Dungeon Crawling in salsa greca

Siamo nell’ormai remoto 2006, il segno lasciato dall’incredibile successo di Diablo II nel mondo dei videogiochi è più che evidente e tutti gli appassionati sono in trepidante attesa di un suo seguito, che purtroppo arriverà solo diversi anni dopo. In questo “periodo storico” dell’industria fa capolino una giovanissima software house che, tentando di accaparrarsi i suddetti aficionados del dungeon crawling più selvaggio, pubblica un titolo che sembra la perfetta fusione tra due dei videogame più apprezzati: le meccaniche di Diablo si allontanano dal gotico dark e abbracciano le soleggiate colline della Grecia antica, ricordando così tanto una mappa a caso di Age of Empires. La giovanissima casa è la Iron Lore Entertainment (poi divenuta Crate Entertainment, potete leggere la recensione della loro ultima opera, Grim Dawn) e la vicinanza all’ambientazione di Age of Empires è dovuta proprio alla partecipazione di uno dei suoi creatori, Brian Sullivan, all’interno del progetto. Nasce così Titan Quest, GDR d’azione in visuale isometrica, vero e proprio seguito spirituale della serie Diablo, che vede il giocatore calato in un epico viaggio che attraversa Grecia antica, Egitto ed Oriente, in quanto chiamato ad affrontare mostri mitologici di ogni tipo comparsi in seguito ad una perturbazione nella comunicazione tra esseri mortali e Dei.

Ben 10 anni dopo il titolo viene travolto dall’operazione riciclo del mercato videoludico con l’Anniversary Edition, venendo tirato a lucido con un remaster che ne migliora texture e include l’espansione Immortal Throne, uscita nel frattempo.

Dopo questo breve ma necessario excursus, torniamo nel 2018, nel presente: Titan Quest fa la sua comparsa su PS4 e Xbox One, venendo addirittura annunciato per Switch a data da destinarsi.

L’arte del riproporsi

Com’è dunque il buon, vecchio Titan Quest su di un televisore Full HD/4K, controller alla mano? Partiamo subito col dire che parliamo di un gioco di 12 anni fa, il lavoro di rimaneggiamento delle texture riesce a rendere gli scorci quantomeno osservabili sui gargantueschi pannelli di oggi, seppur con qualche inspiegabile rallentamento e singhiozzo dell’engine di gioco, come piccoli caricamenti nascosti tra un’area e l’altra che letteralmente freezano il gioco ogni volta che li si attraversa. Si passa da colline erbose a zone marittime circondate dalla macchia mediterranea, pullulanti di centauri arcieri e arpie fameliche, fino ad arrivare alla sabbia dell’Egitto o a grotte ricolme di insetti rivoltanti. L’utilizzo di una grafica, seppur stilizzata, offre al gioco una buona differenziazione di località in cui sconfiggere mostri per salire di livello. Non vi sono chissà che particolari e l’effetto Age of Empires anche nella staticità delle mappe è sempre dietro l’angolo. Parliamo di corridoi, raramente intervallati da bivi che portano a forzieri contenenti monete sonanti o prezioso loot. Ma si sa, il genere del Dungeon Crawler non ha mai brillato per varietà, si affrontano nemici di difficoltà sempre maggiore per aumentare di livello, sbloccare nuove skill, aumentare le caratteristiche del nostro personaggio, sperando di trovare equipaggiamento sempre più performante tra le carcasse degli avversari appena abbattuti. E va bene così, Titan Quest ne è il più limpido esempio ed è un bene che non sia cambiato su questo versante: se trovate il tutto noioso o ripetitivo, semplicemente non è il genere adatto a voi. Parlando delle cutscene, un tempo probabilmente avanguardia della tecnica, fanno tenerezza per quanto concerne le animazioni e dettaglio, risultando a volte con una risoluzione inspiegabilmente più bassa rispetto al resto del gioco. Insomma, gli sviluppatori hanno cercato con ogni mezzo possibile di rimasterizzare un gioco di 12 anni fa, purtroppo con scarsi risultati. Apprezzabile il tentativo di traslare un gameplay fortemente legato a mouse e tastiera su console, ma anche qui i risultati sono altalenanti.

