L’importanza del caso Tomodachi Life
Ci sono medium che si evolvono in maniera quasi naturale, interiorizzando concetti che fanno parte della quotidianità, e ce ne sono altri, invece, il cui cammino è molto più duro e il cui conseguimento di un traguardo culturale avviene dopo anni, decenni… o magari può anche non avvenire mai. I videogame, in tal senso, sono da sempre un mezzo di comunicazione sfigato, in quanto la loro potente capacità comunicativa è spesso messa a freno dal taglio della critica o della censura o, ancora peggio, dalle mani degli stessi sviluppatori, concentrati a mantenere intatta l’apparenza della casa per cui lavorano, o incapaci di osare quel tanto che basta affinché possa avvenire una qualche forma di rivoluzione concettuale e culturale. La cosa non meraviglia, perché a differenza forse del cinema, fruito dalle persone sotto forma di “massa” rinchiusa nella stessa sala, il videogioco è un qualcosa di privato, ad uso e consumo del singolo, che potrà anche bearsene con qualcuno, ma che fondamentalmente lo comprerà per sé stesso e basta. Forse è questa la caratteristica che impedisce che certe tematiche siano sdoganate con facilità (e soprattutto con maturità), poiché su tale meccaniche non c’è controllo di distribuzione e un prodotto +18 può finire nelle mani di un ragazzino che lo infilerà nel vano disco con un ghigno da genio del male. Premesso che la vita, una volta, insegnava a questi fottuti ragazzini cose pure peggiori, e che forse ci siamo tutti un po’ rammolliti, si capisce comunque la necessità di generare contenuti ad hoc per i diversi fruitori. Lo si capisce in un senso però, con una spinta verso il basso (e non il basso ventre), ma non lo si capisce adeguatamente verso l’alto, generando pochi contenuti all’altezza di utenti maturi e stagionati. Nintendo è una di quelle che i contenuti ad hoc, squisitamente sorridenti come il sole dei Teletubbies, se li è quasi inventati e che, come Disney, sa generare una categoria di prodotti “family friendly” e solo raramente sa osare di più. Non per pigrizia, ma per filosofia e che sia chiaro a tutti gli haters sin da subito. Che i media subiscano il taglio della censura non è storia (e controversia) di oggi, ma piuttosto un fatto radicato nel tempo e, purtroppo, parte integrante della nostra benpensante società. Lo spunto, la riflessione di oggi, arriva dopo le recenti controversie relative a Tomodachi Life, “life simulator” partorito in casa Nintendo per il suo 3DS e già disponibile da un mesetto o giù di lì. Come funziona? In pratica Nintendo ha pensato di dare un senso ai suoi piuttosto inutili Mii, disegnando per loro un’isola su misura, Tomodachi per l’appunto, in cui gli utenti possono imbastire una vita digitale sullo stile, seppur semplificato, di prodotti come The Sims. La polemica è semplice: nel gioco non è possibile imbastire relazioni sentimentali tra personaggi dello stesso sesso e, pertanto, nel mondo perfetto di Nintendo una relazione amorosa può verificarsi solo tra uomo e donna. Non ci è voluto molto perché la comunità omosessuale si indignasse e perché Nintendo, il cui tatto è rimasto fermo agli anni ’70, rispondesse in modo laconico ma forse non proprio vincente. Come che sia fa molto sorridere l’atteggiamento avuto dalla casa di Kyoto nell’arco delle ultime 48 ore, tanto che le dichiarazioni suonano quasi come un pugno diritto nello stomaco.. non il nostro, quello della dirigenza, che pare svegliatasi d’improvviso nel bel mezzo del 2014, dopo un sonno comatoso di quasi trent’anni.
All’inizio, infatti, la casa di Kyoto aveva ribadito la sua volontà di lasciare il gioco così com’è, in quanto esso non rispecchia la realtà ma solo “un mondo alternativo e stravagante”. Senza voler per forza sottolineare che un mondo idealizzato, per Nintendo, sarebbe senza rapporti gay, i critici hanno comunque storto il naso, in quanto la manovra sembra più dettata da un qualche spirito di conservazione atto a preservare il grosso del pubblico, piuttosto che avvicinarsi più coerentemente a quello che è il variegatissimo mondo moderno. Qualche testa deve essere rotolata per questo, tant’è che poco più che un giorno dopo Nintendo ha ritrattato scusandosi con tutti e annunciando che, semmai ci sarà un sequel di Tomodachi Life, si svilupperà cosicché ci sia maggiore apertura verso tutte le altre categorie di giocatori, creando un prodotto più “inclusivo” e senza limiti. Siamo un attimo onesti: Tomodachi Life è un giochillo del cazzo. Divertente e spensierato, ma che ben presto potrebbe venire alla noia a molti (come tutti i benedetti The Sims), ma questo è un segnale forte per il settore, ed è interessante che la questione scoppi proprio in casa Nintendo. È importante perché c’è la possibilità che questa “rivolta digitale” apra gli occhi ai team di sviluppo su quello che è lo spettro della realtà, molto differente dal loro mondo idealizzato e farlocco. Sono passati gli anni del NES (da un pezzo) ed ora non sono più solo i ragazzini a giocare alle console, e pertanto il player medio (la cui età sale verso i 30 andanti) desidera ardentemente contenuti che si avvicinino alla realtà, anche attraverso la finzione (e la minzione). In secundis, e qui parliamo di Nintendo, è un colpo alla casa giapponese, ormai con una filosofia palesemente lontana dalle necessità del pubblico… e lo dicono le vendite. Facile dire “Wii U è una merda”, ma non è scontato scoprirne le motivazioni. La casa di Kyoto non sembra in grado di ritornare ai fasti dell’epoca del Samurai e forse una figuraccia così sonora, infertagli proprio da quei giocatori che la seguono (perché è dai giocatori che è partita la petizione per Tomodachi, e non certo dalla critica), potrebbe essere quella sveglia sonora di cui c’è bisogno per riallacciarsi con la realtà. Nintendo, proprio lei, che aveva intuito la necessità di avvicinare videogame e famiglie, è rimasta vittima della sua stessa vetusta ideologia, incapace di rincorrere le generazioni che con lei sono cresciute e in lei hanno investito passione, tempo e denaro. Mario è un’icona intoccabile, ma forse, dopo oltre due decenni di gusci e funghetti, i giocatori sulla soglia dei 40 sentono, giustamente, il bisogno di avere di più. Non per un sotteso e malcelato narcisismo, non per protagonismo, ma per semplice ed essenziale biologia: le persone crescono, e con loro esigenze, necessità, sessualità e taboo. Una volta Nintendo lo sapeva bene oggi… oggi ben che ci vada possiamo finalmente controllare Cranky Kong. Sipario.