che fa di The Serpent una produzione insofferente da guardare, pur intuitiva nella scelta di alcune sue trovate. Sebbene il killer rimane sempre centro assoluto della scena, sia nella funzionalità degli altri personaggi che oggetto simbolico dell’ossessione da parte di chi reclama giustizia, la storia che viene proposta dalla BBC One è quella di un uomo le cui azioni si replicano costanti, rendendo monotono e insoddisfacente sia lo sguardo, che il clima della serie.
The Serpent: quando l’essere predatori non è abbastanza
Seppur bene improntata, infatti, sul risultato che vuole ottenere, la serie sembra avanzare in continuazione quando, in realtà, rimane statica su se stessa, non smuovendosi da quello che è già stato reso palese nelle sue prima puntate, trovando solamente nel suo episodio finale un briciolo di coinvolgimento in più da parte dello spettatore.
Pur inquadrando da subito il proprio serial killer, mostrandone la trasformazione soprattutto in relazione al rapporto che quest’ultimo ha con la sua consorte Monique (Jenna Coleman), The Serpent cela il tratto dell’egocentrismo e del narcisismo intrinseco al personaggio su cui, invece, sarebbe potuto andar costruendosi un profilo accattivante e ancor più spiazzante del protagonista.
Un bisogno di prevalere e dominare che, pur evidente in tutto il racconto, avrebbe fatto da variante a un tono e a una vicenda troppo improntati sulla reiterazione, che avrebbe fatto scampare dalla piattezza l’operazione, come Sobhraj ha fatto per tanto tempo con la legge.
Ambientata in posti esotici il cui contorno rimane indifferente, manifestando un certo potenziale, ma lasciandolo sostanzialmente inespresso, The Serpent si apre e si chiude certamente con orrore e con la curiosità sull’uomo reso negli anni altamente noto. Una storia che, però, rimane incastrata lì dove è stata trovata, uguale nel genere a tante altre e, per questo, ben poco velenosa.