Perché vedere a Natale Tokyo Godfathers, un capolavoro che unisce Oriente e Occidente
In Giappone il Natale non è sentito come da noi, questo è innegabile. I negozi sono aperti e le persone vanno a lavorare come se fosse un giorno qualunque, poiché il 25 dicembre non è festa nazionale. Questo però non vieta ai cittadini del Sol Levante di concedersi un po’ di quella magia che ogni anno noi aspettiamo con ansia: le luminarie invadono le strade, gli alberi vengono addobbati a festa e gli esercizi commerciali iniziano un mese prima a vendere decorazioni e gadget a tema. È ambientato proprio alla vigilia di Natale Tokyo Godfathers, uno dei capolavori del maestro dell’animazione nipponica Kon Satoshi.
Sebbene Oriente e Occidente possano sembrare molto lontane nella cultura e nelle usanze, il regista riesce a farli coesistere in armonia in questa pellicola, con una magia degna del Natale. Ecco un piccolo approfondimento, nonché un consiglio per passare una bella serata sotto le coperte con la neve che imbianca il paesaggio fuori dalla finestra.
Tokyo Godfathers e Natale: le tradizioni giapponesi
Prima di parlare di Tokyo Godfathers è interessante approfondire le tradizioni nipponiche per quanto riguarda il periodo natalizio. Questo ci consentirà più avanti di capire meglio la grandezza dell’operazione di Kon Satoshi, che è riuscito a unire le anime di Oriente e Occidente.
Il Natale come festa degli innamorati
Come da tradizione giapponese, il Natale di Tokyo Godfathers non celebra la nascita di Gesù come vorrebbe la dottrina religiosa occidentale. Nella terra del Sol Levante i cristiani sono una piccola minoranza (4% della popolazione totale), decisamente non sufficiente a rendere il 25 dicembre una festa nazionale. Dopo una normale giornata di lavoro, quindi, il momento clou diventa la serata del 24, in cui gli innamorati si ritrovano per mangiare qualcosa insieme o trascorrere ore spensierate al bowling o al cinema. Il Natale non è dunque una festa dedicata alla famiglia e ai parenti come da noi, a eccezione dei genitori giovani con bambini piccoli, gli unici a scambiarsi regali. In definitiva il Natale nipponico è molto più simile al nostro San Valentino.
Natale in Giappone: cosa si mangia?
Nel Natale di Tokyo Godfathers si possono scorgere diverse tradizioni mangerecce dei Giapponesi, che come noi occidentali sono disposti a concedersi qualche strappo ipercalorico alla regola durante la festa. Nonostante alcune coppiette continuino a tenere viva la tradizione che li porta al ristorante italiano o a quello francese, il vero must per una tipica vigilia nipponica è mangiare del buon pollo fritto. Fu di Okawara Takeshi, storico manager di un KFC appena arrivato nel Sol Levante, l’idea di introdurre un menù su misura per Natale. Era il 1970, ma una campagna di marketing semplicemente perfetta e reiterata negli anni ha portato il pollo fritto al rango di tradizione: oggi bisogna prenotare il proprio secchiello un mese prima per sperare di non stare in coda tutta la notte!
Dopo il salato, il dolce. In Giappone non c’è Natale senza Christmas Cake, una torta di pan di spagna condita con fragole e altre decorazioni zuccherose. Un dolce semplice ma pregno di significato: nel dopoguerra manicaretti del genere erano appannaggio esclusivo degli Americani, ma la ripresa economica ha fatto sì che i Giapponesi potessero tornare ad assaporarli. Bianca e rossa come la bandiera, la Christmas Cake popola i banconi delle pasticcerie della Vigilia, per poi essere svenduta a prezzi stracciati il giorno dopo.
Tokyo Godfathers e Natale: punti d’incontro tra Oriente e Occidente
La religione
Il punto di vista occidentale sul Natale è pesantemente condizionato dalla religione cristiana, come molti altri aspetti della vita. In Giappone, terra da sempre pregna di spiritualità e filosofia, il concetto stesso di religione si distanzia notevolmente dal nostro per forme di culto, credenze e persino obiettivi. Kon Satoshi, tuttavia, trova nella sua opera diversi punti d’incontro tra queste due realtà che sembrano così lontane. Il Natale di Tokyo Godfathers ha molto di cristiano, in quanto la vicenda inizia nello stesso modo: con una nascita miracolosa. I tre protagonisti, dei barboni che sembrano aver perso qualsiasi ragione per continuare a vivere, trovano una neonata in mezzo ai rifiuti e prendersi cura di lei gli dona nuovamente un obiettivo.
