Si sopravvive meglio su mobile?
Dopo l’ottimo successo ottenuto sul mercato mobile, 11 Bit Studio, supportata da Deep Silver, porta su console il suo ottimo This War of Mine, aggiungendovi l’inedito sottotitolo “The Little Ones”, un titolo a metà tra uno strategico e un gestionale che ci mette negli inediti (e pesanti) panni di un sopravvissuto di guerra, il tutto calato nel tragico contesto dell’assedio di Sarajevo. Quando lo giocammo (ahinoi senza occasione di recensirlo) nella sua versione originale, il titolo ci intrigò subito, su tutto per la particolarità con cui la guerra viene affrontata. Abituati ad anni ed anni di uscite in cui il conflitto viene vissuto dagli occhi del tipico soldato, del reduce o comunque di chi sa che, nel bene o nel male, se la caverà, This War of Mine arriva come un pugno nello stomaco. Ed è un colpo duro da incassare, perché nonostante il suo spirito ludico decisamente più “lento” rispetto alla media dei titoli bellici, e la sua natura puramente ludica, This War of Mine è anche un titolo che lascia riflettere, premesso si abbia la capacità di comprenderlo, specialmente in questi tempi bui in cui il mondo vive quotidianamente l’orrore della guerra ed il triste destino delle sue vittime innocenti.
Ma che cos’è This War of Mine? Il concept del gioco è tanto semplice quanto intelligente: dovremo occuparci della gestione di un gruppo di superstiti, per un massimo di 4 elementi, ognuno dei quali con delle abilità specifiche il cui utilizzo è lasciato all’intuizione del giocatore. Chiusi in una palazzina diroccata in attesa della fine della guerra, il manipolo di sopravvissuti dovrà trovare le risorse e la forza di sopravvivere, in quello che è un gioco fondamentalmente diviso in due parti: azioni diurne ed azioni notturne. Di giorno dovremo occuparci della gestione del nostro rifugio e delle condizioni dei suoi rifugiati, costruendo oggetti che migliorino il benessere comune, e provvedendo alle esigenze di ognuno dei singoli come fame, condizione mentale, fisica e sociale, in quello che è una sorta di “The Sims in salsa bellica”, ma senza gli appositi indicatori a farci da supporto nella calibrazione dei vari parametri. I personaggi si ammalano, si deprimono, soffrono la stanchezza e la fame divenendo pian piano meno efficienti, più suscettibili alla rabbia, alla depressione o alla nullafacenza, in quello che è un sistema che punta inesorabilmente in negativo salvo non si sappia affrontare la situazione con logica e criterio.
Di notte, poi, tutto cambia. Occorrerà assegnare ai superstiti un ruolo di vigilanza (cercando di scoraggiare o contrastare le effrazioni), mandarli a dormire per farli riposare o utilizzare uno di loro per andare a caccia di beni utili tanto alla sopravvivenza (cibo, medicine, ecc…) quanto alla costruzione di letti, stufe, e via discorrendo. Qui la sezione gestionale lascia il posto ad un’anima più strategica, con accezioni da stealth game neanche troppo velate. I nostri superstiti non sono dei guerrieri, sono persone comuni che vivono l’orrore, e sono spesso mal equipaggiati per affrontare la minaccia dei banditi o, peggio, dei soldati, che spesso setacciano come noi i ruderi alla ricerca di sopravvissuti o di oggetti utili. In queste sezioni il gioco si fa ancor più ponderato, con un numero limitatissimo di slot da poter riempire a fronte di una numero impressionante di esigenze a cui dover sopperire. Non solo, il combattimento è quasi sempre sconsigliato e la pericolosità di luoghi mai esplorati prima, lascia spazio a molte incertezze nell’incedere. Incertezze su cui si affaccia anche lo spettro del tempo che scorre fino al sorgere dell’alba la qual cosa, a causa dei cecchini in giro per la città, potrebbe rendere il ritorno a casa pericoloso se non letale. A servizio dell’intera esperienza (sia diurna che notturna) c’è una grafica pulita e chiara, con una telecamera dalla prospettiva laterale che rende la visione d’insieme della mappa molto più comoda e godibile, nonché un sotteso sistema morale che in qualche modo veicola l’andazzo della partita. Sacrificare un personaggio per il bene comune? Condividere il cibo con un vicino? Uccidere un vagabondo per derubarlo? Tali situazioni sono all’ordine del giorno e condizionano spesso non solo i personaggi del gioco (che percepiscono in modo positivo o negativi gran parte degli eventi del gioco) ma anche il giocatore che, con la pratica, comincerà a capire – anche solo per oggettiva necessità ludica – se compiere una determinata scelta sia utile o meno.
