Vorrei avere il dono della sintesi. Perché se fossi capace di far trasalire un lettore con poche parole, allora potrei evitare di riconsegnarvi questo papiro e dire, semplicemente, “The Witcher 3 è un gioco che spacca”. Forse, per quello che è il sistema di informazioni che si genera su internet, questo lo sapete già. Senza contare che l’uscita del gioco è già passata e che molti di voi, probabilmente, stanno già compiendo il loro viaggio nei panni dello Strigo di Andrzej Sapkowski, ma il punto fondamentale è capire il perché The Withcer 3: Wild Hunt spacchi, il perché nonostante certe cose non proprio al passo con i tempi il gioco sia, a tutti gli effetti, un capolavoro. Ci ho messo un po’ a riconsegnarvi questa recensione, lo so. Il perché è semplice: ho voluto prima collezionare un numero di ore di gioco soddisfacente (sono a circa 80 ore in un’unica run) per poter comprendere a fondo ogni aspetto del titolo e dirvi, con cognizione di causa, che il gioco “spacca”. Sinteticamente o meno quello che segue è il mio giudizio, figlio di un’avventura che mi ha attratto a sé ed ancora non mi ha lasciato andare.
Chi diavolo è Geralt di Rivia?
Prima di avventurarci nella recensione ci pare giusto spendere due parole su Geralt, il protagonista del gioco, non così universalmente noto come si potrebbe pensare. Dedicheremo, prossimamente, un approfondimento al personaggio ma intanto cominciamo col chiarire una cosa. Molti ci hanno chiesto se è possibile o meno godere degli eventi di Wild Hunt senza aver giocato ai precedenti capitoli. La domanda non è sciocca, ed è anzi sensata visto che The Witcher 3 in effetti il primo capitolo ad uscire su tre piattaforme diverse, laddove il primo era addirittura uscito solo su PC. La risposta, senza girarci attorno è un netto “si”, perché a CD Projekt Red va un merito importante, quello di aver costruito un mondo di gioco che si auto-sostiene e che dà al giocatore, pian piano, tutte quelle che sono le informazioni per destreggiarsi tra i vari nomi, eventi e personaggi. Talvolta non direttamente, ma piuttosto attraverso un glossario veramente ben fatto e completo, che tira in ballo anche i personaggi del precedente capitolo, che è poi quello più legato a livello narrativo a Wild Hunt. E ciò, come intuirete, non è uno scoglio insormontabile.
Questo perché Geralt, lo strigo, non è un personaggio videoludico, ma è piuttosto un personaggio letterario. Nato nel 1990 con l’antologia di racconti intitolata, per l’appunto, The Witcher, Geralt si è costruito un solido background narrativo i cui eventi sono collisi nei videogame di CD Projekt Red senza riscriverli o sostituirli. Ma chi è Geralt di Rivia? È un Witcher, ossia un uccisore di mostri a pagamento il cui durissimo addestramento lo ha mutato nel corpo e nello spirito. Non un uomo comune, dunque, ma un super uomo la cui mutazione, oltre a capelli bianchi e occhi felini, gli ha donato un vasto assortimento di abilità e poteri e, non ultima, un’eccezionale resistenza. La bellezza del personaggio è la sua neutralità, il suo spirito diviso a metà tra mercenario prezzolato (un Witcher non fa mai niente per niente) e eroe. Geralt, longevo come non mai, percorre il suo cammino in un mondo di mutamenti politici continui in cui i re si succedono come si succedono le guerre. La ricchezza narrativa della serie di romanzi di Sapkowski è poi quella di saper mescere sapientemente la politica (e la geopolitica) con un ricco campionario di favole, fiabe e leggende, sicché The Witcher ci presenta un mondo che si divide tra il crudo realismo della guerra, con tanto di razzie, omicidi, stupri e quant’altro, con un’ambientazione medieval fantasy che colloca con precisione i mostri nel suo lore. I mostri, cacciati da Geralt e dai pochi Witcher rimasti al mondo, sono numerosi, sempre ampiamente descritti e del tutto simili a quelli profondamente radicati nella cultura popolare europea. The Wicther è insomma un romanzo medieval-fantasy, ma anche un racconto per adulti che rimescola e riscrive le origini dei mostri favolisticamente noti dandogli una collocazione nuova, precisa e definita. Questa ricchezza narrativa è il motivo per cui un approccio a The Wicther 3 non è impossibile ai giocatori che non hanno goduto delle precedenti avventure. Anche ai tempi del primo capitolo, proprio per il modus operandi di CD Projekt Red già descritto, il giocatore non si imbatteva nelle origini di Geralt ma solo in “una storia di Geralt”. Il sottobosco narrativo di The Witcher esisteva già, era già lì ed il team vi ha solo attinto senza stravolgerlo, raccontando il passato e i legami tra i personaggi in modo naturale, come se quegli estranei li conoscessimo già. Perché la lore, se vi interessa (e diamine se lo farà) è comunque a portata di documenti e dialoghi e tutto, pian piano, diventa riconoscibile e immediato.
