Toy Story 4: il nuovo film Pixar è in grado di rinnovarsi, emozionare e impartire insegnamenti
A distanza di nove anni dal terzo capitolo e ventiquattro dal primo film, uno dei più grandi franchise Pixar torna sul grande schermo con Toy Story 4, la cui direzione viene affidata all’eccezionale animatore Josh Cooley. Diverse ambientazioni e nuovi interessanti personaggi, a cui si aggiungono ovviamente i soliti Woody, Buzz, Jessie e tutti gli altri, ora nella casa della nuova padroncina Bonnie, che ha vecchi e nuovi giocattoli e si appresta ad intraprendere una delicata fase della vita da bambina, ovvero l’inserimento nell’asilo.
È proprio qui che Bonnie creerà dal nulla, o meglio dalla spazzatura, un qualcosa che prenderà vita e diventerà un giocattolo, un cucchiaio-forchetta usa e getta che chiamerà Forky, il quale però inizialmente cercherà di tornare alla sua “vecchia vita”, mentre Woody sarà costretto a staccarsi dai suoi amici per partire all’inseguimento del bislacco utensile, finendo catapultato in un’avventura piena di ostacoli e colpi di scena in cui ritroverà vecchi amici e ne conoscerà di nuovi.
Tra innovazione e nostalgia
Il principale dubbio prima della visione di Toy Story 4 era costituito dalla capacità o meno del film di rinnovarsi e non risultare una mera copia delle precedenti pellicole del franchise: vi diciamo subito che riesce a distaccarsene senza grossi problemi.
Toy Story 4 è una inaspettata ventata di freschezza, un film che sa giocare con la nostalgia pur mostrando una storia totalmente nuova e personaggi innovativi e interessanti, ma soprattutto indovinati.
L’intuizione di inserire un elemento come Forky, con le sue titubanze, le sue mille domande e la sua ingenuità e purezza è assolutamente geniale, ed il solo fatto di aver dato vita ed emozioni ad un cucchiaio-forchetta dimostra le abilità di casa Pixar; ma anche la piccolissima spalla di Bo Peep, ovvero Giggle McDimples è un’innovazione brillante e intelligente, così come la bambola del negozio di antiquariato, Gabby Gabby. Quest’ultima rivela una doppia natura, fondamentalmente dettata dal desiderio di tutti i giocattoli, cioè quello di essere amato da un bambino, ma è proprio con questo nuovo personaggio che Cooley e soci inseriscono anche le prime, lievi sfumature dark al franchise, ammiccando quasi a Piccoli Brividi.
Inoltre, visto che il girl power ultimamente costituisce una componente fondamentale di molti film, Toy Story 4 non vuole essere da meno e il modo in cui, da una parte e dall’altra, Gabby Gabby e Bo Peep (insieme alla sua spalla Giggle) prendono in mano la situazione assume dei connotati simbolici. La prima è alla ricerca di una nuova vita, l’altra l’ha già trovata, e la rigenerata identità di un personaggio finora marginale come Bo Peep è proprio l’emblema di un franchise in continua evoluzione e capace di regalarci sempre sorprese, come la sorprendente scelta di relegare per la prima volta Woody ad un ruolo per certi versi secondario, pur continuando a suo modo ad esser protagonista nel film più corale dell’intera saga.
Tutti i nuovi innesti, del resto, portano in dote qualità eccezionali, ed è impossibile non apprezzare lo stuntman acrobatico Duke Caboom o i due fantastici peluche, Ducky e Bunnie. Ogni personaggio ha un proprio background, che nonostante venga solamente accennato, si dimostra solido e in grado di dare tangibili personalità ai giocattoli, al punto che quasi ognuno di loro meriterebbe uno spin-off.
Toy Story 4: l’importanza delle emozioni
Questo capitolo definisce aspetti rimasti in sospeso, e gioca molto sulle emozioni accompagnando – in pieno stile Pixar – le lacrime di chi sa commuoversi più facilmente, anche grazie alle pungenti musiche del maestro Randy Newman, che scandiscono i vari passaggi del film, rinvigorendo il concetto dell’importanza dei giocattoli per i bambini. Sono per loro dei compagni, degli amici sinceri e fedeli, e ad essi saranno per sempre legati alcuni dei ricordi della loro esistenza, diventando i perfetti contenitori delle loro emozioni.
Ma le emozioni che scandaglia Toy Story 4 sono anche quelle dei giocattoli, usati ancora una volta come importanti strumenti allegorici, e non a caso stavolta molti dei protagonisti che esplicitano i propri sentimenti hanno sembianze davvero umane, come la stessa Bo Peep o Woody, ma anche i nuovi Duke Caboom e Gabby Gabby.
Entrano in gioco tematiche come l’appartenenza ad un bambino, quindi ad una persona, e per estensione ad un luogo, e lo vediamo sia nei gesti del neonato Forky che all’inizio fa di tutto per tornare in un posto all’apparenza terribile come il secchio della spazzatura, ma in cui si sente a casa, mentre è terrorizzato da ciò che è nuovo e non conosce.
E poi c’è il concetto di obiettivo, di finalità della propria esistenza. Woody sente di non avere più nessuno scopo, e si dà da fare in ogni modo per trovarne uno e portarlo a compimento, nascondendo il suo sconforto dietro tutto questo; ma Toy Story ci ricorda che nella vita ci sono delle fasi, e tutte iniziano e arrivano inevitabilmente ad una fine.
Non ha senso continuare ad andare in una direzione quando la strada è ormai sbarrata, perché la felicità può arrivare da persone o cose inaspettate, e persino da un secchio della spazzatura può nascere un giocattolo in grado di restituire gioia e serenità ad un bambino.