Caffè, torta di ciliegie, omicidi. C’è tutto?
Ci sono certe serie televisive capaci di diventare un fenomeno di massa a tenere col fiato sospeso intere nazioni con la loro trama. Costringono il pubblico a porsi domande e portano i fan a discutere ed elaborare complesse teorie. Se fossimo negli anni ‘80 forse parleremmo di Dallas, ponendoci la domanda (per la quale persino la regina Elisabetta II arrivò a concedere un’udienza privata a Larry Hagman) “chi ha sparato a J.R.?”. Se stessimo scrivendo all’inizio degli anni 2000, forse sarebbe Lost il centro della nostra attenzione, e le domande sarebbero decine, dalla banale “cosa diavolo è quell’isola?” fino alla non meno scontata “e se fossero tutti morti?”. Ma, all’inizio degli anni ‘90, a tenere tutti gli appassionati col fiato sospeso e costringere le persone a sintonizzarsi a cadenza regolare sul televisore era un’altra domanda: “chi ha ucciso Laura Palmer?”.
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ATTENZIONE: essendo il seguente un articolo di retrospettiva su Twin Peaks, oltre alla sua nascita e sviluppo tratta, e contiene, tutte le rivelazioni della trama delle prime due stagioni.
Twin Peaks (in Italia “I segreti di Twin Peaks”) fu un vero e proprio fenomeno di massa, qualcosa che cambiò radicalmente il modo di concepire i serial televisivi. E che dimostra tutta la stupidità dei direttori di un network, ma a quello ci arriveremo presto. La serie fu concepita da David Lynch e Mark Frost, dopo un lungo e bizzarro iter: i due vennero inizialmente contattati dalla Warner Bros per la realizzazione di un prodotto ispirato alla biografia di Marilyn Monroe, “The Goddess”. La cosa non andò in porto e presto, dopo una serie di rifiuti di produzioni da parte della Warner, i due si decisero a sbarcare nella TV. E dire che Lynch odiava profondamente la televisione, che non esitava a definire “un medium orrendo”! Frost lo riuscì a convincere grazie al comune agente, non senza una certa fatica. L’occasione di presentò a cavallo tra il 1988 e il 1989. L’emittente ABC desiderava differenziare fortemente il prodotto rispetto alle altre major americane per non finire schiacciata, puntando tutto su programmi televisivi di qualità.
Era l’occasione che Lynch aspettava: complice questa serie di scossoni all’interno dell’emittente, ottenne carta bianca e propose la sceneggiatura nell’autunno del 1989. Il Presidente dell’ABC, Brandon Stoddard, diede un parere molto positivo di quella che si presentava come una commistione efficace dei due generi che andavano per la maggiore all’epoca, poliziesco e soap, facendo così partire il progetto, basato semplicemente sull’immagine di un corpo avvolto in un telo di plastica, trasportato a riva dalla corrente di un lago.
Nessuno lo aveva ancora realizzato: la storia delle serie TV stava per cambiare.
Twin Peaks fu una serie che portò la televisione in un’altra dimensione: sospesa tra il sogno e l’incubo. L’intera serie, a partire dal nome stesso, era giocata sulla simbologia del numero due e sul dualismo presente in molte realtà quotidiane, nella natura e nelle persone, nelle maschere che portano per rendersi accettabili agli occhi della società. Si trattava di una serie corale, in cui anche personaggi secondari ed eventi insignificanti potevano in realtà nascondere delle profonde motivazioni e in cui dei piccoli particolari potevano, nella realtà dello show, rivelare dei segreti enormi ai fini dell’intera trama.
Lynch e Frost avevano creato un prodotto di livello. Ma, soprattutto, avevano dimostrato che uno show di questo tipo poteva essere qualcosa di più di semplice intrattenimento, poteva costringere lo spettatore a scervellarsi nella risoluzione di un mistero lungo un’intera stagione. Qualcosa che oggi, con la proliferazione dei social media, avrebbe costretto gli spettatori a passare ore attaccati allo schermo del computer per discutere di teorie, accumulando idee folli su idee folli, litigando, facendo fronte comune con altri utenti per perorare la propria causa, litigando e stimolando l’immaginazione come dovrebbe fare un serial televisivo di qualità.
“She’s dead! Wrapped in plastic.”
Tutto sembra iniziare in maniera fin troppo pacifica: la famosissima opening di Angelo Badalamenti, un po’ ninna nanna, un po’ canzone underground, che apre lo show e ci porta in una tranquilla cittadina americana nello stato di Washington, al confine col Canada. Un paese tra montagne, boschi sconfinati e corsi d’acqua limpidi, quasi uno scenario idilliaco. Che nasconde le porte dell’inferno.