La Caccia Selvaggia
Chiarito che potete prende il pad anche senza aver provato i titoli precedenti, ora concentriamoci sul gioco in sé. Wild Hunt racconta una storia assolutamente autoconclusiva in cui il team ha però ben pensato di inserire gran parte dei personaggi che hanno fatto la storia della serie come se ad essi si volesse dare un qualche commiato visto che, come saprete, questo è l’ultimo capitolo che il team svilupperà. Vesimir, Ciri, Dandalion, Triss Merigold… in The Witcher 3 mancano all’appello davvero solo i morti, anche se persino quelli vengono comunque citati in qualche modo. La storia segue più o meno direttamente gli eventi del capitolo precedente, ed è quella di Geralt che messosi sulle tracce del suo amore storico, la maga Yennefer, finirà per imbattersi nella temibile “Wild Hunt”, un manipolo di cavalieri sovrannaturali che per qualche motivo si è messo alle calcagna di Ciri, la sua “figliastra” nonché protetta. Ciri che, tra le altre cose, è qui per la prima volta giocabile e sarà protagonista di alcuni intermezzi (per lo più flashback che ne ripercorrono la fuga) molto brevi ma anche molto divertenti. Ma perché parlando delle passate connessioni di trama abbiamo detto “più o meno”? Perché se è pur vero che i personaggi tengono memoria del loro passato recente, quello che è effettivamente sviluppato quasi in modo procedurale è il mondo di gioco, in cui gli eventi del precedente capitolo hanno modificato l’attuale situazione politica. La trama, lunghissima e scritta in modo magistrale, sarà presente sin dal primissimo momento di gioco e ci vedrà affrontare un numero impressionante di peripezie e nemici, sino alla sua conclusione, costringendoci ad un viaggio continuo in quello che è un mondo scolpito a 360° e liberamente esplorabile. L’arrivo di tanti personaggi che per Geralt sono vecchi amici ma che per il giocatore sono, magari, dei perfetti estranei non è, come già detto, un ostacolo ed il senso di coinvolgimento sarà sempre incalzante, complice una raffinata varietà di incarichi che raramente vi chiederà compiti basilari, ma che anzi vi obbligherà spesso a delle “faticose” peregrinazioni rispondendo, nel mentre, ai quesiti che lo strigo si porrà. Perché la Caccia Selvaggia sta inseguendo Ciri? Perchè Yennefer si è fatta coinvolgere da una guerra che sembra seguirla come un segugio? Quali saranno i mutamenti politici che si assesteranno alla fine della grande guerra che sta investendo il continente? The Witcher 3 si propone di offrire e rispondere ad un grande quantitativo di domande, il tutto con uno stile narrativo semplicemente magistrale che non manca mai di cesellare i particolari al servizio di una qualche completezza narrativa. Sembra paradossale, ma salvo quelli che sono gli incarichi basilari inseriti come riempitivo in ogni vasto titolo open world (“vai lì e ammazza il mostro” per intenderci), The Witcher 3 si prende sempre la briga di scrivere in modo esaustivo anche quelle quest molto minori e apparentemente superflue che invece molti altri titoli farebbero scadere nella banalità. Questo perché, ancora una volta, il mondo è interamente interconnesso e capiterà non di rado, che personaggi aiutati in certe occasioni si ripresentino, che mostri liberati siano redivivi o che nemici datisi alla macchia si presentino in pompa magna. È ovvio che il peone beccato a random nel villaggio che vi affibbia la quest non sarà scritto in modo sacrale, ma credeteci che questo è un dogma concreto per la stragrande maggioranza dei personaggi secondari. Il mondo di The Witcher 3 è insomma vivissimo e pulsante, come vivi sono tutti i comprimari che vanno ad affiancarsi con richieste e varie sul cammino dello Strigo per un totale di ore di gioco che, a voler giocare “lisci” arriva tranquillamente sulla 70, supera le 100 se si cerca un minimo di completismo e praticamente raddoppia per ogni segreto presente sulla mappa.
