Una realtà fatta finzione

Alle volte il destino sembra usare una perversa ironia nello scegliere alcuni eventi. Di certo il fatto che la seconda stagione di Tredici – 13 Reasons Why abbia fatto il suo debutto su Netflix lo stesso giorno in cui in una scuola texana un ragazzo di 17 anni, apparentemente inserito, ha compiuto una strage, uccidendo dieci compagni, ha in sé qualcosa di macabro e inquietante.

Il dibattito sulla scuola del Secolo XXI sembra destinato a protrarsi a lungo, negli Stati Uniti come in Italia, dove la figura del professore appare ormai priva di quell’autorevolezza che un tempo ne ammantava la professione. Il tutto dovuto anche a un probabile fallimento nella mura domestiche, dove spesso si rifiuta di vedere il proprio figlio per quello che è, cercando di intervenire per impedire certi comportamenti, privando di significato quella che dovrebbe essere l’alleanza tra scuola e famiglia.

E la seconda stagione di 13 parla esattamente di tutto questo: bullismo e suicidio, come già avevamo visto lo scorso anno con la morte di Hannah Baker e la sua tragica decisione documentata dalle cassette, ma parla anche di famiglia, di professori incapaci di prendere posizione contro il malessere della scuola, sottomissione a un ambiente tossico e reazioni, talvolta, estreme e tragiche.

Se già con la prima stagione questa serie, ispirata al romanzo di Jay Asher, si era distinta per le tematiche attuali e difficili da digerire, la volontà degli sceneggiatori sembra ora essere quella di alzare il tiro. Mostrare ancora meglio e svelare i complessi rapporti di quel mondo nel mondo che è la scuola, una parodia della vita e della società dove giustizia e meritocrazia non esistono. Un inferno che assume, per ogni persona, un carattere personale e profondamente differente.

Impresa non facile e per nulla scontata: in fondo il romanzo è stato raccontato, e ora, nella seconda stagione, sono pochissimi i fatti rimasti in sospeso e tutto sommato trascurabili.
Una difficile eredità da gestire, compito a cui è chiamato a rispondere Brian Yorkey, sceneggiatore della serie.

https://www.youtube.com/watch?v=iSRjDDVLnCI

Hannah la bugiarda?

Alla fine della prima stagione di Tredici i presupposti per poter tornare alla Liberty High School non sembravano essere molti. Dopotutto era stato trasposto tutto ciò che l’autore del romanzo aveva raccontato nella sua opera, quindi il compito della serie pareva essere ormai concluso.

Clay Jensen aveva svelato la realtà sul suicidio di Hannah, così i suoi genitori avevano intentato causa alla scuola e il suo violentatore, Bryce, sembrava destinato a fare i conti con la legge. Insomma tutto lasciava presagire che la vita per gli altri sarebbe continuata senza troppi patemi. Invece, complice l’enorme successo della prima stagione, eccoci qui ad affrontarne una seconda.

Sono passati cinque mesi dal suicidio di Hannah e Clay sembra aver voltato pagina, iniziando una relazione con Skye, vecchia amica d’infanzia. Sembra.

La notizia che, dopo mesi in cui il patteggiamento appariva certo, i genitori di Hannah abbiano deciso di fare causa alla scuola, coglie impreparato il giovane Clay, che improvvisamente comincia a vedere la ragazza defunta dappertutto, iniziando anche delle lunghe e drammatiche conversazioni con lei. Il tutto mentre qualcuno mette nella sua cassetta delle foto scattate con una polaroid che mostrano Bryce e altri atleti della Liberty High intenti a violentare delle ragazze, rivelando un pozzo nero di misfatti che supera persino le violenze subite da Hannah e Jessica.

La nuova impostazione della seconda stagione di Tredici si prefigge così di miscelare diversi livelli narrativi, qualcosa che vada ben oltre il racconto fatto da Hannah e i postumi del suo suicidio come visto nella precedente stagione.

Abbiamo quindi il processo, in cui vengono coinvolti uno alla volta i vari protagonisti della precedente stagione, ma soprattutto ci sono le storie che alcuni di loro stanno vivendo dopo i fatti avvenuti. Assistiamo così al ritorno di Jessica e Alex a scuola, la prima dopo aver elaborato la violenza subita e il secondo dopo essersi ripreso dal tentato suicidio; alla spirale distruttiva di Tyler e a quella autodistruttiva di Justin; ai rimorsi di Zach, costretto a continuare una strana amicizia con Bryce e, infine, ai tentativi di Clay di comprendere quello che gli sta succedendo, tra le polaroid e un processo dove la principale linea della difesa scolastica è quella di screditare la figura di Hannah.

In effetti il dubbio è lecito: nella scorsa stagione abbiamo assistito alla versione di Hannah, messa in discussione da diversi personaggi da lei accusati. In un caso particolare il dubbio che la ragazza non stesse dicendo l’intera verità è stato concreto. La domanda perciò appare legittima: quanto di ciò che ha raccontato Hannah corrisponde al vero?

Ognuno sembra pronto a fornire una propria verità, tra chi ammette le proprie colpe, chi mente sotto giuramento e chi rivela qualche piccolo particolare in più di quanto successo nei mesi precedenti l’insano gesto della ragazza. La cosa, ovviamente, si riflette anche sull’ambiente scolastico, dove tutti entrano in uno stato di guerra dichiarato, complicato da Clay che poco alla volta scopre la verità sulle polaroid che gli sono state consegnate.

La scelta diventa perciò quella di impostare la serie in maniera non dissimile da quanto fatto nella precedente stagione, sostituendo al racconto di Hannah registrato sulle cassette le deposizioni delle persone chiamate a testimoniare in tribunale, durante le quali emergono nuovi fatti sulla vita della giovane Baker.

