Waititi centra in pieno il suo obiettivo: un film diverso da tutto il resto, che tuttavia…
Prima di cominciare una premessa: chi vi scrive è un fan del mondo Marvel in generale, ed ovviamente un fan del MCU. Ne ho tollerato le trollate, le cazzate, anche gli improvvisi cambiamenti stilistici. Non ho avuto problemi con film come Iron Man 3 o Avengers: Age of Ultron, ed ho ben compreso la deriva comica di blockbuster come Guardiani della Galassia e relativo seguito. Chiarito ciò dovreste anche capire quella che è la mia delusione perché non senza difficoltà vi dico che Thor: Ragnarok è forse il film che meno mi è piaciuto in assoluto. O meglio, Thor: Ragnarok è un film brutto, ma brutto brutto in modo assurdo.
Ambientato in continuity ma non troppo con gli eventi del restante MCU, Thor: Ragnarok si posiziona cronologicamente dopo l’investitura di Stephen Strange a “Stregone Supremo” della Terra, cosa che, per altro, ci era stata anticipata dalla scena post credit di Dr. Strange, che qui viene ripresa e montata in modo intelligente e funzionale. La storia è abbastanza semplice: con Odino lontano dal suo regno a causa delle macchinazioni di Loki, si risveglia l’interesse di Hela, la dea della morte, per il trono di Asgard. Interpretata da un’algida e bellissima Cate Blanchett, Hela risulterà inarrestabile. In grado di sottomettere l’intera Asgard con le sue sole forze, la dea riuscirà ad esiliare fortuitamente gli dei fratelli, facendoli precipitare su di un pianeta lontano durante un combattimento avvenuto in un tunnel del Bifrost. Precipitati sul pianeta Sakaar, Thor e Loki si troveranno quindi alla mercé del Gran Maestro, un’entità antica che, per diletto, schiavizza gli esseri che sfortunatamente si trovano su Sakaar per farli combattere come gladiatori. Sottomesso senza problemi grazie alla tecnologia di Sakaar, Thor finirà per combattere nell’arena, il cui campione del Gran Maestro è nient’altri che Hulk (cosa che il film vorrebbe enfatizzare, se non fosse per gli ultimi due anni in cui la presenza di Hulk è stata più e più volte sottolineata). Il Tonante dovrà quindi sopravvivere a Sakaar, radunare un team improvvisato di “Revengers” e cercare di tornare su Asgard dove, intanto, Hela ha ucciso buona parte dei dissidenti, ergendosi a regina di un trono di morte.
Thor Ragnarok non è un film dalla trama particolarmente complessa, ed anzi, procede secondo un canone abbastanza consolidato secondo cui l’eroe, per sconfiggere il male, deve vivere una sorta di viaggio di formazione, onde superare i propri limiti e riscoprire sé stesso. Ora, si è detto che Ragnarok è un film brutto, ma innanzitutto cerchiamo di capirne i meriti. A mio giudizio ci sono almeno tre aspetti interessanti che, senza troppo collegarsi al canone fumettistico (ed in quel caso sarebbe veramente sconcertante il risultato finale), riescono a trainare l’interesse di qualunque fan dell’ultima ora. Abbiamo, ad esempio, la questione dei limiti di Thor. Un tema che in realtà aveva già trattato il primo film, ma laddove Branagh si era voluto concentrare sull’inadeguatezza del personaggio nei confronti del suo lignaggio, Waititi sceglie di concentrarsi su mere questioni di “potenza”, relative al fatto che il Thor qui presentato è forse la rappresentazione più debole del dio mai mostrata nel MCU. Il Thor di Ragnarok è quindi quasi del tutto privo dei suoi poteri, complice la distruzione del mitico Mjolnir ad opera di Hela, la cui coatta prepotenza le ha permesso di distruggere l’arma senza troppi problemi, creando così una situazione per certi versi nuova, tanto per il personaggio quanto per lo spettatore. Di interessante c’è anche Sakaar, il pianeta discarica su cui Thor, Loki, ed Hulk si troveranno dispersi; tecnologicamente avanzatissimo, e capace, attraverso quella tecnologia, di soggiogare persino un dio, Sakaar diventa il teatro per lo scontro più atteso di sempre per lo spettatore, quello tra Hulk e Thor, ed attorno a cui si è – evidentemente – creata molta dell’attesa del film. Infine c’è il tema del Ragnarok, della fine di tutte le cose. Un evento la cui portata nel MCU non può essere ignorata, e che promette di creare uno sconvolgimento notevole, quanto meno se si considera quello che potrebbe essere il destino dei suoi numerosissimi abitanti tra cui, ovviamente, non mancano delle divinità.