Open (Living) World
La ricchezza di testi, la sveglia vitalità dei personaggi che incontreremo è insomma il primo e più grande punto di forza del gioco che non si perde mai in chiacchiere inutili ma piuttosto lavora sodo per costruire ogni personaggio nel modo giusto, dandogli motivazioni, carattere, ed anche una capacità di dialogo fuori dal comune. Per fare un paragone che potrebbe essere calzante, sembra di assistere a quanto Rockstar fece con Red Dead Redemption (ad oggi, secondo il mio modesto parere, ancora uno dei migliori open world di sempre) in cui la qualità di ogni dialogo era concepita per lasciare qualcosa al giocatore e per intrecciarsi in modo coerente con la vita di John Marston. Ecco, se avete presente il modello sappiate che Wild Hunt fa anche di meglio il che è incredibile considerato il numero di missioni e la vastità del mondo di gioco che sembra capace sempre di offrire qualcosa, non solo i quei luoghi impervi e irraggiungibili che solleticano l’istinto del videogiocatore rodato (per la serie: “se il luogo è irraggiungibile allora ci troverò qualcosa”), a volte basta una scampagnata, una corsa a cavallo per imbattersi in una missione, in un segreto, in una tana di mostri da stanare o in una furia da cui scappare. Non c’è sensazione di un sistema “hic sunt leones”, per cui quel confine non è superabile senza un certo livello. No, in The Witcher 3 te ne vai dove diavolo vuoi e se poi becchi un mostro che non puoi piallare… beh, cazzi tuoi. Ed è figo, lo è sinceramente, perché assieme alle condizione atmosferiche variabili, ad un ciclo notte e giorno in cui i colori ti vengono sbattuti in faccia con potenza e stile (i tramonti qui sono MAGISTRALI) ed alle razzie dei banditi, alla gente che si dispera, contribuisce a restituire un mondo vivido e intenso in cui val la pena andare in giro a cercarsi qualcosa da fare ed in cui la noia, credeteci, è una chimera… la cui testa pende sul fianco del cavallo di Geralt. Morta, in attesa di una taglia da incassare.
Nella sua vastità il mondo è comunque leggibile, il che significa che non si incappa mai in situazioni in cui non si sa bene cosa si deve fare e dove il che, considerata la mole assurda di missioni in cui ci si può imbattere, è decisamente un bene. A disposizione del giocatore, per onor di chiarezza, c’è il diario, in cui è possibile tenere d’occhio tutte le missioni (da compiere e svolte) con tanto di aggiornamenti che ne chiariscono i vari punti nel caso in cui la quest sia complessa. Selezionando la missione e impostandola come attiva, ecco comparire allora sulla mappa un comodo segnale che, similmente a un GPS, ci indicherà anche la strada più rapida verso l’obiettivo. Questo ovviamente NON significa che si può procedere un incarico alla volta, capita infatti sovente che mentre si è in viaggio verso la meta si finisca in un villaggio in cui c’è un altro incarico secondario, o magari di passare vicino ad un covo di mostri o banditi. Il gioco, in tal senso, non mette vincoli. Tanto che è possibile persino abbandonare una quest a metà e dedicarsi ad altro per poi tornare a completarla tempo dopo. Il che può capitare in quelle missioni in cui ci si imbatte senza aver chiaro il livello di sfida e si finisce per fronteggiare un mostro troppo forte da mandare giù. Il livello delle quest, in ogni caso, è sempre ben specificato nel diario e richiederà sempre attenzione da parte del giocatore salvo cadere nelle fauci di una belva imbattibile o di una situazione insostenibile. L’interfaccia esplorativa ed i suoi orpelli, insomma, sono davvero ben fatti e sulla totalità delle quest da me affrontate (circa 130 tra principali, secondarie e contratti vari) ha mostrato il fianco a qualche incertezza molto di rado. Ci è capitato, detta in soldoni, che l’indicatore non puntasse chiaramente al nostro obiettivo costandoci un pochino di esplorazione più del previsto, ma sono dettagli che non intaccano la godibilità generale del titolo, a maggior ragione del fatto che sarà successo in 4 o 5 casi sporadici.