La prima scena ci mostra un contesto di vita familiare strano: Pete Martell, marito di Catherine, una delle due proprietarie della segheria che fa girare l’intera economia locale, si sveglia presto la mattina per andare a pesca. E lì, sulle rive del lago, vede un telo di plastica che avvolge il corpo di una ragazza. L’uomo chiama lo sceriffo locale, Harry Truman, che giunge sul posto col dottore, Willyam Hayward. Presto si scopre che la ragazza altri non è che Laura Palmer, la giovane più popolare della città, uccisa brutalmente da un assassino ignoto. O quasi: l’FBI sembra sapere qualcosa, visto che le modalità dell’omicidio sono simili a quelle di altri delitti commessi nella zona e, complice la sparizione di un’altra ragazza, manda sul posto il giovane agente Dale Cooper (interpretato da un Kyle McLachlan ispirato e calato come mai nella parte). “Coop” riesce rapidamente a farsi volere bene dalla cittadinanza: è pacato, gentile ma anche deciso, il tipo d’uomo che trasmette sicurezza. Col suo attento spirito di osservazione inizia a calarsi nella realtà cittadina, sfruttando qualche metodo non troppo ortodosso per sbrogliare una matassa che sembra essere molto più complicata di quanto sembri. Twin Peaks, da apparente cittadina pacifica, si rivela un piccolo sordido borgo in cui nessuno sembra dire la verità, dallo sceriffo, impegnato in una relazione con Josie Packard, vedova del proprietario della segheria, fino ai compagni di classe di Laura, i quali sembrano essere a conoscenza di alcuni segreti della defunta. La serie si sviluppa così su due filoni principali: da un lato le indagini di Cooper, che lo portano poco alla volta a scoprire i misteri legati alla città, dall’altro quelle dei migliori amici di Laura e sua cugina, Maddy, che cercano di scoprire da soli cosa sia successo.
Presto si scopre che Laura viveva una doppia vita: da un lato era una dolce e innocente ragazza, gentile e popolare proprio per il suo carattere solare, dall’altro era una donna già sessualmente attiva e spregiudicata, che posava regolarmente per una rivista fetish nota come “Flesh World”. Poco alla volta anche gli altri segreti della cittadina iniziano a venire a galla: i piani non del tutto limpidi di Benjamin Horne (la cui figlia, Audrey, sembra essersi innamorata di Cooper); la relazione clandestina di Bobby Briggs, ragazzo di Laura, con Shelley, moglie del violento camionista Leo Johnson; lo strano e disfunzionale rapporto tra Big Ed Hurley e sua moglie, Nadine; l’ambiguo psichiatra Jacoby; e, naturalmente Bob, la misteriosa entità che aleggia per i boschi di Twin Peaks, al centro di tutti gli eventi della serie così come la Loggia Nera, un luogo malvagio dove si raccolgono i demoni che infestano la cittadina.
In Twin Peaks la dimensione paranormale della vicenda fa ben presto il suo ingresso, manifestandosi nei sogni dell’agente Cooper e negli incubi della madre di Laura. La città sembra essere sorta in un bosco dove il male ha preso la propria residenza, dando libero sfogo alla propria natura maligna, mostrandosi sotto forma di una sala d’aspetto con tende di velluto rosso e dove risiede il misterioso nano che sembra essere custode del luogo. Insomma, Twin Peaks aveva tutto per essere una serie capace di tenere col fiato sospeso per molti anni i propri spettatori. E invece venne rinnovata solo una volta, per un totale di appena trenta episodi. Cosa andò storto? Tante, troppe cose.
Dopo il cliffhanger della prima stagione, in cui Coop riusciva ad arrestare uno dei primi sospettati dell’omicidio, qualcuno sparava all’agente FBI di ritorno da una missione oltre il confine canadese, nel losco casinò “One Eyed Jack”. Col fiato sospeso, il mondo attese la ripresa della serie per vedere Cooper salvato dal proprio giubbotto antiproiettile, capace di attutire il colpo della pallottola sparata quasi a bruciapelo ed entrare in comunicazione con il misterioso Gigante, entità benefica che lo aiuterà a risolvere il mistero della morte di Laura. I primi sei episodi della serie sembrano mantenere lo stesso leitmotiv dei precedenti: le indagini continuano, dei piccoli misteri vengono svelati, mentre altri interrogativi vengono aperti. Poi arriva l’episodio sette.
E qui la serie esplode.
