Il Trono di Spade, George Martin e del perché non tutto può diventare un fumetto
Il Trono di Spade (Game of Thrones per i puristi) è probabilmente la serie del decennio. Sebbene vi siano altre produzioni, per quanto riguarda la concorrenza televisiva, capaci di tenerle testa per qualità artistica (ad esempio Better Call Saul, Sherlock e House Of Cards), Got è quella che negli ultimi dieci anni ha avuto l’impatto più profondo e duraturo nella cultura popolare. Anche perché, rispetto alle altre, ha tutte le caratteristiche che ne fanno l’avanguardia del moderno genere televisivo, quello che molti chiamano “la nuova letteratura“.
Per esempio, è ispirata ad una delle più complesse e articolate saghe fantasy della modernità, Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George Martin (P.S. scrivi il dannato libro) e ha dietro una grande realtà produttrice come HBO che, nel tempo, ha continuato ad investirci soldi trasformandolo in un show unico al mondo. Non a caso, Il Trono di Spade è riuscita nell’impresa titanica di conquistarsi il favore di ogni tipologia di pubblico, di unire nerd e non nerd, appassionati e non appassionati, critici e spettatori della domenica, amanti di Canale 5 e schiavi compulsivi di Netflix. È, in parole povere, un fenomeno assoluto.Mi vengono in mente poche saghe che, in questo decennio, possono competere con l’impatto avuto da Got. L’unico paragone che azzarderei sarebbe col Marvel Cinematic Universe, anch’esso una serie (per quanto cinematografica) capace di calamitare l’interesse di un pubblico trasversale e di lasciare un’impronta enorme nella pop-culture contemporanea. In effetti, di punti in comune non ne hanno pochi, a cominciare dal fatto che entrambi hanno scelto aprile 2019 per giungere alla fine. Anche se poi, naturalmente, proseguiranno attraverso nuove e più variegate forme. Inoltre, tutte e due sono opere derivate: Got da una pentalogia (al momento) di libri, l’MCU da uno dei più grandi Multiversi fumettistici mai creati, quello Marvel ideato da Stan Lee, Jack Kirby e Steve Ditko. E, non dimentichiamolo, il passaggio di un medium ad un altro ha decisamente fatto le loro fortune. Adesso, tuttavia, di punti in comune ne hanno un altro: i fumetti. Come? Cosa? Non sapevate che esiste il fumetto del Trono di Spade? Beh, ora lo sapete. Peccato che non abbiano nessun senso di esistere.
Il fumetto del Trono di Spade: da dove viene (e perché)
Per spiegare l’inutilità dei comic book di Got, è necessario fare un passo indietro e affrontare il problema alla radice. Precisamente, torniamo nel 2011, l’anno in cui esordisce Game of Thrones, la serie televisiva tratta dai romanzi del procrastinatore seriale anche noto come George R.R. Martin. Ad aprile (un mese molto caro ai produttori, pare) esce la prima puntata e, lentamente, comincia ad accumulare consenso e il plauso di critici, spettatori e appassionati. È l’inizio di un successo di portata globale. Quasi contemporaneamente, un apprezzato e stimato scrittore di fantascienza (per quanto poco noto) chiamato Daniel Abraham fa spola quasi ogni giorno tra Albuquerque e Santa Fe, nel New Mexico. No, non è un corriere della droga e non sta portando in giro nessuna metanfetamina blu, sebbene Walter White sia di quelle parti. Abraham passa molto tempo a casa di Martin, di cui è amico e collaboratore. I due stanno lavorando insieme perché, tra tutte le pessime idee che potevano saltargli in mente, il buon Daniel ha avuto la geniale intuizione di realizzare il fumetto di A Game of Thrones, il primo libro delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.Dunque, mentre Got faceva proseliti e il mondo piangeva la morte di Ned Stark, era in cantiere un altro adattamento dell’epopea di George Martin. Un adattamento che, dobbiamo dirlo per dovere di cronaca, è teoricamente precedente alla serie: Abraham era infatti all’opera sul fumetto del Trono di Spade ben prima che andasse in onda. Solo che, esattamente come per il suo fratello del piccolo schermo, il progetto aveva richiesto una lunga gestazione ed era andato a rilento. I motivi vanno ricercati nella grande complessità delle Cronache, elemento che sicuramente è parte fondante del suo fascino ma che, per forza di cose, crea ben più di una difficoltà quando si tratta di emigrare da un medium ad un altro. Trasporre un romanzo di 1088 pagine (tale è la lunghezza di A Game of Thrones) pieno di personaggi, avvenimenti, ambientazioni, situazioni e storyline è un’impresa titanica. Non a caso, ci sono voluti anni e un’intensa limatura dello script prima che Got vedesse ufficialmente la luce, cosa che ha portato a differenze sostanziali rispetto ai romanzi (come ben sanno i lettori duri e puri) oltre a quello che molti ritengono il più disastroso pilot mai girato.
