Would a rogue like a rouguelike if it looklike a roguelikelike?

Nato sotto l’attenta ala di Devolver Digital, ormai tra i publisher più abili nello scovare e coccolare una certa fetta di team indipendenti (diremmo quelli con il più eclettico estro artistico), The Swords of Ditto è un roguelike che sta facendo discutere moltissimo gli appassionati del genere e la stampa tutta. I motivi sono fondamentalmente due: una direzione artistica molto indovinata, che nel suo complesso (e grazie alle sue eccellenti animazioni) dona all’intera esperienza un aspetto a la Adventure Time colorato e adorabile, e la sua impronta fortemente “zeldiana” che in termini di gameplay rende questo edulcorato roguelike (un roguelite per l’appunto, o un roguelikelike se vi piace Reddit) un emulo quanto mai avvincente del caposaldo Nintendo. Detto ciò una premessa: non parliamo di uno Zelda a tutti gli effetti, ma solo di un titolo filosoficamente simile, che unisce un certo fascino per l’esplorazione procedurale a dungeon, enigmi ambientali non troppo complessi, e l’accoppiata spada + gadget di vario genere, tanto che qualcuno ha cominciato ad utilizzare, per questo titolo, il nuovo termine “Roguelink”, come se servisse coniare un termine nuovo per una roba che esisteva già. E vabè. Eppure The Swords of Ditto, nel bene o nel male, ci ha colpiti, tanto per la sua eccezionale accessibilità, fattore da non sottovalutare nel panorama roguelike, tanto per il suo stile divertente e colorato, tale da farcelo sembrare (con le dovute limitazioni) una puntata interattiva di Adventure Time. Giusto un po’ meno inspirata.

La storia è quella dell’isola di Ditto, una terra ridente e spensierata su cui aleggia però una terribile maledizione. Qui infatti, la strega Mormo imperversa con orrore ogni 100 anni, ritornando in vita e vessando il mondo con la piaga di mostri, creature e calamità varie. A noi, sparuti eroi, il compito di sconfiggere la strega entro 4 giorni, raccattando nel mentre tutto quello che può esserci utile ad avere ragione durante la battaglia finale. Qualora fallissimo, il mondo diventerà un posto più cupo e insidioso, e toccherà poi 100 anni dopo, ad un nuovo eroe, cercare di riportare la pace. Il punto è: esisterà qualcosa in grado di spezzare questo circolo vizioso di non morti e maledizioni?

The Swords of Ditto non è un titolo che verrà ricordato per la sua eccezionale narrativa, ed anzi il gioco – inspiegabilmente – si perde anche in troppe chiacchiere. Spesso a dir poco ripetitive se si considera che, data la sua natura roguelike, ci si può ritrovare a ricominciare una partita anche due o tre volte nel giro di massimo mezz’ora. Che ok, saranno anche passati 100 anni nel gioco, ma ripeterci da capo la stessa solfa di volta in volta senza poter skippare i dialoghi in toto è, come immaginerete, una maledizione ancor più tediosa di quella inflitta dalla strega Mormo. Ma non sottilizziamo. Il titolo è praticamente un GDR con basilari meccaniche action, in cui la mappa dell’isola viene generata, ogni 100 anni ovviamente, in modo procedurale. La visuale è dall’alto, e lo stile colorato e affascinante dell’opera, rendono Swords of Ditto una piccola perla visiva, complici le simpatiche animazioni che fondono movenze dalle reminiscenze 8bit, a più moderne animazioni in stile Cartoon Network. L’alchimia che ne nasce è, senza mezze misure, molto indovinata, e stempera notevolmente la ripetitività del genere d’appartenenza che, per altro, per qualche oscuro motivo sembrava essersi confinato ad ambientazioni chiaramente “darksouliane”, che se non ti chiami Miyazaki – diciamocelo – hanno anche un po’ rotto i coglioni.

Il risultato è, almeno ad una prima giocata, effettivamente molto simile a quello di uno Zelda in chiave leggera e divertita, seppur non con la stessa profondità e, soprattutto, senza la stessa eccezionale maestria nel level design che caratterizza l’epopea Nintendo praticamente sin dai suoi albori. Eppure, come Zelda, anche Ditto riesce comunque a metterci i bastoni tra le ruote, se non per i dungeon, quanto meno per la peculiare caratteristica delle run a tempo, che pure imperversa da un bel po’ nel genere roguelike, ma che qui viene declinata con freschezza ed intelligenza. Esplorare adeguatamente l’isola nelle prime run è infatti impossibile, ed il gioco quasi si diverte a vederci fallire, salvo premiarci con quei doverosi level up utili tanto a noi quanto alle nostre discendenze (i livelli del personaggio sono infatti l’unica cosa che manterremo di volta in volta). Poi con la pratica, la dimestichezza, e soprattutto l’aumento delle caratteristiche degli eroi, ci renderemo conto di poter fronteggiare sempre meglio le minacce, rendendo quindi l’esplorazione più semplice e, per certi versi, “scorrevole”. Ovvio è che per sua stessa impostazione il gioco resterà, in tal senso, ostico anche ai più alti livelli di esperienza, ma il bello è forse proprio nello scoprire l’efficienza della curva di difficoltà che, pur senza gentilezza, accompagna il giocatore durante le sue sessioni di gioco. Funziona, funziona bene, mantiene il gioco divertente e coinvolgente e questo è veramente apprezzabile in un genere che punta, ancora una volta sul modello di Dark Souls, ad essere spesso inutilmente punitivo. Perché “fa figo, ed è di moda”. The Swords of Ditto invece impegna, ma con stile, e questo al netto di tante leggerezze e nello sviluppo (non ultima una lunga serie di bug in parti corretti in occasione delle patch) lo rende tutto sommato un titolo gradevolissimo.

Non è da sottovalutare, infine, che il gioco offre non solo un numero intrigante e vastissimo di attività secondarie e armi aggiuntive, ma anche una fitta rete di segreti, custoditi gelosamente da tutta una serie di NPC che potreste (come no) incontrare durante le vostre avventure. Il titolo è per altro giocabile in coop con un amico in locale, il che rende l’esplorazione ancor più piacevole e divertente, al netto ovviamente di qualche compromesso tecnico come la condivisione di denaro e risorse. Trovata certamente atta a non renderci la vita troppo semplice in quello che è comunque un titolo che vorrebbe in qualche modo renderci la vita difficile.

Verdetto

The Swords of Ditto è un titolo divertente e riuscito, che tuttavia si ritrova a fare i conti con diversi limiti, alcuni concettuali altri puramente tecnici. In primis il gioco soffre di diversi bug, che spesso ci hanno messo in condizione di dover resettare il gioco, il che non è proprio il massimo della vita. In seconda istanza, la natura low budget, per quanto ben nascosta dal comparto artistico, spesso ci si rivela con risultati piuttosto deludenti. Dalla sostanziale povertà della componente ruolistica, alla pochezza del combat system, sino al bestiario, che per quanto inizialmente interessante, mostra il fianco pesantemente nelle fasi finali del gioco, senza per altro mai proporre delle boss battle degne di questo nome. Certo tutto passa in secondo piano quando si impugna il pad con un amico, ma francamente si poteva fare di più. Almeno, per favore, non chiamatelo “Zelda”.