La recente attenzione a problemi legati ai disturbi alimentari ha portato anche a una maggiore cura del trattamento di questi temi al cinema e in TV, sebbene non sia così facile
arei qualsiasi cosa. Non volevo assolutamente che la scena fosse ritoccata o edulcorata in alcun modo. Ma non sono riuscita a vomitare nel film, anche quando avrei dovuto davvero farlo. Sono stata malissimo per non essere riuscita a dare di stomaco a comando”.
Parla così Kristen Stewart in un’intervista a Vanity Fair, circa il suo ruolo da protagonista in Spencer, in cui ha interpretato appunto Lady D e in cui affiora il tema della bulimia. Un tema molto delicato, per il quale la Stewart era seriamente preoccupata per il modo in cui questo venisse fuori, augurandosi che non fosse sottovalutato o trascurato, cosa peraltro non sempre perfettamente riuscita su grande e piccolo schermo.
Il cinema e la TV hanno infatti affrontato a più riprese argomenti legati ai disturbi alimentari, in tutte le sue forme, ma come per come altri temi o problematicità è solo di recente che si è provato a dargli maggiore profondità e attenzione, il che ha corrisposto a un incremento, seppur chiaramente contenuto, di opere che hanno trattato direttamente o indirettamente (vedi Spencer) il tema, con una cura certosina e tesa anche a ricordarci che, al contrario di quanto dannosi stereotipi vorrebbero far credere, non solo le donne soffrono di questi problemi.
Le stime indicano infatti che 10 milioni di uomini e 20 milioni di donne soffrano di un disturbo del comportamento alimentare (DCA), e in molti casi si tratta di situazioni persino pericolose per la vita, come anoressia, o appunto la bulimia nervosa, richiedendo necessariamente attenzioni mediche e trattamenti specifici.
Fino a qualche anno fa queste tematiche venivano lasciate principalmente a documentari ad hoc, ma immagino che tutti ricorderete il pur controverso film Netflix del 2017 To The Bone, diretto da Marti Noxon, in cui il ruolo della protagonista Eli, vittima dell’anoressia, fu interpretato da Lily Collins, un’attrice che ha realmente sofferto nella sua vita di disturbi del comportamento alimentare, e proprio per questo è riuscita a dar vita ad una performance estremamente realistica, in grado di arrivare con facilità al cuore dello spettatore.
Nella conferenza tenuta al Sundance Film Festival 2017, Lily Collins raccontò proprio questo complicato capitolo della sua vita, sostenendo che molte giovani donne soffrono di questi disturbi ma purtroppo se ne vergognano, sbagliando. To the bone invita proprio a capire che tali comportamenti non definiscono chi sei, ma riguardano solo le esperienze che hai avuto. “Condividere pubblicamente i racconti dei disturbi alimentari – afferma decisa la Collins – è stata una delle esperienze più soddisfacenti di tutta la mia vita”.
Ma prima di To the bone, dicevamo, diversi documentari trattarono con dovizia questo spinoso tema, come ad esempio appena un anno prima fece Thin (2016) di Laure Greenfield, basato sull’omonimo libro, e che ci portò direttamente all’interno del Renfrew Center in Florida, ovvero quello che viene considerato come il miglior centro di trattamento per casi estremi di disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati (in inglese definiti EDNOS), che ci fa però scoprire un’amara verità: tra le persone “pro-ana” (ovvero a favore dell’anoressia) andare a Renfrew purtroppo è visto come uno status symbol.
In Thin seguiamo questi pazienti, alle prese coi loro problemi di alimentazione e le inevitabili e conseguenti comorbilità, attraverso un documentario senza dubbio complesso da guardare e da metabolizzare, similmente alle immagini dei nudi emaciati di Isabelle Caro, protagonista invece della sua raccolta di interviste FEMMEfille. Lei è stata il volto noto della campagna NO-Anorexia in Europa, ma questo male silenzioso purtroppo se l’è portata via qualche anno fa. Come è accaduto anche ad Emma Caris, protagonista del docufilm Emma Wants to Live, e realmente sofferente di anoressia nervosa.
Oltre i sopraccitati stereotipi provò ad andare Thinspiration (Starving in Suburbia), un film del 2014 diretto da Tara Miele, in cui Laura Slade Wiggins si cala nei panni di Hannah, adolescente con una passione per la danza che, alla ricerca di quella che ritiene essere la forma fisica perfetta, finisce sotto scacco dell’anoressia, ma in cui vediamo anche personaggi di sesso maschile ritrovarsi vittime di questi problemi.
Problemi che vanno oltre il mainstrem
La maggior parte dei film dedicati temi del genere, come avrete ben compreso, non sembrano adatti al grande pubblico e per questo rischiano di perdersi in una nicchia, che li va a ricercare soltanto per determinate ragioni.
È molto più facile invece, soprattutto di recente, che tali argomenti affiorino a contorno di storie il cui core sia altro, come appunto per Spencer di Pablo Larraìn, ma anche in questi casi è sempre importante occuparsene nel modo corretto.
Certo, anche in passato ci siamo imbattuti, sebbene sporadicamente, in film che hanno tentato di sensibilizzare sul tema utilizzando il grande schermo e cast di livello, come ad esempio Ragazze interrotte (Girl, Interrupted), dell’ormai lontano 1999. La pellicola di James Mangold, con Winona Ryder e Angelina Jolie, è l’adattamento del diario di Susanna Kaysen La ragazza interrotta, e ha cercato di affrontare con delicatezza un argomento così difficile mantenendo i canoni del prodotto hollywoodiano, fatto di scorrevolezza ma purtroppo di uno scarso realismo.
È infatti molto facile per le grandi produzioni scadere nella trappola del sensazionalismo, ma quando si ha a che fare con questi argomenti diventa fondamentale una narrazione realistica e attenta, per evitare di trasmettere i messaggi in modo sbagliato o inefficace, che è un po’ quello a cui faceva riferimento la Stewart.
La pandemia di Covid-19 peraltro sembra aver portato un aumento dei disordini alimentari tra i giovani, con dati di incrementi stimati intorno al 30%, il che non fa che confermare la necessità di rappresentazioni veritiere e curate nei dettagli.
Ovviamente è impossibile coprire ogni prospettiva, ma evitare gli stereotipi e una concreta attenzione al problema magari può in minima parte contribuire ad aiutare chi soffre di disturbi del comportamento alimentare, o quantomeno far sì che vengano trattati con rispetto e nel modo corretto.