Si tratta di un affaire troppo lungo da spiegare, vi basti sapere che prima che Il Trono di Spade andasse in onda come lo conosciamo oggi era stato girato un episodio di prova davvero terribile. Se volete approfondire la vicenda, ben riassunta sulle pagine del Post di Luca Sofri, cliccate qui. Quello che interessa a noi ai fini del discorso è il seguente punto: la saga letteraria ambientata in quel di Westeros è, per sua stessa natura, difficilmente adattabile. Il fumetto del Trono di Spade si trovò ad affrontare il medesimo problema: come riuscire a dividere, nel formato standard del comic book americano (20-30 pagine), un tomo così corposo come A Game of Thrones? Ecco spiegato perché Abraham era fisso a casa di George Martin: si confrontavano quotidianamente e discutevano non tanto sul perché, ma sul come. E, purtroppo, fecero la scelta sbagliata.Abbiamo spesso maltrattato David Benioff e D.B. Weiss per come hanno stravolto il testo originale e, soprattutto, per il modo con cui hanno traghettato lo show all’impensabile sorpasso sui libri. Scelte sciagurate e in parte contraddittorie che, malauguratamente per loro, hanno oscurato il grande lavoro fatto per “serializzare” le Cronache. Un tagli e cuci continuo, misurato e chirurgico, a volte impopolare ma che, se ne facciano una ragione i puristi, ha trasformato una straordinaria saga letteraria in una straordinaria serie televisiva. È difficile non essere d’accordo su questo. Non a caso, i problemi sono iniziati quando la coppia Benioff/Weiss ha dovuto prendere il largo e inventare di sana pianta perché, ahimè, i libri erano finiti (specialmente nella settima stagione). Comunque, hanno il merito di aver preso scelte coraggiose vincendo, in sostanza, la loro scommessa. In parole povere, non si sono limitati ad adattare semplicemente i tomi di Martin pezzo per pezzo ma lo hanno trasformato in un vero prodotto pensato per televisione, con ritmi, regole e trovate tutte televisive. Cosa che invece, scioccamente, Daniel Abraham non ha voluto (o non ha potuto) fare nel fumetto del Trono di Spade.
Il fumetto del Trono di Spade: un disastro annunciato
Abbiamo già sottolineato la provenienza letteraria di Daniel Abraham. E forse è per questo che, durante la realizzazione del fumetto del Trono di Spade, ha deciso di percorrere una strada chiara: quella dell’assoluta fedeltà all’epopea di Martin. La sua intenzione, supportata dalla Dynamite Entertainment (la casa editrice), era dunque quella di trasporre per intero il primo volume delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, senza lasciare nulla da parte, includendo ogni aspetto, ogni sfumatura e ogni dettaglio. Capite bene anche voi che stiamo parlando di un compito da far tremare i polsi e dalla dubbia sensatezza. Eppure, Abraham ottenne il benestare di tutte le parti coinvolte e reclutò il disegnatore Tommy Patterson, il quale probabilmente non aveva la più pallida idea del casino in cui si stava cacciando.
Tommy Patterson è un professionista serio e affidabile, che lavora molto sui particolari sia dei personaggi che delle ambientazioni. Sembrava l’uomo giusto al momento giusto e l’aveva confermato a forza di ottime prove, mandando bozze dettagliate e godibili. Per cui, una volta arrivata la sceneggiatura, si mise subito al lavoro. Quella volpe di Abraham era riuscito a “riassumere” A Game of Thrones in 24 albi da 30 pagine l’uno, per un totale di 720 pagine. I lavori andarono avanti a lungo e il primo issue uscì il 21 settembre del 2011. Dynamite Entertainment si fregò le mani. Per una strepitosa casualità, il tempismo era perfetto: il fumetto del Trono di Spade era uscito a cinque mesi dopo la messa in onda del pilot di Got ed era pronti per calamitare l’attenzione (e i dollari) dei fan della serie.
Purtroppo, i novelli seguaci delle vicende di Westeros e dintorni si trovarono davanti qualcosa di completamente diverso da quello a cui erano abituati. Non che questo fosse necessariamente un male, intendiamoci, anzi. Solo che, beh… Non era la serie tv, non era il libro, ma non era neanche un fumetto: non era niente. Era un corposo albo di 30 pagine pieno di didascalie e dialoghi verbosi, accompagnati da un ritmo lentissimo che conciliava il sonno. E il buon Patterson aveva completato il disastro, realizzando disegni infantili che parevano più adatti ad un young adult che ad un fantasy epico, lontanissimi sia dal character design della serie che dal realismo insito nei libri. Per fortuna, le didascalie erano talmente enormi che li coprivano quasi del tutto, oscurando lo scempio. L’unica cosa buona a detta di molti (e in questo mi trovo d’accordo) erano i colori accesi di Ivan Nunes, un salvagente fragile in mezzo alla burrasca.