Il problema, dunque, non sono i filoni che il film sceglie di percorrere, che sono anzi tutti stuzzicanti ed appetitosi, ed in cui si mescola più o meno arditamente la sorte di un altro fondamentale personaggio di Asgard, e l’arrivo di uno di quei rari “villain con uno scopo”, che certo non abbondano nel MCU. Il problema è il modo in cui i temi vengono trattati, il carattere forzatamente easy con cui si sceglie di affrontarli e, non ultimo, lo stile frettoloso e quasi raffazzonato con cui le diverse anime del film vengono prima messe in piedi, e poi forzatamente assemblate.
Thor: Ragnarok è insomma un guazzabuglio, come per altro sarà evidente dai continui cambi stilistici che lo script compie. Lo schema, in fondo, è abbastanza riconoscibile: scena seria, interrotta non si sa perché da un siparietto comico, poi messo da parte da una certa epicità, poi da un momento introspettivo e/o assolutamente verboso, e poi di nuovo da capo, in un ciclo continuo che va avanti così dalla prima scena, sublimato dal finale che, in tal senso, da il meglio di sé. Sembra quasi, per certi versi, che il regista sia rimasto affascinato da due opere a dir poco seminali, come Flash Gordon e Kung Fury, due icone del trash cinematografico, entrambe messe in piedi per ricalcare, scimmiottare, e se vogliamo prendere in giro determinati filoni del cinema di genere. Il punto è che se Flash Gordon, nel suo tentativo di autorialità, ha guadagnato carisma nella sua strada verso il cult (stesso percorso, per altro condiviso, da altra “robetta” come Grosso Guaio a China Town), e se Kung Fury andava invece verso il cinema di genere proponendosi, dalle origini, come un cult dall’animo molto urbano, Thor: Ragnarok finisce solo per essere una baracconata al neon, incapace di riunire le sue stratificazioni in un prodotto che sia anche solo lontanamente organico.
Il film infatti sceglie di ricordarsi sporadicamente di quelli che sono i suoi intenti, finendo per buttare tutti gli ingredienti messi in scena in un calderone ribollente, il cui risultato è un film che ha capo e coda, ma al cui centro ci sono così tante situazioni incollate, da creare un sentore di forzatura notevole. L’idea con cui si esce dalla sala è che ci fossero due film distinti: uno ambientato su Sakaar, e probabilmente concentrato su Hulk, e uno su Thor e sulla fine del suo mondo. Questi due principali filoni narrativi sono stati qui uniti e incollati a forza, creando situazioni che spesso hanno del paradossale e che si risolvono in modi goffi e raffazzonati, come se tutto dovesse per forza correre in una direzione imposta dallo script, piuttosto che seguire una qualche forma di logica. Siamo su di un terreno pericoloso, su cui per altro si scontrano anche tantissimi personaggi noti e tantissime new entry. I primi glissati nell’arco di pochissimi minuti, i secondi spiegati brevemente e, talvolta, in modo volutamente superficiale, o per lo più utilizzati per un siparietto comico.
Il problema fondamentale è insomma il binomio creato dalla sceneggiatura e dal montaggio, creando un film la cui unica soluzione di continuità è lo stesso Thor, per altro forse l’unico personaggio noto a schermo a non aver subito un trattamento depersonalizzante. Loki e Bruce Banner/Hulk, ad esempio, escono dal film completamente snaturati. Il primo è ormai una vera e propria macchietta del MCU, ed è lontanissimo dal raffinato villain che ci era stato proposto in occasione del primo Avengers, il secondo è nulla più che l’esagerazione continua di quello che era l’Hulk, violento ma perspicace, che aveva occasionalmente creato situazioni parodistiche assieme al Tonante e tant’è che la sua forma umana, Bruce Banner, è agli antipodi dal complesso, per quanto poco loquace, personaggio a cui ci eravamo abituati nei vari blocchi Avengers. Per il resto il film non riesce a far incontrare dignitosamente le sue due anime, quella relativa all’universo galattico ereditato dai Guardiani della Galassia, e quella più autenticamente epica tipica del racconto asgardiano. Ci prova, mescola i personaggi, cerca di farci comprendere che nell’universo Marvel è tutto connesso, è tutto parte di un unicum, ma non ci riesce ed anzi finisce per essere anche in questo caso un miscuglio di immagini, talvolta estrapolate dall’immaginario di Gunn e dei suoi Guardiani, altre volte da Star Wars (da cui eredita, per altro, un gusto quanto meno bizzarro per il trucco e la costumistica aliena), altre volte ancora da quello che è l’epos norreno, dalla cui eredità riprende una certa fascinazione per l’arte pittorica ottocentesca e successiva, con fermoimmagine che paiono estrapolati dai dipinti di Maud e di Arbo, ed a cui contrappone l’anima più autenticamente pop del suo regista, che si diverte a citare (forse non proprio volutamente) “robetta” come Doom, Street Fighter e Capitan Harlock in quello che è un rimando continuo all’estetica fluo ormai saldamente legata al gusto amarcord per gli anni ’80.