Abbiamo una mappatura abbastanza ragionata, che permette di navigare nei menù abbastanza agilmente, di utilizzare velocemente pozioni di salute e mana con una semplice pressione degli analogici o di utilizzare una skill o un’incantesimo tramite una ruota attivabile con la croce direzionale. Diversamente, in combattimento il sistema di agganciamento automatico dei bersagli funziona pessimamente: se su PC bastava passare il puntatore sul nemico e agganciarlo con un click, su console il gioco tenta da solo di bersagliare il nemico, solitamente quello più vicino, finendo spesso in tilt e agganciando in rapida successione 3 o 4 nemici, invece di focalizzarsi su di uno e poi passare al successivo. Il team di sviluppo ha probabilmente notato questa problematica, inserendo un cono di visione che si attiva tenendo premuto il pulsante di attacco e, bloccando il personaggio sul posto, permette di decidere chi attaccare. Tutto molto bello, se non fosse che questa meccanica funziona ancora peggio della precedente, con la selezione manuale spesso imprecisa, che costringe il giocatore a restare fermo sul posto, creando spesso inspiegabili effetti di input lag, anche di qualche secondo, una volta disattivata. Poco riuscita anche la gestione del loot, che è in fin dei conti il vero fulcro dell’opera. Come tipico nel genere, nemici o gli scrigni sparsi per le aree di gioco rilasciano quantità industriali di oggetti a terra, in buona parte solitamente ciarpame utile solo ad essere rivenduto ai commercianti che si possono trovare nelle poche, sparute città del gioco. Poiché il gioco ha un sistema di inventario a slot, che tiene conto in maniera ferrea dello spazio, spesso il giocatore si vede costretto a fare una cernita del loot, lasciando a terra quelli più inutili e tenendo solo i più performanti e/o costosi. Impresa letteralmente titanica controller alla mano, poiché gli unici due modi sono o sperare che il target automatico di cui sopra evidenzi l’oggetto che vogliamo raccogliere, o tenere premuto il pulsante di raccolta del loot, che farà comparire un menù con la lista di tutti gli oggetti nelle vicinanze del giocatore. Altra terribile complicazione che su PC era facilitata dal cursore del mouse certo, ma forse una delle poche vere soluzioni al problema.

Da zero a eroe

Parliamo del vero cuore del gioco: la progressione. Si tratta del più classico sistema a livelli, con una barra mostra i nostri punti esperienza raccolti uccidendo mostri o completando missioni che i personaggi ci offriranno nel corso della partita. Niente di incredibilmente innovativo sulle missioni: breve dialogo che spiega cosa dovremo fare e perché, obbiettivo che spesso riguarda lo sterminio di mostri o la ricerca di un oggetto o una persona, ritorno al mandante per racimolare la ricompensa, solitamente di punti esperienza e monete sonanti. Completata la barra il livello del nostro personaggio aumenta, concedendoci di aumentare i punteggi caratteristica come Forza, Intelligenza, Destrezza che vanno a definire i parametri come l’attacco fisico, quello a distanza l’utilizzo di magia o la difesa ai danni. Piccola diversificazione sul genere riguarda il sistema di classi. Diversamente dal selezionare una classe, in Titan Quest selezioneremo delle mastery, in sostanza specializzazioni che a loro volta si suddividono in alberi delle abilità. A seconda di quanti punti spenderemo in esse avremo accesso a poteri e abilità sempre di livello maggiore. Per ogni personaggio le mastery selezionabili saranno due, ottenute progredendo con i livelli. Le mastery variano per utilizzo: abbiamo quelle basate sull’attacco a distanza con arco come Hunting, quelle basate sull’utilizzo di trappole e sotterfugi come Rogue, fino a quelle magiche specializzate nell’utilizzo di incantesimi di danno, di supporto (utili in multiplayer) o perfino di evocazione, le quali permettono di richiamare aiutanti che combatteranno con noi. Compresa nel remaster vi è la mastery Dream, facente parte della prima espansione del gioco, qui integrata nella versione base. E sì, abbiamo parlato di “prima” espansione poiché l’anno scorso gli sviluppatori hanno rilasciato a sorpresa una seconda espansione: Titan Quest Ragnarok, purtroppo però non presente e probabilmente rilasciata furbescamente come DLC più avanti. Importantissimo elemento è anche l’equipaggiamento di gioco, suddiviso in vari colori a seconda della potenza.

