Alla scoperta di Tiziano Sclavi
Chi è Tiziano Sclavi? La maggior parte di noi lo conosce come il padre di Dylan Dog, dell’indagatore dell’incubo diventato simbolo della rivoluzione dei costumi in atto in pieni anni ’80 nella filiera d’oro del fumetto italiano, l’icona di una intera decade fatta di paure e orrori.
Eppure Sclavi non è solo questo… È molto, molto di più: è tutti i suoi mostri, come dice lui stesso. E prima che i mostri iniziassero a divorare intere pagine inchiostrate di Dylan Dog, tra le nebbie della pianura lombarda che si confondono con i fumi della metropoli londinese, Sclavi impara a gestirli ed ammaestrarli con altri medium: le canzoni, i romanzi, i racconti, i western, le poesie e le ballate, i libri per bambini.
Legato a doppio filo a quel decennio strambo e pieno di terrore che sono gli anni ‘80, Roberto Recchioni, attuale curatore editoriale di Dylan Dog, lo descrive come figlio stesso di tutto il male di quel periodo e parla dei suoi personaggi come “portatori sani della poetica del perdente”, poi perfettamente incarnata dal grunge negli anni ‘90.
Artista poliedrico, cantore del mistero della morte e dell’amore, la cui produzione è un vaso di Pandora da dove scappano continuamente demoni ed incubi, risultato degli esorcismi sulle sue paure, sul buio e sull’angoscia che Tiziano Sclavi si è preso sulle spalle per “liberarne inconsapevolmente i lettori”, come spesso dice Bianca Pitzorno.
“Nella vita che cosa mi fa paura? Tutto.”
Nato in provincia di Pavia, classe 1953, Tiziano Sclavi è un bambino che legge, legge in modo vorace, arrivando ad ingurgitare a 7 anni tutta la produzione di Edgar Allan Poe, che riproietta in quella landa desolata che è il suo paese natìo, Broni, in quell’oltrepò nebuloso e solitario che diventa scenografia costante del suo immaginario. Le strade, i personaggi, il linguaggio, le prime esperienze con quello che crede essere il paranormale vengono collezionati in quell’arcipelago di comuni della provincia pavese, in cui è obbligato a fare la spola per via del lavoro dei genitori. Come spesso accade in chi ha la passione della lettura, questa ben presto si trasforma in urgenza di scrittura: alle medie vince il primo premio ad un concorso per ragazzi per i racconti intitolati “Storie storte”, e viene pubblicato il racconto “Lettere bianche” su un rivista per le scuole del circondario. Egli racconta come il professore di italiano, chiamato affettuosamente “il Muggia”, sia stato il suo primo sostenitore e come lo abbia iniziato alla lettura di Buzzati, vero e proprio idolo letterario (forse l’unico italiano, insieme a Dante Alighieri) di Tiziano Sclavi. Nel corso delle poche interviste rilasciate, infatti, ha sempre sostenuto di disprezzare la narrativa italiana e di aver letto sostanzialmente solo autori stranieri, fatta eccezione per i classici. Classico è anche il liceo in cui si iscrive a Pavia, città in cui comincia a collaborare con Grazia Nidasio e Mino Milani a Il Messaggero dei ragazzi e al Corriere dei Piccoli, per poi trasferirsi a Milano ed iniziare a lavorare per il Corriere dei Ragazzi.
I primi lavori di Tiziano Sclavi
Dopo aver provato a frequentare il corso universitario in Lettere moderne, lascia l’Università per dedicarsi a tempo pieno al lavoro: viene pubblicata una serie di racconti polizieschi sul Corriere dei ragazzi a firma Francesco Argento, pseudonimo scelto da Sclavi con l’intento di rendere omaggio al cantautore Guccini ed al regista Dario Argento. Vengono pubblicati anche una serie di racconti sul Corriere dei Piccoli il cui protagonista era Jaques Mystère, poi raccolti e ripubblicati anche da Mondadori, e a cui Castelli si ispirerà per il suo Martin Mystère, omaggiando il personaggio di Sclavi con lo stesso modus operandi caro all’autore.
L’amicizia con Alfredo Castelli sarà il basso continuo delle diverse collaborazioni di Tiziano Sclavi: si conoscono negli anni ‘70, perché entrambi erano soliti frequentare il Salone dei Comics di Lucca, attirati dall’arte del fumetto e inconsapevoli del fatto che ne avrebbero fatto la storia. Lavorano insieme alle prime stesure de Gli aristocratici, grazie all’intermediazione della Nidasio, fan della prima ora del giovane Tiziano Sclavi.