Qual è il mio compenso?
E visto che si è parlato di quest. Come detto il mondo di The Witcher 3 offre al giocatore una quantità di missioni esagerata che non impiegano quasi mai poco tempo per essere completate. Quasi ogni quest, e talvolta persino i contratti di caccia ai mostri, hanno alle spalle una storia solida e approfondita quel tanto che basta da prendere a schiaffi molte delle trame PRINCIPALI di tanti giochi presenti sulla piazza. E non è un’esagerazione diamine! È effettivamente così! Il punto è che anche la varietà di incarichi è molto buona e, pur ovvio che talvolta si possa incappare in compiti simili, è quanto mai concreta quella sensazione di diversificazione che rende il nostro lavoro di witcher decisamente vario e motivante. Difficile, insomma, immaginare qualcuno che tiri dritto per la trama principale. Ci si può quindi trovare ad indagare su di una scomparsa, a seguire delle tracce, e investigare su misteriose sparizioni, o magari a sciogliere maledizioni senza dimenticare quelli che sono dei veri e propri contrarti di caccia ai mostri, il cui compenso è spesso anche trattabile, ed in cui il tutto si conclude affrontando un nemico overpowered di una razza già nota e che, come tale, occuperà il suo personalissimo posto nel nostro glossario dei mostri. Proprio il glossario è una caratteristica interessante del mondo di gioco, perché va a raccogliere quelle che sono le nostre informazioni sulle varie razze mostruose, catalogandoli per classe e descrivendo, premesso se ne abbia la conoscenza (conoscenza che può essere diretta, ossia ottenuta per aver già ucciso uno di quei mostri, o indiretta, per aver letto un libro), i metodi più efficaci per ucciderlo. Il Witcher, insomma, è un lavoro di caccia grossa, in cui cercare e stanare un gran numero di bestie mitiche e folkloristiche, tutte con le proprie abitudini, le proprie abilità, le proprie debolezze e il loro personalissimo aspetto. Certo non mancano dei momenti poco ispirati o comunque quasi noiosi rispetto a quello che è lo standard delle missioni tutte sempre appaganti, divertenti e soprattutto, ribadiamolo, magistralmente scritte!
