La Fase 4 del MCU prosegue con Thor: Love and Thunder, una novella che continua la de-costruzione della figura del dio del tuono
o scrivevamo qualche giorno fa in un articolo: forse quello dell’era Taika Waititi era l’unico Thor ancora possibile. Un cambio di passo impresso in maniera netta a partire da Thor: Ragnarok, con un Chris Hemsworth prestato in tutto e per tutto a ripensare il dio del tuono come corpo comico, come personaggio in antitesi con la sua stessa immagine.
Non più creatura divina oppressa dalle responsabilità che la soffocavano dentro e fuori dallo schermo, bensì motore ironico, stralunato a seguito dei tanti fallimenti (ancora, dentro e fuori dallo schermo) e quindi più libero di ripensarsi semplice racconto da condividere attorno a un focolare, proprio come fa Thor: Love and Thunder.
«Venite, venite e ascoltate la leggenda» ci invita Korg – che poi altri non è che proprio Waititi, che scrive assieme a Jennifer Kaytin Robinson e dirige -, a lasciarci trasportare in una delle tante storie che coinvolgono il figlio di Odino. Nel Marvel Cinematic Universe è la quarta, come mai nessun altro supereroe fino ad ora, che trova sicuramente terreno fertile in una Fase 4 dalla consistenza malleabile, materia fluida dove più che nella costruzione di un’impalcatura narrativa comune ci si sta adoperando a introdurre il ricambio generazionale, a passare il testimone dal vecchio al nuovo. Un lavoro in cui si adoperano in particolare le nuove serie TV, tutt’altro che marginali, che entrano poi in sinergia con i vari Shang-Chi, Eternals, Doctor Strange e il Multiverso della Follia.
E Thor qui in mezzo sembra galleggiare un po’ per i fatti suoi, con una traiettoria che lo stesso Thor: Love and Thunder suggerisce appena nel finale, mentre per il resto muove come scheggia anarchica coerente con il suo nuovo corso. È un bene? Tutto sommato sì e in linea con il ritmo scanzonato tanto caro a Waititi, più interessato a offrire le note di colore di una storia che a soffermarsi sui perché o sui per come.
Ne guadagna senza ombra di dubbio la fruibilità di uno dei film più corti di sempre del MCU, non arriva nemmeno a due ore, che fila via come l’acqua di un ruscello, non annoia, non si inceppa da nessuna parte e lascia dietro di sé solo good vibes. Certo, per far questo e per adeguare al tono generale le singole parti qualcosina ci si rimette.
O meglio, si riducono ai minimi termini alcuni confronti magari meritevoli di una punta di spessore in più, come quello che lega Thor al ritorno dell’ex amata Jane Foster (Natalie Portman), che nel film per una serie di ragioni si ritrova a imbracciare un rinato martello Mjolnir e a ribattezzarsi come i fan del fumetto la conoscono, Mighty Thor. Si mitiga e si mitiga, ma a un certo punto il demenziale cercato all’interno di questo rapporto (e del divertente triangolo Thor-Mjolnir-Stormbreaker) si accosta a tratti al didascalico.
Chi vive maggiormente l’ambivalenza tra caratura d’intenti e resa è però Gorr, il Macellatore di dei, netto e chiaro nelle motivazioni e altrettanto intrigante nei presupposti che un personaggio simile mette in ballo. Christian Bale gli dona carattere e dà tangibilità al suo nichilismo (in alcuni frangenti forse anche con un pelo troppo di esuberanza), eppure, complice anche il minutaggio abbastanza secondario, la sua crociata si risolve per lo più nei contorni del boogie man.
Ripetiamo, tutto coerente con lo steccato che Thor: Love and Thunder impone alla sua narrazione, fatta di vignette istantanee, che si prende davvero poco sul serio e che riconduce alla novella, nonostante quella portata in cattedra da Gorr sia un’implicazione d’alto profilo, lo iato che separa l’adorazione degli idoli e l’inadeguatezza di questi. Meglio ancora, la distanza che separa la performance dal contenuto, o in una società post-mediale e mediatica come la nostra, la più classica distinzione tra costrutto social(e) come oggetto di consumo – quindi di controllo – e reale identità.
Discorso all’interno del quale la Marvel vuole collocarsi dissacrandosi, disinnescando il meccanismo ponendo i suoi, di idoli, alla portata di tutti anche all’interno della stessa diegesi, con la Nuova Asgard terra di pellegrinaggio turistico e con l’Avengercon visto in Mrs. Marvel (operazione, che fa al rovescio, pure The Boys). Insomma, concetti che il film pone sul piatto della bilancia ma affronta a mezzo servizio per le necessità che si sceglie, lasciando allo Zeus di un perfetto Russel Crowe uno dei momenti più brillanti a questi legato.
Thor: Love and Thunder non disattende e nemmeno osa. Fa più o meno tutto quello che ci si poteva aspettare arrivati al percorso fin qui raggiunto da un possente, poi svilito, poi ancora ironizzato dio del tuono, mettendo in atto un processo che vuole portare Thor all’essere un simpatico zio di quartiere, una figura d’appoggio con qualche asso nella manica e insegnamento da tramandare.