Armi ed armature rispecchiano il periodo storico, con lance, scudi, accette, elmi, pettorine e bastoni magici, non aspettatevi armi laser insomma. Armature e armi donano abilità aggiuntive o aumentano le caratteristiche del personaggio man mano che aumentano di potenza, richiedendo però anche un certo livello o un valore di caratteristica per essere usate. Insomma, è difficile che un mago riuscirà a brandire un’”ascia del massacro”, com’è giusto che sia. A completare il corollario del loot equipaggiabile abbiamo anelli e gioielli che potenzieranno ulteriormente il personaggio, oltre a particolari oggetti recuperabili dai mostri, che potranno essere combinati con i pezzi di equipaggiamento per donare ulteriori potenziamenti o per essere combinati tra loro da un personaggio presente in alcune città per creare gioielli e amuleti potenti.

Come si diceva, il gioco è affrontabile in multiplayer, purtroppo solamente online. La mancanza di un multiplayer locale, com’è per Diablo, sarebbe stato un ottimo incentivo per recuperare il titolo e giocare fianco a fianco ad un proprio fidato compagno. Ed è un peccato perché, seppur vecchio e legnoso, resta sempre il dungeon crawler vecchia maniera quasi totalmente scomparso nel mercato di oggi. Da notare anche la mancanza di vere e proprie opzioni di personalizzazione, che siano semplici opzioni per l’interfaccia di gioco o mappatura dei tasti, fino ad una personalizzazione fisica del nostro avatar, le uniche scelte possibili sono infatti il sesso alla creazione personaggio e la possibilità di colorare l’equipaggiamento con oggetti acquistabili dai commercianti.

Verdetto

Titan Quest riporta ai giorni nostri la sensazione di progressione continua che i dungeon crawler offrivano più di dieci anni fa, portandosi però dietro anche tutte le problematiche dello scorso decennio. Il tentativo degli sviluppatori di portare un genere così difficilmente trasportabile su console è ammirevole, ma non riuscito del tutto. Il gioco è e resta spartano (gioco di parole) in ogni sua forma, nonostante lievi migliorie soprattutto grafiche. Gli errori purtroppo ci sono e sono inspiegabilmente grossolani, come la mancata ottimizzazione dell’engine che spesse volte procede a singhiozzi, la riduzione all’osso di opzioni disponibili, la mancata integrazione di un multiplayer locale o dell’ultima espansione disponibile. Un’opera vistosamente raffazzonata, che non rende minimamente giustizia ad un assuefacente videogame di un’epoca, a questo punto evidentemente, passata.

 

 

Gianluca Boi
Recensore seriale, blogger, giocatore di ruolo decennale, hardcore gamer, groupie di Alan Moore. Amante dei Souls, di Castlevania e di Banjo-Kazooie e fanboy di Jet Set Radio. Ha visto Matrix almeno 42 volte, segue il wrestling ed è fissato con lo studio della musica tutta, con una piccola predilezione per gli Ulver, i Fair To Midland e le OST. Nasconde purtroppo un terribile segreto: non sa proprio come leggere gli orologi con le lancette (non scherzo).