1900.
Su un’isola remota al largo della Scozia, tre guardiani del faro svanirono senza lasciar traccia.
La loro scomparsa ha dato vita al celebre mistero delle Isole Flannan.
Traendo ispirazione da questa storia, il regista Kristoffer Nyholm porta nelle sale (qui dal 28 febbraio) The Vanishing, che segue la storia di tre guardiani di un faro, James (Gerard Butler), Thomas (Peter Mullan) e Donald (Connor Swindells) che prendono servizio per le consuete sei settimane su questa piccola e remota isola al largo della Scozia.
Tutto sembra proseguire tranquillamente, fino a quando i tre non si accorgono di un naufrago sulle rive dell’isola e di una una cassa piena d’oro. Ovviamente molto presto qualcuno verrà a cercare sia l’uomo che, soprattutto, la cassa…
Il racconto di Nyholm è però una gigantesca illusione che ci svela troppo presto il mistero che il titolo porta in dote, e lo fa anche tramite la bocca e le azioni rapide e frettolose dei suoi protagonisti.
Un inizio quindi frenetico che tuttavia sembra far bene al ritmo del film, ben più calzante di quanto immaginassimo soprattutto nella parte iniziale. La chiave del mistero però – come detto – affonda con esasperata urgenza nella serratura e preclude all’opera la possibilità di attingere a tutte quelle sfumature dell’enigma e del giallo che, da Agatha Christie in poi, affascinano e catturano l’animo umano. The Vanishing – Il mistero del faro quindi non è ciò che vuole farci credere e accarezza questi aspetti solo in parte, sebbene riesca – sempre nella prima parte – a far calare sulla storia un avvolgente velo macabro, anche grazie all’ottimo accompagnamento sonoro, sempre puntuale e a tratti lugubro e spaventoso, di Benjamin Wallfisch, che non a caso ha composto le musiche di IT (2017) e Annabelle 2: Creation.
Altro plus in tal senso è costituito dalla fotografia asciutta di Jørgen Johansson, dove opache tinte grigio-bluastre dominano la scena cercando, quantomeno visivamente, di infittire il mistero come nebbia e disperdelo tra i freddi mari scozzesi.
I tre protagonisti ben si comportano di fronte alla telecamera, e soprattutto merita applausi Connor Swindells, interprete in assoluta ascesa e che già si era lasciato apprezzare nella serie TV Netflix Sex Education. Peter Mullan è invece il vero protagonista silenzioso e carismatico del racconto, e riesce a trainare gli eventi cadenzando parole e azioni. Chi delude un po’ è Gerard Butler, non nella prima parte, dove ben figura nel classico ruolo del burbero bensì quando il suo personaggio viene pervaso dal seme della follia, e il momento in cui il suo James perde credibilità coincide con quello in cui il film inizia la sua fase calante.
Se da un lato è positivo che gli sceneggiatori Celyn Jones e Joe Bone abbiano provato a creare un’ambientazione misteriosa senza sfumature dichiaramente horror e soprattutto senza quell’elemento paranormale che tanto va di moda e che pure, onestamente, ha generato ottimi prodotti di genere come la recente serie The Terror, tutto perde di valore quando non si ottengono comunque i risultati sperati.
La parabola della perdita del senno di fronte ad avanti traumatici e in condizioni di isolamento è un tema che, sebbene decisamente trito, può sempre avere il giusto appeal. Invece di garantirci sfumature occulte e orrifiche, come l’architettura visiva e sonora parrebbe indirizzare, il film si perde però in una visione marcatamente moralista del tutto inefficace ai fini della narrazione, ma soprattutto del ritmo. Una struttura del genere naturalmente non porta benefici né al racconto, né al coinvolgimento degli spettatori, maldestramente illusi da un film partito con ottime premesse che si smarrisce proprio sul più bello.