Contemporaneamente inizia a creare i primi personaggi, sempre sgangherati e sempre investigatori, ma stavolta americani: si tratta di Altai & Jonson, disegnati dal maestro Giorgio Cavazzano, un poliziesco in cui la coppia di protagonisti sconfigge sempre il cattivo di turno, in storie brevi e che mettono in evidenza buona parte dei nuclei tematici sclaviani. Assolutamente da recuperare se non li avete letti, sono stati ripubblicati più volte da Edizioni BD, Montego ed Editoriale Cosmo.
Il primo romanzo breve, Film, arriva a metà degli anni ‘70 e vincerà il premio Scanno. Sono già chiari gli intenti dello scrittore di unire i suoi generi preferiti di sempre, in un continuo circolo di citazioni, un amalgama di surrealismo e grottesco che Umberto Eco più tardi definirà la vena di “sgangherabilità” delle storie inventate dallo scrittore.
Uno degli ingredienti fondamentali della suddetta sgangherabilità è sicuramente l’ironia cinica, lo humour al limite tra disperazione, angoscia e la risata nervosa davanti al dramma e alla morte che diventa cifra stilistica di tutti i personaggi e le narrazioni di Sclavi. In questo periodo, tramite la rubrica Sotto Sopra nel Corriere dei Ragazzi e la rubrica tenuta su Amica, affina questa inclinazione al demenziale e al paradosso riconoscibilissima e che troverà poi la massima evoluzione nei romanzi, nei racconti ma soprattutto nel personaggio di Groucho.
Negli stessi anni, conosce Raffaele Crovi, prima agente e poi editore stesso dei libri dello scrittore, che in quel periodo cura una collana di gialli in cui vede la luce “Un sogno di sangue”, prima prova di romanzo giallo per Campironi. Sull’onda positiva di questa pubblicazione, dedica più tempo alla scrittura narrativa, ultimando diversi racconti e romanzi che rimarranno però inediti per diverso tempo, fino a quando il successo di Dylan non diventerà un ottimo trampolino di lancio per farli conoscere al grande pubblico.
Negli ultimi ‘70, dalla penna di Sclavi, sul Corriere dei Piccoli fanno il loro esordio personaggi come Jonny Bassotto e il Cavallino Michele, oltre che racconti gialli, di avventura e di fantascienza. Nel 1981 avviene un altro degli incontri fondamentali della carriera di Sclavi: conosce Sergio Bonelli e Decio Canzio e inizia la collaborazione con Cepim, uno dei marchi della futura Sergio Bonelli Editore. Qui, tra il lavoro di correttore di bozze e sceneggiatore per diverse testate tra cui Mister No, Zagor e Ken Parker, crea anche un suo personaggio: Kerry il trapper, in cui l’autore comincia a giocare con il genere horror e a dare le prime pennellate di quello che diventerà poi lo scheletro narrativo di Dylan Dog.
Tiziano Sclavi e le narrazioni del paradosso
“Intanto il Corriere della Sera era passato alla Rizzoli e c’era stata la faccenda della Pidue. Non mi andava più di stare in quell’ambiente, e così ho chiesto alla Bonelli se volevano dare rifugio politico a un povero redattore profugo, e nell’81 mi hanno assunto. L’atmosfera era familiare, si lavorava bene, con passione, con amore. Dopo l’esperienza della rivista Pilot, Canzio e Bonelli hanno deciso di tornare agli albi tradizionali, Tex in testa, e magari di creare qualche serie nuova. Io ho proposto la mia, che si chiamava Dylan Dog e che è stata accettata. Era l’85, un anno dopo usciva il primo numero. Nel frattempo ho fatto un sacco di altre cose, tra cui parecchi romanzi, molti dei quali hanno provocato, quando sono stati pubblicati, un’esplosione di indifferenza totale.”
Gli anni ‘80 sono quelli in cui viene consacrato Dylan Dog come serie di culto italiana e, contemporaneamente, i romanzi escono nel disinteresse generale pubblico che tuttavia rimane ammaliato dall’indagatore più famoso dei fumetti. Per un attimo si palesa la possibilità di essere edito da Einaudi, grazie al consiglio di Natalia Ginzburg, ma Calvino si dice non convinto e la possibilità sfuma nell’immediato.
Solo alla fine degli ‘80, grazie all’idea di Raffele Crovi di creare la casa editrice Camunia, escono i romanzi scritti negli anni precedenti: Tre (il romanzo proposto dalla Ginzburg a Einaudi), Dellamorte Dellamore (da cui poi verrà tratto il film di Soavi con Rupert Everett – attore che ha ispirato le fattezze di Dylan), Sogni di sangue (una riedizione modificata dei racconti già pubblicati in Sogno di sangue), Apocalisse (versione definitiva del precedente Guerre terrestri), Mostri, La circolazione del sangue e Nero.
