Qualcuno è ancora incredulo, qualcun altro grida al miracolo. Dopo 25 anni, Sua Maestà Twin Peaks torna in tv. Succede tutto all’improvviso, in modo inatteso, come inatteso fu il finale della serie che nel biennio 90/91 riscrisse le regole del serial televisivo, sia nella sostanza che nella sua accezione squisitamente sociale. Poche cose sono state, nel mondo della televisione, seminali come Twin Peaks, ed anche se oggi si fatica a credere che esistesse qualcosa prima delle serie tv moderne (diamine c’è gente che a stento arriva a ricordarsi di Lost… l’amarezza insomma), di fatto prima di Twin Peaks c’era una sorta di vuoto cosmico, che confinava il prodotto serializzato televisivo o a qualcosa di frivolo (metti, una soap), o a qualcosa che non avesse la possibilità di reclamare dignità artistica, culturale o comunicativa.
Lynch, con un colpo solo, riscrisse tutti i punti di cui sopra, portando Twin Peaks dentro e fuori la tv. Se da un lato, quindi, si aspettava l’arrivo del nuovo episodio, dall’altro a televisione spenta si sparlava, si supponeva, ci si interrogava su chi avesse mai ucciso Laura Palmer. Divenne un tormentone, un argomento buono al bar come in radio, perché Twin Peaks fu questo: la profonda riscrittura del medium. Ecco perché il suo ritorno è sulla bocca di tutti, ed ecco perché si considera Twin Peaks il fondatore della moderna concezione di serial tv. Fu un prodotto archetipale, la cui potenza comunicativa fu tale da instaurarsi con prepotenza anche in quelle fette di pubblico (metti, il mercato italiano), originariamente poco avvezze alla serializzazione televisiva.
Ma del resto, analizzando anche solo con pressapochismo il pedigree di David Lynch non ci si poteva aspettare diversamente. Cosciente della potenza espressiva della televisione, capace, forse più del cinema, di rispecchiare la mutabilità dei tempi che corrono, Lynch ha da sempre guardato al piccolo schermo come ad uno strumento privilegiato, e ciò in tempi non sospetti, e ben prima che anche attori di un certo calibro si cimentassero con il serial televisivo. In tal senso, proprio il buon David, è il padre dell’appuntamento episodico, conscio che si può creare un prodotto che sa far costume stuzzicando la mente dello spettatore con un valore qualitativo aggiunto. Un valore aggiunto cui il regista è spesso arrivato attraverso un evidente sperimentalismo che, mischiandosi alle modalità ed alle tematiche tipiche della sua regia, ha portato su schermi grandi e piccoli prodotti di una certa fattura come il bellissimo Mulholland Drive o la particolarissima serie Rabbits, pregni tutti di un certo onirismo, e di una ricerca di immagini visivamente potenti. È a Lynch che si devono le supposizioni tra due puntate di un serial, ed è sempre a lui che si deve la spinta che ha portato, negli anni, alla consacrazione delle serie tv. Un lavoro lento, che partendo da Twin Peaks e passando per innumerevoli esponenti di genere, ha trovato fertilità nella matrice “lynchiana” solo in pochi, pochissimi, casi. E così, anche con un po’ di critica nel cuore verso quell’industria, il cinema, che pare non volergli più concedere chances (ultimo film al cinema: Inland Empire – L’impero della mente. Anno 2006).
E quindi, dicevamo, Twin Peaks ritorna in una stagione completa. Torna in grande stile, avvalendosi della regia di Lynch e della sceneggiatura di Mark Frost (in squadra sin dalle origini della serie). Ci aspettiamo di tutto negli episodi, ad ora, confermati: nove sul network Showtime. Nove puntate (cui forse si darà un seguito se il progetto andrà a buon fine) che racconteranno le vicende successive a quel finale (sospeso) che lasciò increduli (e occasionalmente delusi) tantissimi spettatori i giro per il mondo. E del resto proprio Laura Palmer ci aveva avvisato: “ci vedremo tra 25 anni”. Lei è stata di parola e noi… noi siamo già pronti, ciambelle e caffè alla mano, per un nuovo intenso viaggio nei meandri della Loggia Nera.