Oltre ciò, oltre alla sua talvolta bellissima messa in scena, Thor: Ragnarok semplicemente zoppica, si perde in chiacchiere inutili, cerca la battuta facile che sì, fa ridere, ma in fondo è una tantum in mezzo ad innumerevoli altre battutine. Waititi scimmiotta Gunn, ma non ha la stessa visione d’insieme, non è evidentemente a suo agio con i personaggi e finisce per fare il verso al padre dei Guardiani forse più per richiesta dall’alto che per reale necessità. Attaccare al proprio film neon e astronavi perché sono “la moda vincente” di una parte del filone Marvel, e richiamare ancor più forte quell’eredità per mezzo di tracce storiche come Immigrant Song (perché oh, lo fanno i Guardiani, allora facciamolo pure noi) crea situazioni interessanti ma che a differenza degli stra citati GdG non riescono a trovare lo stesso equilibrio, lo stesso bilanciamento, la stessa “classe” se vogliamo. La crasi tra il mondo futurista di Sakaar, la musica anni ’80, i dipinti ottocenteschi e la più deliziosa fascinazione per il mito norreno insomma non funziona, e le diverse anime di Ragnarok non riescono a fondersi adeguatamente, lasciando che il film si adagi sulle sue tante battutine, sui suoi tanti personaggi, e sui tanti giocattolosi riferimenti anni ’80 che stanno messi lì perché “fa figo”, cercando di mascherare la reale natura teen di un film che, più di tutti gli altri nel MCU sembra fatto e confezionato per un pubblico estremamente giovane.
A margine, ma giusto perché questo sito si chiama Stay Nerd chiudiamo dicendovi che: Sakaar non ha il fascino e il senso dell’omonima Sakaar della BELLISSIMA run fumettistica di Planet Hulk. Ed anzi non potremmo essere più lontani di così da Planet Hulk. Lo stesso Hulk non ha quel momento di interiorità e crescita che dovrebbe avere, e pur riassettandosi come un personaggio completamente nuovo, finisce per essere un enorme e fortissimo “what if” dei Goonies (titolo: “e se Super Sloth avesse ottenuto i poteri di Hulk?”). I Fratelli di Guerra, qui ridotti ai soli Miek e Korg (interpretato dallo stesso regista) sono messi lì giusto per reference. Surtur è un potentissimo idiota. Il Ragnarok promessoci è la scialba versione di un altissimo momento fumettistico della vita del Tonante ed è qui giusto un escamotage narrativo. Manca Sif e non si a il perché. I Tre Guerrieri sono trattati in modo indegno. In generale ogni riferimento alle opere fumettistiche è dentro al calderone per il semplice motivo che questo è un film Marvel e nulla più. Da qualche parte si cita Beta Ray Bill, ma purtroppo non lo vedremo mai. Sì, il film si collega, in fin dei conti, al resto della storia che porterà a Infinity War. Sì ci sono due scene post crediti, come da recente tradizione la seconda è inutile. Jeff Goldblum è in stato di grazia.
Verdetto
Thor: Ragnarok è un film diviso tra la psidechelia degli anni ’80 (ed in parte ’70), la fascinazione per il cinema fantascientifico in stile Lucas, e il più ovvio gusto per il mito norreno e la sua cosmogonia. Taika Waititi avrà forse raggiunto il suo scopo: ossia quello di creare un film completamente diverso da qualunque altro film Marvel precedete a questo, scollando quasi del tutto i suoi personaggi dall’ormai ingombrante MCU, il punto è che per quanto l’obiettivo in sé sia raggiunto, questo non declama automaticamente il successo dell’opera. Nel suo essere verboso, spesso senza senso, a tratti divertente, ma per lo più quasi fastidioso, Thor: Ragnarok finisce per essere un filmetto chiassoso e superficiale, che trova il suo senso solo quando i personaggi a schermo se le danno di santa ragione, il che buttatto in ben 2 ore e 10 di film non è il massimo della vita. Per il resto ha l’encomiabile primato di essere il più brutto film spaziale della serie Marvel, il più brutto film legato ai personaggi di Thor e Hulk, e persino il film meno funzionale di tutti. L’unico retaggio concessogli è quello di creare uno stravolgimento enorme nella “lore” asgardiana, ma considerato quanto era stato messo su nei film precedenti, specie nel secondo, e quanto Asgard fosse la parte meno masticabile e aderente al resto del quadro del MCU (ormai pesantemente spostatosi verso lo spazio profondo), questo stravolgimento era diventato non solo auspicabile, ma quasi obbligato. In sintesi diremmo questo: è stato bello vedere Flash Gordon da bambini, elevarlo alla forma di cult, e vantarsi di averlo visto con gli amici. Ma era quanto mai implausibile mettere su un Flash Gordon dei tempi moderni, tant’è che nessuno ci aveva ancora provato. Quel qualcuno oggi è arrivato, e il Thor di Waititi altro non è che il Flash Gordon de noartri che, per forza di cose, non poteva andare bene. Magari domani sarà un cult. Ma domani.