Il dio denaro
Ci sono film che raccontano la vita di grandi personaggi della storia attraverso le loro imprese, film che narrano tragedie familiari come pretesto per descrivere l’universalità delle rapporti umani e poi c’è Tutti i soldi del mondo (nelle sale italiane dal 4 gennaio), che si sofferma – come già si intuisce dal titolo – su un particolare aspetto del carattere del magnate del petrolio Paul Getty: il suo fortissimo, ai limiti del patologico, attaccamento al denaro.
La storia prende lo spunto dal rapimento del nipote dell’imprenditore statunitense, John Paul Getty III, avvenuto a Roma nel luglio del 1973 ad opera della ‘Ndrangheta calabrese: il film si apre proprio con il giovane che si aggira in una splendida notte romana, nelle zone della dolce vita, tra via Veneto e dintorni. Bastano poche scene al regista Ridley Scott per tratteggiare da un lato il personaggio del giovane rampollo ricco e a suo agio nel bel mondo e dall’altro a cambiare registro al film, con l’entrata in scena dei rapitori.
I veri problemi e quindi lo snodo centrale dell’opera arrivano, però, quando viene chiesto il riscatto di 17 milioni di dollari: di fronte a questa pretesa, l’anziano miliardario – il cui patrimonio ai tempi era stimato intorno al miliardo di dollari – si rifiuta di pagare, affermando pubblicamente la sua inamovibilità dall’idea di tirare fuori un solo centesimo, adducendo come motivazione il non voler mettere a repentaglio la vita e la libertà dei suoi altri quattordici nipoti.
Un discorso che a rigor di logica fila anche liscio ma che nasconde ben altri scheletri nell’armadio.
Tutti i soldi del mondo è un film proprio su questi argomenti: sulla vita privata di Getty, sui suoi rapporti familiari e sulla sua – divenuta proverbiale – taccagneria.
A nulla serviranno le preghiere della nuora, interpretata da una bravissima Michelle Williams, o le richieste del mediatore personale, i cui panni sono vestiti da un altrettanto bravo Mark Wahlberg; il ricchissimo uomo d’affari si smuoverà solo dopo svariati mesi dal rapimento, dopo l’arrivo di un pezzo d’orecchio del nipote e solo dopo essersi accertato di poter detrarre parte del riscatto facendolo passare per una donazione.
Avete letto bene: John Paul Getty, il primo uomo a scavare pozzi petroliferi in Arabia Saudita, colui che alla morte aveva un patrimonio personale che si aggirava tra i due e i quattro miliardi di dollari, chiese di detrarre parte del riscatto chiesto per il nipote.
L’atteggiamento dell’uomo, sempre più solo e unicamente attaccato alla roba di verghiana memoria man mano che procede la storia, è la vera rivelazione sconvolgente del film. Non il rapimento, non i soldi che venivano fatti a suon di milioni al giorno, non i rapporti di famiglia sacrificati sull’altare del dio business ma l’attaccamento morboso ai soldi.
Il regista, Ridley Scott, sceglie una strada a metà tra il biopic e il thriller, supportato dalla sceneggiatura di David Scarpa: i flashback iniziali servono da perfetta base per narrare l’ascesa della Getty Oil e la formazione dell’impero del magnate; le escursioni nel thriller, invece, donano alle scene di trattative con i rapitori la tensione che caratterizza il film fino alla fine.
Uno dei problemi della pellicola, se così si possono definire, è proprio la linea di demarcazione tra realtà e finzione: allo spettatore vengono dati pochi strumenti per distinguere i due piani e vengono trattati allo stesso modo sia degli spezzoni basati su documenti esistenti (video, interviste e foto), sia alcuni inventati di sana pianta, o comunque eretti su fatti non accertati (come, ad esempio, l’esistenza delle cabine telefoniche a gettoni per gli ospiti delle case dell’imprenditore).
Gli attori, tutti splendidamente vestiti dalla costumista Janty Yates (premio Oscar per Il Gladiatore), che ha fatto delle accuratissime ricerche su foto e filmati dell’epoca, interpretano i loro personaggi al meglio delle possibilità: il che significa, nel caso di Michelle Williams, una grande interpretazione, capace di comunicare nel migliore dei modi il crescendo di angoscia e tensione di una madre col figlio rapito; passando a Mark Wahlberg, invece, è stato bello vederlo in un ruolo poco consono ai suoi standard, che gli ha permesso di sfoggiare buone capacità di immedesimazione. Ultimo ma non meno importante il giovane Paul Plummer, che nella parte del nipote rapito riesce ad essere spavaldo nei primi minuti del film, quando lo vediamo aggirarsi per Roma di notte passando dai locali in alle prostitute di strada, e subito dopo spaurito quando arriva nelle mani dei rapitori.
Menzione a parte merita Christopher Plummer, salito a bordo del film dopo la cacciata di Kevin Spacey a causa delle accuse di molestie circolate nei mesi scorsi. L’esperto attore di origini canadesi mostra tutta la sua straordinaria bravura negli sguardi e nelle movenze dell’anziano taccagno, rendendo – da un certo punto del film in poi – la sua sola presenza in scena difficile da sopportare. Il J. Paul Getty tratteggiato da Scott e Plummer è un vecchio sempre più solo e sempre più avido e l’attore centra in pieno il personaggio. Difficile non immaginare, però, come sarebbe stato vedere il camaleontico Spacey nelle vesti del petroliere, ben consci delle doti recitative altrettanto superbe dell’interprete americano.
L’ultima nota è, purtroppo, dolente e riguarda il doppiaggio nostrano. Nonostante le ottime prove dei doppiatori dei protagonisti, che non fanno rimpiangere in alcun modo la loro controparte, ci sono alcune voci secondarie che sembrano prestate da dilettanti e questo aspetto ha avuto, almeno su di noi, lo spiacevole effetto di un duro e rapido ritorno alla realtà.
Verdetto:
Tutti i soldi del mondo è un film che prende lo spunto dal rapimento di John Paul Getty III per raccontarci che il denaro logora chi non ce l’ha e vorrebbe averlo ma anche, allo stesso modo, chi ne ha e vorrebbe averne sempre di più. La storia del nipote del magnate del petrolio, rapito a Roma dalle ‘Ndrine calabresi negli anni ’70 e tenuto in ostaggio per quasi sei mesi, permette al regista di approfondire le difficoltà dei rapporti umani di fronte alla gestione di un impero economico come quello di Getty senior. Tratto dall’omonimo romanzo di John Pearson, il film vede le ottime le interpretazioni degli attori protagonisti, da Michelle Williams a Mark Wahlberg, così come la regia di Ridley Scott.