L’avvento della bimba segna per Hana, Gin e Miyuki il principio di qualcosa di nuovo, una sorta di Nuovo Testamento dopo l’Esodo dalle routine e dalle responsabilità rappresentato dalla vita per strada.
Uno dei compiti principali delle religioni, nonché uno degli aspetti in cui forse le credenze di Oriente e Occidente si avvicinano di più, è di svelare all’uomo la verità. Vedere Tokyo Godfathers a Natale significa sperimentare l’importanza che un singolo evento fortuito (si legga: miracoloso) può assumere nella vita di un individuo. I tre protagonisti evitano la verità, fuggono da realtà scomode che li hanno condizionati, si raccontano bugie sul proprio passato e finiscono per crederci. Poi però la ricerca dei veri genitori della neonata li porta ad affrontare i fantasmi, a ricominciare a lottare, a ricostruire la vita pezzo per pezzo, senza scartarne nessuno. La piccola Kiyoko, come Gesù secondo la religione cristiana, è una luce che riporta i personaggi sulla giusta via alla ricerca della verità.
La famiglia
Abbiamo visto che per i Giapponesi il Natale è più che altro una festa degli innamorati, che mette la famiglia in secondo piano, in controtendenza rispetto a quello occidentale. Il Natale di Tokyo Godfathers, però, torna a insistere molto sul concetto, soprattutto nella sua accezione di luogo fondamentale di formazione dell’identità. Kon Satoshi non è estraneo alla psicanalisi, punto fermo di tutti i suoi film, e anche qui riesce a costruire una vicenda capace di raccontare l’importanza della famiglia attraverso il contrasto che ciascun personaggio vive con essa. Hana è un travestito, ovvero l’emarginato per eccellenza, sogna di essere donna e madre e tutti i giorni deve lottare contro i pregiudizi e gli sguardi storti della gente.
La sua famiglia è il personale dell’Angel Tower, un locale popolato da persone come lui. Gin è un ubriacone che ormai non ricorda quanto tempo sia passato da quando è diventato un senzatetto. La moglie e il figlio sono lontani, forse morti, ma non sembra importargliene granché. Inutile dire che l’avvento della bimba cambia tutto per lui come per Miyuki, in rotta con il padre a causa di un terribile litigio terminato nel sangue. La famiglia è quindi centrale in Tokyo Godfathers, che ne utilizza appieno le potenzialità narrative.
Tokyo Godfathers e Natale: un binomio collaudato da molti predecessori
Per quanto sia di valore e assolutamente azzeccata, vedere Tokyo Godfathers a Natale non è una scelta nuova. Non lo era nemmeno nel 2003, quando è uscito. La pellicola di Kon Satoshi, infatti, si ispira a un’opera le cui radici scavano molto in profondità, arrivando addirittura all’inizio del Novecento. La storia originale risale al 1913 ed è narrata nel romanzo I tre padrini di Peter B. Kyne: tre fuorilegge del vecchio West, fuggiti nel deserto dopo una rapina, trovano una giovane donna che partorisce prima di morire e decidono di prendersi cura della neonata.
La prima trasposizione cinematografica è un caposaldo del cinema muto intitolato Marked Men (1919), ma la più famosa è In nome di Dio di John Ford (1948). Nel mezzo, altri cinque lungometraggi più o meno simili. Sebbene le differenze di ambientazione siano evidenti, lo è altrettanto l’universalità dei personaggi che la popolano. I fuorilegge, così come i barboni, sono emarginati, scarti della società che vivono alla giornata rifiutando ogni responsabilità. La neonata piomba nelle loro vite come un tornado, guidandoli verso la redenzione.
Come sottolineato dal titolo, però, Kon Satoshi rende il setting più centrale rispetto ai predecessori. Tokyo è protagonista delle vicende narrate con la sua bellezza dolce e allo stesso tempo algida, con la sua gente piena di entusiasmo ma intransigente nei confronti di chi non lavora o vive al di fuori della società. Le luminarie, invece, trattano tutti allo stesso modo, illuminando ugualmente le vite “giuste” e quelle “sbagliate”, con tutte le sfumature e le complessità che portano con sé.
Vedere Tokyo Godfathers a Natale è una scelta perfetta. Chi cerca una storia semplicemente tenera in cui i buoni sentimenti, una volta tanto, vengono premiati, può trovare soddisfazione. Chi invece vuole godersi un’epopea psicologica densa di riferimenti e di spunti di riflessione, anche.