Nero è forse una delle opere che più rispecchia lo Sclavi scrittore di romanzi e racconti, a partire dalla copertina: il disegno di una valigia da cui spunta una mano tumefatta che scopriamo poi essere il pezzo del cadavere nascosto all’interno e che appare e scompare all’interno del libro. Divenuto introvabile nel tempo, l’edizione Camunia è, con un po’ di fortuna, rintracciabile in mercatini dell’usato e vecchie biblioteche e si tratta di un piccolo tesoro da acciuffare se vi capita fra le mani.
Purtroppo la pubblicazione di Nero e degli altri romanzi e racconti non avrà molto successo, e il fallimento di queste prime prove rende Sclavi estremamente riluttante all’idea di continuare la sua carriera di romanziere.
A testimoniare l’urgenza viscerale di scrittura che non sente esaurirsi con la creazione e le sceneggiature di Dylan Dog, Sclavi si rivolge ad un altro tipo di pubblico che sente forse più vicino al suo io adulto abitato dai fantasmi: i bambini. Sono di questo periodo i libri per bambini scritti per la casa editrice La Coccinella, che lasciano spazio all’immaginazione, alla fantasia non costretta dai paletti dei generi, alla fiducia dei sensi tipica dell’infanzia. Animate dalla stessa fantasia senza freni, ma più paradossali, sono invece le storie a puntate di Roy Mann, disegnate da Attilio Micheluzzi, ed ispirato ad uno dei romanzi di Fredric Brown (Assurdo universo), tra gli autori preferiti di Sclavi. Roy Mann è uno sceneggiatore di fumetti newyorchese che si ritrova in un mondo parallelo, un mix di mondi di sua invenzione, a causa di un buco spaziotemporale ricreato dallo scoppio della sua caffettiera: cinesi che parlano il napoletano, macchine volanti, nuvole di cotone, principesse e cattivi. Si tratta di un lavoro che contiene moltissime citazioni letterarie, ma anche cinematografiche e musicali, spia del grande amore e passione che Sclavi nutre per queste due arti.
Intervistato sulle sue pubblicazioni extra dylaniane, arriva però addirittura a sentenziare che tutto ciò che aveva scritto poteva tranquillamente essere bruciato e tacciato come piccoli errori di gioventù.
Per nostra fortuna, non tutti la pensano così e, all’alba degli anni ‘90, viene pubblicata un’altra raccolta di racconti, per Giunti, dal titolo “Le etichette delle camicie”, che si distacca da quanto scritto sinora: si tratta di una commedia, à la Woody Allen, in cui diversi personaggi bizzarri si alternano davanti alla lente d’ingrandimento che è la scrittura di Tiziano Sclavi, capace di ritrarre ogni individuo nella sua misera umanità e fare comunque sorridere e ridere di un riso catartico che, per lui, è il migliore antidoto alle paure. Dal titolo, che porta le mani del lettore a soddisfare il prurito dato dall’etichetta che sfrega sulla nuca, è evidente come il libro sia in larga parte un elenco di tic nervosi e verbali dei personaggi, in cui le storie ed i drammi quotidiani vengono snocciolati attraverso un linguaggio febbrile, nervoso ma scorrevole, in cui la nevrosi convive placidamente col quotidiano e si frena ad un passo della psicosi.
Il libro viene letto da Fruttero che convince l’autore a collaborare con Mondadori e ripubblicare non solo Le etichette delle camicie ma, con la collana degli Oscar, anche tutti gli altri già pubblicati.
Nel 1998 viene pubblicato, sempre per Mondadori, Non è successo niente, il primo romanzo non dichiaratamente autobiografico ma in cui l’autore racconta le vite di chi ha a che fare, in prima persona, con la vita redazionale ed editoriale. Ciò che si intuisce è che chi lavora in questi contesti non ha vita facile, sempre costretto com’è a scendere a compromessi tra la creatività, le scadenze e le necessità economiche e quotidiane. Protagonisti diversi uomini che potremmo far corrispondere a diverse fasi o aspetti della vita dello scrittore stesso:Tiz è uno sceneggiatore insoddisfatto, Tommaso un autore di fumetti che ha avuto successo ma dipendente dall’alcool, Cohan è uno scrittore depresso; tutti uomini che soffrono l’orrore del quotidiano, che collezionano psicopatologie, nevrosi, fobie, dipendenze. Ma, contemporaneamente, storie di risalita il cui traino è sempre rappresentato dall’altra metà della mela, dalla persona che si sceglie di avere vicino per la vita e che rappresenta lo specchio stregato attraverso cui poter ricevere la realtà trasfigurata in meraviglia.