L’arte della guerra
Ma come li si ammazza questi mostri? Come si fa il proprio lavoro di witcher? Geralt, e dunque il giocatore, possono innanzitutto contare su un armamentario di tutto rispetto che va in qualche modo reperito o costruito. Dagli stivali ai guanti, passando per la celeberrima coppia di spade (una per gli umani e una per i mostri), tutto questo aspetto di The Witcher 3 va a collocarsi di peso in quello che è lo standard ruolistico all’occidentale, in cui l’equipaggiamento e le sue statistiche giocano un ruolo fondamentale nelle dinamiche dell’avventura. Non mancano ovviamente anche le missioni che permettono di reperire ferraglia sempre nuova e aggiornata ma il meglio del meglio, ovviamente, lo si ottiene con pazienza, ricerca ed anche un certo piglio per il crafting di cui il gioco abbonda, ma senza mai soverchiare la voglia del giocatore di craftare come invece spesso accade in certi titoli troppo macchinosi. Qui le cose sono semplici e si costituiscono di due fondamentali “scuole” della creazione, quella metallurgica e quella alchemica. L’alchimia è quello che viene direttamente rimandato alle capacità di Geralt e che serve a costruire pozioni, decotti e bombe, tutto un arsenale di roba che è utile nella caccia ai mostri. Nulla vi vieta, ad esempio, di ignorare bellamente la raccolta di erbe e varie per creare unguenti, ma credeteci che applicarli o meno sulla spada prima di affrontare una certa tipologia di bestie farà una differenza notevole e pian piano ci prenderete quasi gusto di pari passo con la caccia. Quella metallurgica è invece affidata ai fabbri ed è un attimino più complessa perché non richiede semplicemente il possesso di quanto occorre al fabbro per costruirvi quello che vi serve, ma va di pari passo con la sua abilità. Partendo dal presupposto che non tutti i fabbri hanno la stessa abilità, potreste trovarvi dinanzi a figuri incapaci di forgiare spade, ed invece capaci di costruire solo armature, ma magari solo di un certo livello, perché inabili a costruire cose più complesse il che sembra demotivante, ma è invece realistico e per certi versi anche appagante, perché si passa anche qui a scandaglio le informazioni che di tanto in tanto ci passerà la gente, scoprendo che da qualche parte, personaggi abbastanza modesti, sono in realtà i re della fucina.
Passando alla fisicità dello scontro, Geralt e le sue due spade offriranno un campionario di attacchi tra leggeri e pesanti, nonché per l’utilizzo di oggetti secondari il cui principe è la balestra, novità di questo capitolo e particolarmente utile per disturbare le creature volanti che, altrimenti, sono irraggiungibili. Il sistema di combattimento basato su parate, schivate e attacchi è funzionale ma invero non profondo come ci aspetterebbe e conta su un numero di combo molto limitato che però non rende il tutto stantio. Si punta un bersaglio, lo si attacca con tempismo, si schivano i colpi per non restare intontiti da certi attacchi, e poi sotto di mazzate e segni. Cosa sono i segni? Nulla più che 5 magie molto elementari che permettono a Geralt di avere un’arma in più nel combattimento contro uomini e bestie. Non incantesimi particolarmente potenti, ma trucchi inizialmente molto semplici ma utili e poi pian piano potenziabili per ottenere effetti diversificati e prodigiosamente utili. Anche i segni, come le pozioni, hanno influenze diverse su mostri diversi e bisogna comprenderli bene, perché lanciare una magia ad membrum canis significa scoprirsi ad un attacco e non risolvere nulla. Tocca quindi studiare, o quanto meno capire, come utilizzarli al meglio potenziandoli poi come meglio si crede, basandosi sul proprio stile di gioco o sulla loro semplice utilità. Ora voi starete pensando che è tutto rose e fori ma in effetti non è così. Il sistema di combattimento non è purtroppo preciso come richiederebbero certe situazioni, a maggior ragione di nemici che sono spesso o tremendamente brutali, o numericamente soverchianti. Il lock-on ad esempio è comodo ma poco efficiente, perché obbliga la telecamera ad un’inquadratura il cui campo non è sempre ottimale per gli scontri di gruppo, quasi fosse stato pensato solo per la caccia grossa. Anche il sistema di collisioni è spesso becero, non tanto perché si assista a spade che fendono l’aria (anche se capita spesso che una combo si chiuda con un nulla di fatto), ma proprio per la qualità degli impatti che spesso ci lasciano scoperti per motivi che non sono sempre chiarissimi. Dulcis in fundo il gioco è spesso impreciso nel sistema di ingaggio del combattimento. Capita, e non di rado, che il tasto di estrazione della spada (croce direzionale destra e sinistra a seconda della lama che si vuole usare) non sia reattivo in situazioni in cui i mostri stanno per morderci letteralmente il culo, lasciandoci scoperti ad una raffica di attacchi che in certe situazioni è letale. Il che è un errore evidente se si considera che per lo più Geralt estrae la spada da solo non appena un mostro è entro un certo range di gioco. Errori che, purtroppo, neanche la patch del day one ha risolto e che non influenzano negativamente il gioco ma lasciano spazio a critiche che, nel bene o nel male, sporcano quello che è un gioco bellissimo.
