Da quando è iniziata la 79esima edizione della Festa del Cinema di Venezia, uno dei temi più dibattuti riguarda la presenza sul red carpet degli influencer, che ben poco hanno a che vedere col cinema
’era una volta un tempo in cui ai Festival del Cinema partecipavano registi, attori, sceneggiatori e addetti ai lavori. Da un po’ di anni a questa parte, purtroppo, le cose non stanno più così e le kermesse cinematografiche, in primis quelle nostrane, vedono sfilare sul red carpet una schiera di personaggi che con la settima arte hanno poco, o meglio niente, a che fare.
Il caso più emblematico è quello degli influencer, molti dei quali o delle quali manifestanti una perfetta ignoranza nel settore, eppure invitati a far parte di queste prestigiose rassegne, mettendosi in bella mostra sul tappeto rosso.
Venezia 79, strettamente al passo coi tempi, è stata esattamente questo: una sfilata di influencer e personaggi fuori contesto, che spesso hanno anche il saccente ardire di dire la loro, su quanto visto.
Del resto, chi scrive di cinema da un bel po’ ha notato questo cambiamento persino nel contesto delle anteprime stampa canoniche, dove spesso sono invitati bloggaroli o personaggi noti dei social, tuttologi nel campo dell’entertainment, pronti poi – post visione – a scrivere 4 righe sul proprio profilo.
Gli illustri sconosciuti, si diceva una volta, sebbene purtroppo la maggior parte di questi tanto sconosciuti non sono, ma vantano milioni di follower pronti a osservare in modo lobotomizzante le loro storie e i loro post sui social.
Tra questi poi c’è persino l’illustrissima fidanzata del cantante dei Maneskin, che tempo fa scriveva sul proprio profilo Instagram di non amare affatto il cinema, ritenendo il linguaggio della settima arte noioso e addirittura detestando l’idea di guardare un film. Che per carità, è più che mai lecito, soltanto che mi viene da sorridere nel vederla poi sfilare tutta tronfia e contenta alla più importante kermesse cinematografica italiana.
Ovviamente questo ha dato il solito là alla shitstorm degli idioti che esagerano sempre, e si sono permessi di insultarla mettendo in mostra come sempre il peggio del peggio della nostra nazione.
Ad ogni modo tutto questo mette davvero tristezza, oltre a togliere alla rassegna la giusta importanza e decontestualizzandola un bel po’. Il perché purtroppo lo sappiamo ed è sempre legato al dio denaro. Gli sponsor che mandano avanti la rassegna sono a loro volta legati a questi illustri influencer, spesso testimonial di marchi prestigiosi, che quindi in una deprimente chiusura del cerchio ci permettono di assistere a tanti bei film (vabè, non tutti. Una volta anni fa guardai un documentario tedesco di due ore sulla polvere n.d.R.). La situazione economica dell’industria cinematografica, lo sappiamo, è davvero traballante per cui a malincuore si deve far spallucce di fronte a tutto ciò e persino dare un po’ di ragione a chi, come Rocío Muñoz Morales, ha sottolineato come la gente non vada più al cinema e se vogliamo continuare a tenere in vita queste rassegne, dobbiamo ringraziare gli sponsor e i loro testimonial social, che grazie al consenso che raccolgono soltanto con semplici post e storie, e una apparente (è bene sottolinearlo) maggior vicinanza al popolo rispetto alle star cinematografiche, sembra fidelizzare molto di più l’utenza.
Restano alcuni dei brand storici come sponsor della rassegna, ma se una volta Armani (oltre all’Ambassador Cate Blanchett, che difende il suo ruolo) lasciava sfilare come testimonial star quali Ludivine Saigner, adesso si affida a Bianca Balti o Greta Ferro; l’iconico Moët & Chandon che, ricordo in uno dei miei primi Festival, nel 2011, era legato ai volti di Monica Bellucci e Vincent Cassel, o in un recente passato affidato ad attori come Ryan Gosling, Claire Foy, e andando indietro nel tempo persino a Paul Newman, quest’anno sceglie la fashion influencer e creator digitale Cristina Musacchio; o ancora L’Oreal, un marchio che qualche anno fa vedeva Helen Mirren, Eva Longoria, Amber Heard (magari per quest’ultima sarebbe stato adesso un po’ complesso) e solo due anni fa Miriam Leone, ora opta per Valeria Angione e Paola Turani. E potremmo continuare ancora.
Gli sponsor, insomma, devono adattarsi ai tempi e sopravvivere come possono, ma ciò non toglie che tutto questo ci renda comunque avviliti e demoralizzati.
Mi sembra di parlare da nonno (o da boomer, come dite voi), ma un bel po’ di anni fa, quando giovane e spensierato frequentavo il Festival di Venezia, il red carpet aveva tutto un altro fascino e si viveva con grande curiosità l’attesa per vedere sfilare artisti importanti, non influencer che fanno milioni di like muovendo semplicemente le mani e facendo strane espressioni del viso.
Bande di ragazzine e ragazzini si appostavano ore prima in prossimità del tappeto rosso, per vedere Brad Pitt o Angelina Jolie, per farsi autografare un DVD da Tim Burton o Brian De Palma. Adesso si dà la caccia alla illustre Beatrice Valli per farsi un selfie con lei.
Che poi in fin dei conti il problema non sarebbe neanche tanto questo, ma quella decontestualizzazione a cui facevamo riferimento prima. Provando a scrivere su Google semplici Keyword come Venezia 79, le recensioni dei film e le interviste ad attori e registi sono sempre più lontano dalle prime pagine, mentre l’attenzione quotidiana resta sulla presenza degli influencer o sul “seducente look di Laura Chiatti”.
Che triste fine per il red carpet…