Tuttavia, questo non cambia la sostanza del (pessimo) lavoro fatto da Abraham e Patterson, che si sono bellamente dimenticati dei fondamentali di questo meraviglioso linguaggio anche noto come “fumetto“. Il fumetto è, per sua stessa natura, la fusione perfetta tra testo e disegno. Questo non vuol dire che uno deve primeggiare sull’altro o che non posso esserci lunghe porzioni di testo o splash page scoppiettanti, ma che deve esistere una sorta equilibrio. Il fumetto del Trono di Spade non ha niente di tutto questo. E Abraham ha dimenticato questa regola aurea perché troppo occupato a seguire la sua cieca fedeltà ai libri. A dirla tutta, c’era pure riuscito, mantenendo molte della caratteristiche più distintive delle Cronache, come l’abbondanza delle descrizioni di Martin, i suoi dialoghi brillanti, le sfumature caratteriali e addirittura la dosatissima narrazione point of view, la specialità della casa, tramite didascalie colorate in modo diverso per ogni personaggio, così da farci entrare dritto nei suoi pensieri.
Tutto ammirevole, tutto molto bello, peccato che queste cose non c’entrino un tubo con le caratteristiche naturali del medium fumetto e che per dare la sensazione di un cambio di prospettiva basti, appunto, un banalissimo stacco da una vignetta all’altra. Ma si potrebbe infierire a lungo, ricordando per esempio che in ogni buon manuale di sceneggiatura viene sempre sottolineato in grassetto con tanto di punto esclamativo che è assolutamente vietato descrivere cosa passa per la testa dei protagonisti. Per far vedere che un personaggio è turbato, basta inquadrare una sua espressione turbata, non c’è bisogno di scriverlo. Altrimenti, il disegnatore che ci sta a fare?
Non tutto può essere un fumetto
Tuttavia, Dynamite decise di tenere duro e, complice il successo sempre crescente di Got, continuò la produzione del fumetto del Trono di Spade. Furono pubblicati a più riprese dal 21 settembre 2011 al 30 luglio 2014 e per il lancio venne chiamato per le variant addirittura Alex Ross, la star del fumetto fotorealistico.
E, bisogna dirlo, non mancarono i tentativi di aggiustare la situazione in corso d’opera, ma ormai il danno era fatto. Per quasi 3 anni furono pubblicati gli albi del Trono di Spade, senza nessun ripensamento. E la cosa buffa è che, rieditati in forma di volume trade paperback da Bantam Books (la casa editrice che ha i diritti della saga originale), per un periodo furono anche tra i primi posti nella classifica delle graphic novel più vendute redatta dal New York Times. Peccato che fossero in sostanza una sorta di romanzone illustrato in cui testo e disegno si pestavano continuamente i piedi. Un disastro senza precedenti e, per lo più, evitabile, perché l’idea di adattare Le cronache del ghiaccio e del fuoco poteva funzionare se si fosse optato per qualcos’altro rinunciando ad una corrispondenza quasi totale con i libri. La serie TV, del resto, lo ha ampiamente dimostrato.
Purtroppo (o per fortuna?) il clamoroso successo di Got ha permesso ai fumetti del Trono di Spade di continuare, tant’è che sono arrivati in tempi non sospetti anche in Italia, sotto l’etichetta di Italycomics. E Dynamite ha continuato ad approfittarne, visto che nel giugno del 2017 ha ufficialmente pubblicato il seguito: A Clash of Kings, sempre in formato comic book. Prova che, nonostante il fallimento qualitativo, si è trattato di un’operazione riuscita dal punto di vista del marketing, anche se non per meriti suoi. Non per nulla, questo secondo adattamento è stato fatto con un altro team creativo: l’assai più esperto fumettista Landry Walker e l’ottimo Mel Rubi, apprezzato disegnatore della Dark Horse Comics. Segno che, nonostante gli strafalcioni commessi, tutto quello che ha sopra il marchio del Trono di Spade tira.
E infatti Mondadori Oscar Ink ha colto la balla al balzo togliendo ad Italycomics il primo, disastroso ciclo di fumetti di A Game of Thrones ristampandolo in un volume cartonato da 360 pagine dal modico prezzo di 28 euro (lo trovate qui, a proposito) giusto in tempo per l’ottava stagione. Bisogna dire che Mondadori ha avuto quanto meno la lungimiranza di trasporlo in un formato vicino a quello dell’edizione in pelle dei romanzi, scelta questa che certifica implicitamente il fatto che non si tratta di un fumetto.
Mentre ci penso, non posso che sorridere pensando a quello che disse lo stesso George Martin in tempi non sospetti. Ben prima di Got e di questo fumetto, sosteneva che Le cronache del ghiaccio e del fuoco non erano in alcun modo adattabili. In fin dei conti, aveva ragione.