L’ebrezza del potere
Tornando al gioco. Come è ovvio aspettarsi, concludendo incarichi e piallando creature più o meno crudeli si ottengono i punti esperienza necessari a salire di livello. Al momento del level up si ottiene quindi un punto da investire in 4 diversi rami di abilità, ognuno dei quali mette a disposizione una scelta più che buona per un totale di oltre 100 potenziamenti. Il punto è che non si più (e non si deve) investire punti a raffica e senza cognizione di causa, perché le abilità, pur essendo passive, devono comunque essere equipaggiate in una serie di appositi slot il cui numero (per un massimo di 12) va ampliandosi ogni tot livelli. Ne viene da sé che pur volendo cercare di sbloccare anche cose che forse serviranno una tantum, la progressione deve essere ponderata ad ogni livello e le abilità da attivare vanno studiate, pena un letterale spreco di risorse. A rendere il sistema ancor più raffinato c’è poi il sistema dei mutageni, che possono essere basilarmente reperiti sui cadaveri dei mostri e che possono poi essere potenziati. I mutageni, di quattro colori diversi, vanno associati ai rami di abilità disponibili che possiamo riassumere secondo i canoni di combattimenti, segni, alchimia e abilità fisiche. Divise in 4 gruppi attivabili da 3, è possibile quindi assegnare alle terzine di abilità un mutageno di uno dei vari colori il cui inserimento permette un incremento consistente di statistiche come attacco, vitalità e così via, purché in quella terzina siano presenti abilità del colore del mutageno. La cosa è molto più complicata da dire che da fare ma gli effetti sono concreti e rendono il sistema, solo apparentemente semplice, gustosamente profondo ma non così cervelloide da lasciarvi incerti. Il punto è che è bene scegliere delle scuole di specializzazione ed esplorare con il tempo anche altre abilità, cosicché si possa eventualmente cambiare quando si vuole le abilità attive e rendersi pronti per situazioni diverse. Il consiglio è quello di studiarsi per bene i rami di abilità ed essere realisti nell’uso che si fa di esse, cosicché la costruzione del personaggio sia fatta con un certo senso e con funzionalità anche se, per fortuna, esistono pratiche, ma rare, pozioni che permettono il reset dei punti usati con conseguente riassegnazione.
Scale, c’è chi scende e c’è chi sale… forse
In conclusione, il gameplay di The Witcher, pur non essendo esente da difetti, è coinvolgente e divertente e permette al giocatore di poter decidere buona parte dell’andazzo ludico. Ci sono però dei punti oscuri che una recensione non può omettere e che verranno qui analizzati. Premesso che nulla di tutto ciò intacca la bontà generale del titolo che, diamine, si merita più che mai il voto assegnatogli, troviamo che delle cose andrebbero comunque migliorate, una su tutte la meccanica di interazione. Ho un brutto ricordo di The Witcher 2 in cui per interagire con una scala da salire ti trovavi spesso a girarci intorno come un fesso in attesa che comparisse il comando apposito. Ebbene questa cosa è stata in parte risolta con The Witcher 3 ed il sistema è un tantinello più funzionale e pulito… ma un tantinello. Sussiste ancora un problema nelle interazioni ambientali, specialmente quando i personaggi o le cose con cui si dovrebbe interagire si trovano su di un asse non perfettamente orizzontale rispetto al centro della telecamera. È studiato, ci ho passato le ore. Perché tutto funzioni bisogna mettersi perfettamente al centro della telecamera rispetto alla posizione dell’oggetto con cui interagire altrimenti… ci si deve girare intorno, si deve lavorare di camera e un po’, purtroppo, si deve imprecare il pantheon del mondo di gioco. Anche la navigazione nei vari menù non è sveltissima, soprattutto quando, con l’incedere delle ore di gioco, la nostra sacca portavalori potrà contenere una quantità copiosa di beni. Succede spesso di dover passare tra diverse schermate, anche in situazioni di mero commercio, con alcuni “scatti” tra le pagine dovuti al caricarsi dei tanti oggetti posseduti che non è