Questo è, in soldoni, This War of Mine. Un titolo che è palesemente pensato ed organizzato per delle partite non velocissime, ma comunque spezzabili nel corso di più sessioni, magari anche “mordi e fuggi”. Al gioco “di base”, si aggiunge poi su console l’inedita componente data dai bambini (siano essi orfani, o associati ad un altro personaggio di default), originariamente non presenti nella versione originale, e qui grande novità. I bambini hanno esigenze completamente diverse da quelle degli adulti, su tutto il divertimento e lo svago, e sono relegati alla sola parte “diurna”, e purtroppo senza la possibilità di portarli con sé nel corso delle razzie il che, sia da un punto di vista pratico (eventuali oggetti trasportabili) che morale (il peso e la responsabilità di farsi carico di un bambino in situazioni difficili) avrebbe forse avuto più senso, rimanendo invece così una novità fondamentalmente più inutile e “pesante” che altro.
Perché pesante? Perché This War of Mine si propone, sin dai suoi esordi, come un titolo fortemente punitivo nella sua componente gestionale, il che corrobora la vostra necessità di realismo in quello che, idealmente, sarebbe in effetti il contesto di un sopravvivente alla guerra. Nel gioco le scelte sbagliate, purtroppo spesso molto più a portata di mano di poche, risicate, scelte positive, portano molte volte ad un effetto farfalla (in negativo) che culmina ben presto con il game over. Privo di check point di qualunque forma, il gioco vi porterà (soprattutto nelle prime sessioni) ad uno scenario triste e desolante in cui i personaggi si ammalano, si deprimono e semplicemente si lasciano morire, smettendo DEL TUTTO di rispondere ai vostri comandi. La situazione era di per sé già difficile nel gioco base, ma i bambini non fanno che aggravare la situazione. Se un genitore, o un personaggio del party muore, i bambini tendono a deprimersi prima di tutti, trascinando con sé anche i restanti personaggi e portando il giocatore alla fine della partita. Questo è lo spirito del gioco in fondo, quello di rendervi la vita maledettamente difficile in un meccanismo di empatia ed immedesimazione molto riuscito e, per certi versi, gratificante, tuttavia poiché le cose erano di per sé già complesse, aggiungere un ulteriore “handicap” (molto triste da dire di un bambino in guerra, ma vi pregherei di comprenderlo dal punto di vista ludico) senza alcuna possibilità di trarne beneficio, potrebbe essere per taluni ancor più scoraggiante.
In occasione della versione console, e proprio perché il formato da gioco home sta, in fondo, troppo largo a questo titolo originariamente pensato per piattaforme smart, si poteva semplicemente offrire qualche possibilità di interazione diversa o, quanto meno, la possibilità di schematizzare i propri progressi attraverso una serie di salvataggi al fine di concedervi il tanto agognato happy ending. Una situazione, quest’ultima, appannaggio davvero dei giocatori più abili e non alla portata di tutti.
Il gioco, infine, per quanto giri benissimo nella sua semplicità e nelle sue tinte pastello, è davvero sprecato per l’uscita casalinga risultando, forse, persino noioso nel suo sistema di azioni ciclico: costruisci, esci a cercare oggetti, cerca di costruire altro, spera che nessuno muoia. Non si fa altro, ed il fatto che il game over sia così semplicemente raggiungibile (obbligandovi, di conseguenza, a ricominciare tutto da capo) pesa su console molto più di quanto non pesasse su cellulare. Detta realisticamente: quante persone accenderanno la console per una sessione di 10 minuto per poi spegnere e fare altro? Probabilmente pochi, mentre su smartphone e simile questo “stile di gioco” è certamente più gradevole e naturale. Le novità, poi, non invogliano di certo a procedere in senso diverso. A sistemare il tiro c’è la funzione “crea la tua storia” che permette di costruire in toto la propria avventura alla ricerca della sopravvivenza, permettendo di impostare sia i personaggi con cui si vuole giocare, che la durata dell’assedio alla città da parte delle forze armate o la rigidità (e relativo incedere) del freddo invernale, ma si tratta comunque di un qualcosa che riesce a diminuire il senso di “stanchezza” solo per poco, sposandosi più con la dinamica della partita veloce che di quella di una “campagna” come la si intenderebbe verso altri titoli strategico/gestionali. Il punto è che questo non è un gioco come tutti gli altri, è un gioco particolare che per quanto assurdo sembri è soggetto a regole diverse e, su tutto, all’empatia che in voi i sopravvissuti riusciranno a scaturire. Sta tutto lì, per cui, se magari scoprirete che tutto sommato, il senso di sfida è di per sé ragion sufficiente a proseguire, magari terrete il gioco nei primi posti della vostra pila dei titoli ad uso e consumo quotidiano, ma se così non fosse vi ritroverete ad abbandonarlo quasi subito. Un peccato, ma in fondo è così che va la vita.