Se, tutto sommato, l’idea di mostrare parte dei fatti precedenti sotto una nuova luce potrebbe apparire interessante, l’intera gestione della cosa presenta due grossi difetti.

Il primo è quello di dare una forte sensazione di deja-vu allo spettatore. I temi trattati sono gli stessi, in fondo: il bullismo, le violenze, le droghe e il perbenismo di chi cerca di nascondere tutto sotto il tappeto per evitare che la scuola e altre personalità importanti vengano coinvolte in una faccenda sempre più torbida. Niente che non si sia già visto nella prima stagione. E, purtroppo, niente che non sia stato trattato in maniera abbastanza originale da permettere allo spettatore di provare la medesima sensazione di novità che aveva sperimentato un anno fa. Il grosso difetto di questa seconda stagione risiede tutto qui: nella sostanziale incapacità di rinnovare lo show, portando in scena gli stessi concetti, tentando in maniera molto timida di fornire loro un’impalcatura che sia realmente nuova. Nel racconto degli imputati ci troviamo perciò a rivivere più o meno quanto abbiamo già visto in precedenza, in maniera approfondita ma tutto sommato inutile e, anzi, talvolta dannosa.

Sì, perché è qui che emerge la seconda grande pecca dello show: alcune delle ricostruzioni fatte qui sembrano sconfessare i racconti di Hannah, facendo apparire la violenza subita e la mancanza di aiuto da parte della scuola solo come una parte, alla fine minore, della scelta di porre fine alla sua vita. C’è sempre il dramma, il dolore e l’umiliazione per l’abuso subito, ma a questo si aggiunge un contesto familiare infelice che fa sembrare anche i genitori colpevoli del gesto estremo compiuto dalla ragazza.

E questo, oltre a cozzare violentemente con quanto narrato nel libro (benvenuto nel club, mister Asher) finisce per intaccare anche il ricordo della precedente stagione. A un lavoro praticamente perfetto, capace di far ignorare alcune pecche non certo di secondaria importanza (come un cast non sempre all’altezza di quanto inscenato) è seguito uno show decisamente inferiore, che cerca di emulare nelle modalità il proprio predecessore senza riuscirci.

Sembra, insomma, che il grande incubo paventato dai fan quando fu annunciata la seconda stagione si sia concretizzato: orfana del soggetto di Jay Asher, Tredici inizia a imbarcare acqua. Parecchia.

Un punto e una virgola

Alla luce di quanto abbiamo narrato fin qui si potrebbe pensare che questa seconda stagione di Tredici sia un prodotto assolutamente mediocre, noioso e da evitare. La realtà è che non per tutti gli spettatore potrebbe essere così.

Il racconto, nonostante delle evidenti lacune e qualche plot hole sparso qua e là (a chi stai mandando quelle foto, Hannah?) riesce comunque a scorrere via abbastanza bene. La curiosità c’è, gli episodi si fanno guardare e tutto sommato la noia sembra restare alla porta, anche se la sensazione è quella di una spada di Damocle pronta a crollare e trafiggerci il cranio durante la visione.

In un paio di casi si è anche cercato, nel riproporre le tematiche della stagione scorsa, di fare qualcosa in più. Due timidi tentativi che trovano corpo nella figura della madre di Bryce, consapevole di aver generato un mostro ma incapace di denunciare il figlio per quello che è, e nel maggior risalto dato al ruolo del consulente scolastico Kevin Porter, pentito per la sua incapacità nel dare aiuto ad Hannah e sinceramente sconvolto da quanto successo.

Per il resto questa nuova stagione di Tredici sembra distinguersi per una mancanza di coraggio e di scelte discutibili. Un esempio, nel primo caso, è quello di non aver sfruttato appieno alcuni eventi che avrebbero potuto costituire uno spunto interessante (come il tentato suicidio di Alex); nel secondo si parla di messe in scena non proprio convincenti (era davvero necessario sfruttare le allucinazioni “fantasmino” di Clay per dare maggiore minutaggio a Katherine Langford?).

Inoltre la lentezza con cui emerge quello che dovrebbe essere il tema portante di questa stagione, le fotografie, è snervante, completamente diverso dall’incalzante ritmo delle cassette della stagione precedente. Non siamo ancora di fronte all’attesa di un evento lontano e quasi impercettibile, ma si tratta comunque di qualcosa con cui fare i conti.

Siamo insomma a cospetto di un lavoro che sicuramente lascerà l’amaro in bocca a chi si aspettava una conferma o un miglioramento della serie che, pur nella sua incapacità di innovarsi, è ancora in grado di trattare argomenti estremamente delicati in maniera cruda (talvolta, come nel finale di stagione, troppo cruda) e realistica, almeno finché non sceglie di ammiccare un po’ troppo verso il pubblico di teenager.

A questo si aggiunge un altro problema non da poco: l’intenzione sembra essere quella di procedere con una terza stagione, concludendo i fatti narrati fin qui con un cliffhanger di cui, ancora una volta, non sentivamo la necessità.

tredici stagione 2 recensione

Verdetto


La seconda stagione di Tredici si rivela un’occasione mancata. Non siamo di fronte a uno show brutto o inguardabile, ma poco o niente di quello che ci viene mostrato in questa seconda parte degli eventi della Liberty High School appare incisivo e fresco come nella prima stagione. Il tentativo di ripetere il modus operandi che ne aveva decretato il successo, risulta maldestro, dando meno motivi agli spettatori per continuare a seguire la vicenda. Tuttavia la noia non sembra ancora subentrare nello show, donando ancora lo stimolo allo spettatore di seguire la vicenda, se non altro nella speranza che accada qualcosa a risollevare la narrazione.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.