proprio un bel vedere. Non che poi le schermate siano macchinose, si ha solo l’impressione che per certe azioni (come ad esempio rimuovere una runa da una spada) esse siano troppe e che si sarebbe potuto riassumere il tutto in modo più asciutto e funzionale. Nei mali minori ci permettiamo anche di inserire il controllo del cavallo che se dal punto di vista della cavalcata è funzionale e reattivo (con addirittura un sistema che permette la guida automatica dell’equino, purché si cavalchi un sentiero battuto), quando invece si ingaggia battaglia a cavallo il gioco è il male puro. È IMPOSSIBILE colpire qualcosa a cavallo, salvo non si stia immobili premendo forsennatamente il tasto d’attacco… ma lì non è combattimento, è la statistica del “prima o poi qualcosa colpirò”. Tra i mali maggiori, invece, sicuramente ci mettiamo la scarsa profondità del sistema di combattimento e delle sue relative problematiche già discusse un paragrafo più su, nonché l’intelligenza artificiale che delle volte è davvero idiota e permette di risolvere certi scontri semplicemente barando. Molte di queste cose CD Projekt Red le conosce, e sappiamo per certo che le prossime patch metteranno una pezza, ma per ora la cosa ci ha lasciato un pochino perplessi perché pur senza nulla togliere a quello che è il risultato complessivo, il gioco ne esce inevitabilmente macchiato.
Downgrade? Ma sticazzi!
Togliamoci subito un dente: si, The Witcher 3 ha subito un consistente downgrade rispetto a quello che era il prodotto presentatoci nell’ormai lontano E3 2013. Quest’idea si era già palesata con l’E3 dello scorso anno in cui il team presentò un titolo tecnicamente meno avanzato di quanto non si fosse visto in precedenza e disco alla mano la cosa è quanto mai confermata. I compromessi cercati con l’hardware ci hanno sicuramente messo lo zampino ma lasciate che ve lo si dica: The Witcher 3 è uno spettacolo per gli occhi ed è un titolo “next gen” per vari motivi, primo su tutti la complessa costruzione del mondo di gioco, sempre continuo nel suo succedersi di paesaggi disparati e diversissimi, e capace di restituire un impatto visivo veramente appagante. Il che, considerata la mole della mappa, non è affatto un obbligo ma testimonia lo straordinario talento del team di sviluppo. Quel che poi è sorprendente è la costruzione artistica del gioco che non lascia nulla al caso, ma che anzi restituisce i personaggi, come il mondo, con una ricchezza di dettagli spettacolare. Ci sono anfratti di The Witcher, luoghi, ma anche città che restituiscono un’enorme evocatività e che tinteggiano uno dei più bei mondi fantasy a portata di console.
Dal punto di vista tecnico si è poi assistito alla realizzazione delle promesse della patch del day one che ha risolto quasi tutti i problemi di ottimizzazione che si erano invece manifestati pre-uscita del gioco. Il gioco è ora fluido, quasi granitico e non si assiste più ad annosi problemi di texture o pop up. Certo qualche problema c’è ancora qua e la, come villici e cambiano aspetto o piante che si texturizzano pian piano in un effetto simil-blur ma sono davvero delle anomalie rare e per il resto il gioco scorre liscio e senza troppi peccati di imprecisione e pulizia. La patch del day one ha insomma risolto gran parte delle grane rendendo il gioco apprezzabilissimo. A voler essere schietti l’unico difetto riscontrabile sono i caricamenti la cui durata sottostà a leggi che non sono comprensibili. Può capitare che se si muore in un luogo, un caricamento post-mortem duri da qualche secondo ad un tempo francamente troppo lungo per motivi non meglio chiari. Abbiamo fatto un po’ di test per capire se dipendesse dall’affollamento della mappa o cose così ma il risultato è incerto e non ci è chiaro. Quel che ci è chiaro è il tedio dell’attesa che, per fortuna, nelle restanti sezioni di gioco non si avverte praticamente mai perché il gioco, come ogni buon open world, vive di un flusso continuo privo di caricamenti, tale che non ci sono interruzioni neanche quando si presentano improvvisamente dei video utili alla trama.