Dopo aver annunciato nuovamente il suo ritiro dalle scene, nel 2006, esce il suo ultimo libro, Il tornado di Valle Scuropasso, un romanzo in cui viene fuori l’amore dello scrittore per il paranormale e in particolare per l’unica forma di paranormale per lui esistente: gli ufo. Ancora una volta, il personaggio principale è un personaggio disturbato, alcolista e traboccante di paranoie e traumi. Attraverso una narrazione fatta di brevi frasi spezzate, come un sovrapporsi di pensieri paranoici, osserviamo dal punto di vista di questo personaggio, il continuo ripresentarsi di situazioni atipiche, episodi strani che lo rendono ancora più sospettoso e che ci risucchiano nel vortice del racconto, breve ma lucido, intenso, ironico, come il miglior Sclavi.
La musica e la presa in giro della morte di Tiziano Sclavi
Insieme alla letteratura ed al cinema, c’è un’altra grande passione di cui Sclavi non ha mai fatto segreto, ed è quella per la musica, in particolare per la scrittura di canzoni.
Oltre ad essere uno dei suoi esperimenti stilistici forse più riusciti, sembra essere il solo dove è stato capace di convogliare tutto il suo estro creativo e la passione per le rime senza limiti di sorta. Un esempio lampante è Nel Buio, uno dei suoi successi più celebri nel campo. Nel buio è, a prima vista, una raccolta di poesie, ma Sclavi ci tiene subito a precisare: le sue non sono poesie, ma componimenti, ballate che nascono per la musica, alcune possono esser lette come filastrocche o fiabe. Uscito nel 1993, si tratta probabilmente della produzione più sincera ed autentica dello scrittore che, senza fronzoli, denuda la realtà e ce la riporta sotto forma beffarda di filastrocca o di componimento musicale: la morte compare negli incubi di bambini, adolescenti ed adulti, con la solita pernacchia insolente. Inquietudine, amore, fragilità, meraviglia, bellezza, morte, monotonia, abitudine, buio e luce sono tematiche presentate tramite componimenti diversi, a volte frammenti a volte ballate, che si infilano precisamente, come una stilettata al centro del petto, nelle intercapedini del quotidiano, regalando finalmente una boccata d’aria fresca a tutti noi uomini-pesci boccheggianti.
Questi componimenti pensati per la musica sono stati poi effettivamente musicati. Tiziano Cantatore, nel suo disco È sparita l’orsa maggiore (1978), ha musicato due testi ripresi da Nel buio: Sotto il segno della volpe e I miei sette figli.
Mentre un altro progetto musicale, di cui Nel buio è totalmente protagonista, è Ballate della notte scura che vede i Secondamarea (Andrea Biscaro e Ilaria Becchino) alla musica e alle voci e le matite di Max Casilini per i disegni.
Si tratta di un progetto, edito da Squilibri nel 2003, in cui le 16 liriche di Sclavi, racchiuse nel libro e nel cd, vengono riportate in musica, tramite atmosfere noir che sembrano nascere direttamente dalla fantasia dell’autore, il brodo primordiale in cui muovono i primi passi gli incubi e le paure che danzano, da sempre e come sempre, nell’anima tormentata di questo autore eclettico e poco conosciuto se non sotto il profilo dylaniano.
Tiziano Sclavi: oltre Dylan Dog
Con questo piccolo excursus sulle avventure delle pagine sclaviane extra Dylan Dog, speriamo di avervi fatto venire l’acquolina in bocca. Lo Sclavi meno conosciuto è anche quello più intimo, che non ha paura di parlare ai lettori di se stesso, senza indossare la maschera dell’indagatore dell’incubo che lo ha reso celeberrimo.
Vi lasciamo con alcune righe tratte da una ballata scritta per Nel buio, con l’augurio che, non la bellezza salvi il mondo, ma la capacità di ridere dell’orrore paralizzante provocato dalla vita stessa.
“Questa è la ballata della città di notte,
del tempo che non passa e del buio che ti inghiotte,
di ladri,di assassini e di altri tipi strani,
di angoscia e di paura che non venga più un domani.
Questa è una ballata di illusioni e di realtà,
di incubi,di sogni,di menzogne e verità,
è il lungo lungo viaggio per giungere al mattino,
attraverso i disegni tracciati dal destino.
Questa è la ballata della notte che c’è ancora,
del buio che non molla il passo alla luce dell’ aurora,
e ancora si divertono l’oscurità e la sorte
a giocare una partita con la vita e con la morte.
Questa è la ballata della notte che è finita,
del sole che ritorna sulla morte e sulla vita
e i ladri ,gli assassini e gli altri tipi strani.
sembrano svaniti nella luce del domani.
Ma ci saranno altri pericoli ed altri scherzi del destino
nel lungo lungo viaggio per giungere al mattino,
incubi,sogni,menzogne e verità
e questa è la ballata della notte che verrà”.