Si scopre che Leland Palmer è posseduto dallo spirito di Bob. L’uomo uccide la nipote, Maddy, con un modus operandi identico a quello adottato per la figlia. La notizia fa il giro del mondo: l’assassino di Laura Palmer è il padre, posseduto da Bob. Una rivelazione che arriva all’improvviso, in maniera del tutto anti-climatica e che portò molti spettatori ad abbandonare la serie. Questo plotwist è visto da molti come l’equivalente del “salto dello squalo” per Twin Peaks. Senza logica, senza alcuna vera motivazione che non fosse quella di alzare un po’ gli ascolti in un episodio a nemmeno metà stagione, la dirigenza del network aveva imposto a Lynch e Frost di riscrivere la sceneggiatura: l’ABC pretendeva che l’assassino di Laura Palmer fosse svelato. Bisogna dire che i due showrunner ci misero tutto il loro impegno per riscrivere il copione e la storia in fretta e furia, riuscendo a rendere lo sviluppo comunque godibile. Ma, da quel momento in poi, l’interesse del pubblico nei confronti della serie iniziò a scemare inesorabilmente, complice anche un nefasto spostamento nel palinsesto al sabato che tagliò le gambe agli ascolti.
Gli stessi Frost e Lynch finirono per disconoscere la propria creazione, iniziando a curare sempre meno la sceneggiatura, tanta fu l’amarezza per quella sconsiderata intromissione della dirigenza. La trama si fece improvvisata, le storyline assunsero aspetti talvolta grotteschi e tutto sembrò spegnersi con l’episodio 16 della seconda stagione: i risultati furono così scarsi che la settimana dopo l’ABC mandò in onda una replica di Codice Magnum, venendo sommersa di lettere di protesta. La cosa sembrò ridare un po’ di linfa vitale allo show. Vennero riscritti gli ultimi sei episodi della stagione, conclusi con un cliffhanger sorprendente.
Il tema portante della seconda parte della stagione è l’arrivo a Twin Peaks dell’ex agente dell’FBI Windom Earl. L’uomo è ossessionato da Cooper, il quale aveva avuto una relazione con la moglie, e cerca vendetta. Earl è stato un mentore per Coop, un genio capace di risolvere casi complessi con facilità, ma che si è ormai volto solo all’odio. Affascinato dai poteri della cittadina, arriva a rapire Annie Blackburn, verso cui l’agente Cooper prova dei sentimenti, portandola nella Loggia Nera, il luogo metafisico dove si riuniscono i demoni dei boschi di Twin Peaks. Tutto sembra concludersi per il meglio, Coop salva la ragazza ed Earl viene ucciso da Bob, ma nelle ultime immagini della serie avviene l’impensabile: l’agente Dale Cooper si rivela essere posseduto da Bob!
L’ultima immagine di quella che è una serie storica ci mostra il volto solitamente affabile di Dale Cooper trasfigurato dallo spirito che ha preso possesso del suo corpo: un ghigno sadico, mentre Bob infierisce sul corpo di Coop, costringendolo a prendere a testate lo specchio davanti a cui si trova, ridendo mentre questo gli restituisce la sua immagine. Nonostante l’ultima scena fosse stata eseguita magistralmente, nonostante ci fossero tutti i presupposti per una terza stagione che prometteva di dare nuova linfa vitale alla serie, nonostante gli spettatori fossero in lieve aumento la mannaia è inesorabile: Twin Peaks, pur in mezzo alle polemiche e tra la delusione generale, viene cancellato. L’unica speranza resta legata a quella sola frase che viene detta a Cooper all’interno della Loggia Nera.
“Ci vedremo tra 25 anni.”
Da parte degli spettatori c’è molta delusione, ma mai grande quanto quella di Lynch, che negli anni non esisterà a lamentarsi dell’ingerenza della ABC nella fase creativa. Il brand sopravvive per un po’ grazie anche all’uscita di un film prequel, “Fuoco cammina con me”, dove vengono svelate le ultime ore di vita di Laura Palmer, ma nel tempo Twin Peaks viene dimenticato. Per quasi dieci anni. Sarà nell’ormai lontano 2001, infatti, che David Lynch inizierà a lanciare riferimenti su un possibile ritorno della serie. Ci vorrà molto più tempo, però, perché questo si realizzi, e solo nel 2014 l’idea sembrerà andare in porto.
Sin dal secondo episodio della serie, nel momento in cui l’agente Cooper vede in sogno Bob e si ritrova a parlare con il doppelganger di Laura e il nano nella Loggia Nera, c’erano stati riferimenti a qualcosa che sarebbe accaduto venticinque anni dopo nella cittadina di Twin Peaks. E sono decine gli interrogativi ancora aperti, ma due restano quelli principali. Da un lato, cosa è successo all’agente Cooper? Sarà riuscito a liberarsi dello spirito di Bob o il male ha nidificato dentro di lui come ha fatto con Leland Palmer? Dall’altro non è stata fatta chiarezza sulla Loggia Bianca, il luogo da cui proviene il Gigante e che dovrebbe in qualche maniera contrapporsi alla sua controparte malvagia. I segreti rimasti in sospeso, insomma, sono tanti, ma le certezze per quanto riguarda quella che sarà a tutti gli effetti la terza stagione di Twin Peaks è solo una: “Sta accadendo di nuovo”. “It is happening again”.